Tra sezioni ordinarie e sezioni specializzate. Questione di competenza o mera ripartizione delle funzioni?

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               Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale – Ripartizione delle funzioni tra sezioni specializzate e quella ordinaria del medesimo Tribunale – Questione di competenza –  Esclusione – Regolamento di competenza – Inammissibilità.

               (Codice della proprietà industriale, Decreto Legislativo 10 febbraio 2005 n. 30, artt. 120, 134; Decreto Legislativo 27 giugno 2003, n. 168, artt. 2, 3 e 4; Codice procedura civile, artt. 38, 39 e 40)

 

               Nelle controversie in materia di proprietà industriale ed intellettuale, la ripartizione delle funzioni tra le sezioni specializzate e quella ordinaria del medesimo Tribunale non implica l’insorgenza di una questione di competenza, attenendo piuttosto alla distribuzione degli affari giurisdizionali all’interno dello stesso ufficio (1). 

                      

                     (1). Una società cita in giudizio un’altra società e la sua controllante, innanzi alle Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale del Tribunale, per inadempimento contrattuale ed extracontrattuale, per non avere le stesse ottemperato all’accordo di licenza di alcuni canali televisivi, e chiede il risarcimento del danno in tal modo subito. Le convenute si costituiscono regolarmente ed entrambe  eccepiscono, tra l’altro, l’incompetenza funzionale delle Sezioni specializzate adito.

                      Il Tribunale accoglie l’eccezione e dichiara la competenza della Sezione ordinaria del medesimo Tribunale, poiché il processo ha ad oggetto una mera controversia contrattuale.

                      La società attrice propone ricorso per regolamento di competenza.

                      La Corte di Cassazione, investita del ricorso, ne dichiara l’inammissibilità. A fondamento della decisione pone il principio secondo cui la ripartizione delle funzioni tra le Sezioni specializzate e quelle ordinarie del medesimo Tribunale non implica l’insorgenza di una questione di competenza, attenendo piuttosto alla distribuzione degli affari giurisdizionali all’interno del medesimo ufficio. Ne consegue l’inammissibilità del regolamento di competenza proposto avverso l’eventuale pronuncia di incompetenza o di competenza del giudice adito.

                      Gli ermellini proseguono osservando che il suddetto principio, ripetutamente affermato dalla Suprema Corte per i rapporti tra le sezioni ordinarie e sezioni lavoro, nonché per quelli tra sezioni ordinarie e sezioni fallimentari, sia applicabile anche ai rapporti tra sezioni specializzate in materia di proprietà intellettuale ed industriale e sezioni ordinarie; con esclusione, invece, del diverso principio valevole per le sezione agrarie, rispetto alle quali da tempo si ritiene profilarsi una questione di competenza ove si discuta se la causa debba essere decisa da dette sezioni o da quelle ordinarie.

                      La sentenza in epigrafe tocca la questione della configurazione della devoluzione delle controversie alle sezioni specializzate o a quelle ordinarie del medesimo Tribunale, come questione di competenza in senso tecnico ovvero di mera ripartizione interna tra le sezioni stesse. Si tratta di un tema di difficile soluzione interpretativa, che ha visto (e vede tutt’ora) dividersi la dottrina e la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, in due opposti orientamenti: l’uno a favore della competenza in senso tecnico e l’altro a sostegno della mera ripartizione interna tra gli uffici.

                      I sostenitori del primo orientamento, favorevole alla competenza tecnica, fondano le proprie ragioni su differenti argomentazioni.

                      In primo luogo, in tale direzione deporrebbe la stessa lettera della norma istitutiva delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale (D.lgs. n. 168/2003, art. 3[1]), poi confermata dalla nuova formulazione dell’art. 134 del Codice della proprietà industriale (introdotto dal D.lgs. n. 30/2005)[2]. Infatti, dalla lettura sistematica delle disposizioni richiamate discenderebbe la voluntas legis di delineare per le sezioni specializzate industriali una competenza per materia funzionale e di fare del giudice della proprietà industriale ed intellettuale il giudice naturale, ex art. 25 Cost., di tutte le controversie vertenti in tale materia. Da ciò conseguirebbe che le decisioni adottate dal giudice ordinario, anziché da quello specializzato, sarebbero affette da un vizio di competenza funzionale, da far valere ex art. 38 c.p.c., atteso che <<la regola della competenza deriverebbe dalla specifica funzione attribuita dalla legge al giudice e dunque posta, per voluntas legis, come condizione imprescindibile di un corretto funzionamento della giustizia>>[3].

                     In secondo luogo, militano in favore della tesi de quo anche ragioni di carattere pratico. Al riguardo è sufficiente rilevare che la particolare dislocazione territoriale delle stesse sezioni specializzate industriali, le quali non sono presenti in tutti i Tribunali e nelle corrispondenti Corti d’appello, comporta che ove non siano istituite le Sezioni specializzate, la questione non possa essere risolta, se non con una pronuncia di incompetenza; mentre la diversa soluzione della ripartizione interna non sarebbe in concreto praticabile. Inoltre, si osserva che la particolare complessità e specificità della materia della proprietà industriale ed intellettuale avrebbe imposto la necessità di designare magistrati dotati di competenze specifiche, analoga a quella che aveva portato all’istituzione delle Sezione specializzate agrarie (rispetto alle quali, si ribadisce, è consolidata opinione che si profili una questione di competenza), e che si ritiene prevalga rispetto all’opposta esigenza di snellimento e di accelerazione della trattazione dei processi.

                L’opposto orientamento propende, invece, per l’inquadramento della ripartizione delle controversie tra sezioni specializzate e sezioni ordinarie nell’ambito della mera ripartizione degli affari all’interno del medesimo ufficio. E troverebbe fondamento in due ordini di ragioni. Da un lato, si giustificherebbe con la differente composizione delle Sezioni specializzate industriali e quelle agrarie. Infatti, mentre le prime sono composte soltanto da magistrati togati, analogamente a quanto avviene nelle ordinarie sezioni dei tribunali; le Sezioni specializzate agrarie prevedono la presenza anche di giudici laici non togati, forniti di specifica qualificazione tecnica, ritenuta necessaria all’integrazione delle cognizioni dell’organo[4]. In particolare, si osserva che proprio la particolare composizione delle Sezioni agrarie giustificherebbe la configurazione della ripartizione delle cause tra le stesse e le sezioni ordinarie, come questione di competenza; e, d’altro canto, spiegherebbe il diverso inquadramento dei rapporti tra le sezioni specializzate p.p.i. e le sezioni ordinarie, tutt’al più, assimilabili ai rapporti tra le Sezioni ordinarie e le Sezioni lavoro, nonché a quelli tra le Sezioni ordinarie e quelle fallimentari, rispetto ai quali, per opinione ormai consolidata, si profila una questione attinente alla mera distribuzione degli affari all’interno del medesimo Tribunale. 

               Dall’altro lato, si sostiene che, a favore di questa impostazione, deporrebbe l’analogia del rito ordinario che viene applicato sia alle Sezioni specializzate industriali sia alle Sezioni ordinarie; <<l’esistenza di norme processuali speciali non va ad incidere sull’unico rito processuale applicato nelle controversie trattate innanzi a entrambe le sezioni […]. Cambia solo la fase decisoria, in quanto l’art. 2, d.lgs. 168/2003, impone alle Sezioni specializzate il meccanismo della collegialità>>[5].

                Infine, la soluzione della mera ripartizione degli affari all’interno del medesimo ufficio giudiziario, poggerebbe sull’esigenza di favorire la più rapida ed efficace definizione dei procedimenti giudiziari, in conformità al principio costituzionale della “ragionevole durata del processo”, ex art. 111 Cost. Ciò si ritiene indispensabile soprattutto con riguardo alla materia in questione, atteso che gli interessi privati ad un processo celere sono particolarmente avvertiti in materia di proprietà industriale ed intellettuale, in quanto in tali circostanze il periculum in mora è in re ipsa.

                Nella giurisprudenza si riscontrano i medesimi orientamenti appena delineati, ancorché con motivazioni in parte differenti. Secondo una posizione formalista emersa dalle recenti pronunce della Suprema Corte, ma precedenti alla recentissima decisione in commento, <<sussiste una questione di competenza, non solo quando si controverte in ordine all’attribuzione alla Sezione specializzata o a quelle ordinarie di Tribunali diversi, ma anche quando competente per territorio, in base alle norme comuni, sarebbe il Tribunale presso il quale è istituita la Sezione specializzata>>. Per giungere a tale statuizione il Collegio parte dal presupposto che le Sezioni specializzate P.I.I. sono investite di una competenza territoriale espressamente indicata dalla legge e dalla considerazione che la natura della controversia in tema di ripartizione, in subiecta materia, sia unica e, pertanto, debba essere trattata indipendentemente dal rapporto tra gli uffici interessati[6].

                Di contro, altra parte della giurisprudenza, soprattutto di merito, si discosta consapevolmente dalle statuizioni dei giudici di legittimità ed accoglie una posizione meno rigida ed improntata all’esigenza di celerità del rito. Si afferma che <<la distribuzione delle causa tra Tribunale ordinario e sezione specializzata industriale, nella misura in cui non sposta la competenza per territorio, coinvolge un criterio non di competenza del giudice in senso tecnico (competenza per materia), bensì di distribuzione degli affari all’interno dello stesso tribunale, posto che la formale dichiarazione di incompetenza, ancorché con ordinanza ex art. 39 c.p.c., come novellato con legge n. 69/2009, comporterebbe un irragionevole appesantimento processuale, con necessità di riassunzione della causa, senza che ciò costituisca per alcuna delle parti maggiore garanzia>>[7]. Le ragioni di tale soluzione si individuano sinteticamente: nella mancanza di autonomia, sotto il profilo organizzativo ed ordinamentale, delle Sezioni specializzate; nell’impossibilità di omologarle, per le caratteristiche strutturali, alle Sezioni agrarie, quanto piuttosto alle Sezioni lavoro e Sezioni fallimentari; nella insufficienza della lettera della norma a risolvere la questione, quando utilizza il termine “competenza” (art. 134 D.lgs. n. 30/2005), in quanto lo scopo della norma è la definizione dei confini delle materie devolute alle Sezioni specializzate.

                Nel caso esaminato, la Suprema Corte, nell’affrontare il tema del corretto inquadramento della ripartizione delle controversie tra sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale e sezioni ordinarie, accoglie la tesi della mera ripartizione degli affari all’interno del medesimo ufficio giudiziario. In tal modo gli Ermellini ribaltano completamente l’orientamento formalista espresso in precedenza dalla stessa Corte e aderiscono all’opinione meno rigida emersa nella giurisprudenza di merito; e ciò con tutte le drammatiche conseguenze che ne derivano in punto di certezza del diritto ed anche in termini di allungamento dei tempi processuali.

                 I giudici del Supremo collegio difendono tale soluzione ritenendola giustificata, oltre che dalla diversa composizione delle Sezioni specializzate p.i.i. rispetto alle Sezione agrarie che ne ostacolerebbe l’assimilazione, anche dalla mancanza di una propria autonoma competenza nei riguardi dell’articolazione dell’ufficio giudiziario cui appartengono. E traggono conferma di tali argomentazione direttamente nel dato normativo; dapprima, richiamando l’art. 2, comma 2, D.lgs. n. 168/2003, con il quale ritengono che il legislatore abbia creato delle sezioni “miste” in cui poter trattate sia controversie riguardanti la competenza esclusiva in materia di proprietà intellettuale, che cause ordinarie rientranti nella normale sfera di competenza del tribunale. Ciò dimostrerebbe che la competenza specializzata resterebbe comunque inserita nell’ambito dell’articolazione dell’ufficio giudiziario, non dando luogo ad una competenza separata. Successivamente, la Corte rinvia all’art. 3 D.lgs. n. 168/2003, che espressamente <<qualifica come ‘competenza per materia’ quella in tema di proprietà intellettuale, alla stessa stregua dell’art. 413 c.p.c. che attribuisce la competenza a decidere sui rapporti di cui all’art. 409 c.p.c. al giudice del lavoro, nonché della L. fall. art. 24 che stabilisce ‘la competenza del tribunale fallimentare a decidere di tutte le controversie che derivano dal fallimento’>>.

                 Il provvedimento in commento appare di interesse anche sotto tali profili che hanno formato oggetto di dibattito dottrinale e che meritano un approfondimento.

                 Infatti, con riguardo all’argomento tratto dall’art. 2, comma 2 D.lgs. n. 168/2003, va precisato che parte della dottrina afferma che il legislatore italiano, già con l’art. 16, comma 1 lett. a), della legge delega n. 273/2002, aveva inserito una disposizione che rischiava di mettere in discussione l’impianto della riforma che avrebbe avuto luogo con l’introduzione delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale; infatti, tale norma ne aveva previsto l’istituzione, ma con l’obbligo di non comportare <<oneri aggiuntivi per il bilancio dello stato, né incrementi di dotazione organica>>. Di conseguenza, il legislatore delegato, introducendo l’art. 2, comma 2 del d.lgs. n. 168 del 2003, avrebbe messo le “mani avanti”, prescrivendo per i giudici delle Sezioni specializzate la possibilità di trattare processi diversi, purché ciò non fosse avvenuto a discapito della celerità, cui deve essere improntata la trattazione dei giudizi in materia di proprietà industriale ed intellettuale. Pertanto, si sostiene che una tale eccezione, nel tempo divenuta la regola, renderebbe le Sezioni industriali meno specializzate di quello che avrebbero potuto essere, vista la possibilità di <<trattazione di processi diversi>>[8].

                   Si aggiunge, poi, un’ulteriore argomento a quello posto a fondamento della decisione in esame, secondo cui il riferimento alla <<competenza per materia>> contenuto nella legge istitutiva delle sezioni specializzate (art. 3, D.lgs. n. 168/03) sarebbe da valutare alla stessa stregua di quello contenuto nella normativa in materia di lavoro e fallimentare e, quindi, sarebbe indice favorevole all’assimilazione delle Sezioni industriali a quelle di lavoro e fallimentare, piuttosto che alle sezioni specializzate agrarie. Infatti si osserva che lo stesso art. 4, D.lgs. n. 168/2003[9], espressamente sancisce di essere applicato pur sempre <<all’interno degli ordinari criteri di ripartizione della competenza territoriale>>. Se poi si guarda alla realtà concreta in cui operano quotidianamente le varie sezioni specializzate industriali, si potrebbe giungere alla conclusione di <<dare, senza alcuno scandalo, meno rilevanza alle specificazioni della competenza territoriale previste al momento della nascita delle sezioni medesime>>[10].

                    Per concludere, il legislatore, seguito dalla giurisprudenza di legittimità – anteriore alla pronuncia in esame – ha inizialmente perseguito l’obiettivo, forse ambizioso, di svincolare la branca della proprietà industriale ed intellettuale dalle regole di diritto civile più generale, viste le peculiarità che la caratterizzano. Dapprima, con l’istituzione delle Sezioni specializzate, ex D. lgs n. 168/2003; poi ha proseguito, nel 2005, con l’introduzione del Codice della proprietà industriale, con cui è stata estesa la giurisdizione delle sezioni stesse, ex art. 120[11]. Un ulteriore passo avanti è stato, in seguito, compiuto con le modifiche apportate al C.P.I. dal d.lgs. n. 131/2010; nel quale, si afferma, <<il processo cautelare industrialistico è stato configurato come un come nuovo rito speciale del diritto industriale>>[12]. In tale direzione deporrebbe, infine, anche l’ultima riforma del diritto processuale civile, di cui alla legge n. 69/2009, che dovrebbe aver comunque reso meno macchinosa la pronuncia sull’incompetenza e le conseguenze della medesima, posto che le dichiarazioni di incompetenza vengono ora pronunciate nella forma più snella dell’ordinanza (art. 39 c.p.c.), e posto che il termine di riassunzione della causa è stato ridotto a tre mesi, ex art. 50 c.p.c.[13].

                    A contrario, si è osservato che tale processo di autonomia del diritto industriale si è scontrato con la realtà organizzativa dei nostri Tribunali. Pertanto, ostano alla configurazione della devoluzione delle controversie alle Sezioni specializzate industriali o alle Sezioni ordinarie, come questione di competenza in senso tecnico, difficoltà non indifferenti sia di carattere pratico (di cui sopra), sia di carattere teorico. Si pensi, a mo’ di esempio, all’incertezza interpretativa derivante dalla non troppo chiara definizione normativa della competenza per materia funzionale devoluta alle Sezioni specializzate industriali, che continua ad essere disciplinata dall’art. 3, D.lgs. n. 168/03 e dall’art. 134, C.p.i.[14]. Si tratta, dunque, di elementi che rendono più complesso un sistema processuale già problematico, sfociando in violazioni del principio della “ragionevole durata del processo” costituzionalmente garantito.

                  Tornando, dunque, al provvedimento in rassegna, il Supremo Collegio, con il suo clamoroso revirement, ha voluto forse mettere fine all’incertezza determinata dalla questione del corretto inquadramento della ripartizione delle cause tra le sezioni specializzate e quelle ordinarie, accogliendo le ragioni già manifestate da una parte della giurisprudenza e mostrando, in tal modo, di privilegiare le ragioni dell’economia, della snellezza e della celerità nella trattazione del processo.

                 Interessante sarà osservare le reazioni e le posizioni che assumeranno la giurisprudenza di legittimità e la dottrina, in merito alla questione in commento, alla luce del Decreto “liberalizzazioni”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 20 gennaio scorso, che ha introdotto un’importante modifica all’attuale assetto dei Tribunali specializzati in materia di proprietà industriale ed intellettuale. Infatti, in forza dell’art. 2 del suddetto Decreto Legge, le attuali “Sezioni Specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale” cambieranno il loro nome in “Sezioni specializzate in materia di impresa” ed amplieranno la propria competenza oltre i confini del settore industriale, concorrenziale e della proprietà intellettuale, acquisendo competenza esclusiva in materia di Società per azioni e di Società in accomandita per azioni (ed alle società da queste controllate o che le controllano) e per controversie anche intra-societarie.

Al momento, si registrano opinioni dottrinali e giurisprudenziali notevolmente divergenti. Sarebbe necessario individuare dei parametri stabili – sia sul versante legislativo che in quello giurisprudenziale – che riescano ad incanalare le scelte dei giudici su un binario comune.

 

Avv.to Giorgio Di Majo

Avvocato Cassazionista nel Foro di Santa Maria C.V.

Mail: giorgiodimajo@yahoo.it

Tel:3316816979

Via Politano n. 6, Caserta

 


[1] L’art. 3, d.lgs. n. 168/2003, rubricato Competenza per materia delle sezioni, dispone: <<Le sezioni specializzate sono competenti in materia di controversie aventi ad oggetto: marchi nazionali, internazionali e comunitari, brevetti d’invenzione e per nuove varietà vegetali, modelli di utilità,, disegni e modelli e diritto d’autore, nonché di fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà  industriale ed intellettuale>>.

[2] L’art. 134 C.P.I., rubricato Norme in materia di competenza, nella nuova formulazione ex legge n. 99/2009, stabilisce: “Sono devoluti alla cognizione delle sezioni specializzate previste dal decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168: a) i procedimenti giudiziarie in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale, con esclusione delle sole fattispecie che non interferiscono, neppure indirettamente, con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale, nonché in materia di illeciti afferenti all’esercizio dei diritti di proprietà industriale ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e degli articoli 81 e 82 del Trattato che istituisce la Comunità Europea, la cui cognizione è del giudice ordinario, e in generale in materie che presentano ragioni di connessione, anche impropria, con quelle di competenza delle sezioni specializzate; b) le controversie nelle materie disciplinate dagli articoli 64, 65, 98 e 99 del presente codice; c) le controversie in materia di indennità di espropriazione dei diritti di proprietà industriale, di cui conosce il giudice ordinario; d) le controversie che abbiano ad oggetto i provvedimenti del Consiglio dell’ordine di cui al capo VI di cui conosce il giudice ordinario”.

[3] Cfr. Prado, Sezioni specializzate e assegnazione della causa, in Dir. ind., 2006, Milano, 583 ss..

[4] Cfr. Scotti, Le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale (d. lgs. 168/2003). Osservazioni relative ad alcune questioni processuali, in Giur. mer., 2003, IV, 2607 ss..

[5] Cfr. Casaburi, Sezioni specializzate, sezioni ordinarie e devoluzione delle controversie industrialistiche, in Dir. ind., 2010, Milano, 50 ss..

[6] Cfr. Cass. 14 giugno 2010, n. 14251 in Dir. ind., 2011, 3, 230 ss.; v. anche Cass. 25 settembre 2009, n. 20690, in Dir.. ind., 2010, 50 ss.; Trib. Venezia 30 aprile 2008; Trib. Bologna, sez. II, 22 giugno 2010.

 

[7] Cfr. Trib. Milano, sez. I, 13 aprile 2010; v. anche Trib. Milano, sez. spec. prop. ind., 1 giugno 2009; Trib. Napoli 27 ottobre 2009.

[8] Cfr. Ciccone, Sezioni specializzate e sezioni ordinarie: questione di competenza o di ripartizione interna?, in Dir. ind., 2011, 3, Milano, 243.

[9] L’art.4. d.lgs. n. 168/03, rubricato “Competenza territoriale delle sezioni”, prescrive: <<Le controversie di cui all’articolo 3 che, secondo gli ordinari criteri di ripartizione della competenza territoriale e nel rispetto delle disposizioni normative speciali che le disciplinano, dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari di seguito elencati, sono assegnate alle sezioni specializzate di primo e secondo grado istituite secondo il seguente criterio: a) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Bari, Lecce, Taranto (sezione distaccata), e Potenza: sono competenti le sezioni specializzate di Bari; b) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Bologna e Ancona: sono competenti le sezioni specializzate di Bologna; c) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Catania, Messina, Reggio Calabria e Catanzaro: sono competenti le sezioni specializzate di Catania; d) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Firenze e Perugia: sono competenti le sezioni specializzate di Firenze; e) per i territori ricompresi nel distretto di corte d’appello di Genova: sono competenti le sezioni specializzate di Genova; f) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Milano e Brescia: sono competenti le sezioni specializzate di Milano; g) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Napoli, Salerno e Campobasso: sono competenti le sezioni specializzate di Napoli; h) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Palermo e Caltanissetta: sono competenti le sezioni specializzate di Palermo; i) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Roma, L’Aquila, Cagliari e Sassari (sezione distaccata): sono competenti le sezioni specializzate di Roma; l) per i territori ricompresi nel distretto di corte d’appello di Torino: sono competenti le sezioni specializzate di Torino; m) per i territori ricompresi nel distretto di corte d’appello di Trieste: sono competenti le sezioni specializzate di Trieste; n) per i territori ricompresi nei distretti di corte d’appello di Venezia, Trento e Bolzano (sezione distaccata): sono competenti le sezioni specializzate di Venezia>>.

[10] Cfr. Ciccone, op. cit., 240.

[11]L’art. 120 C.p.i., rubricato <<Giurisdizione e competenza>>, stabilisce: <<Le azioni in materia di proprietà industriale i cui titoli sono concessi o in corso di concessione si propongono dinnanzi l’autorità giudiziaria dello Stato, qualunque sia la cittadinanza, il domicilio e la residenza delle parti. Se l’azione di nullità e’ proposta quando il titolo non e’ stato ancora concesso, la sentenza può essere pronunciata solo dopo che l’Ufficio italiano brevetti e marchi ha provveduto sulla domanda, esaminandola con precedenza rispetto a domande presentate in data anteriore. Le azioni previste al comma 1 si propongono davanti all’autorità giudiziaria del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, del luogo in cui il convenuto ha la dimora, salvo quanto previsto nel comma 3. Quando il convenuto non ha residenza, ne’ domicilio ne’ dimora nel territorio dello Stato, le azioni sono proposte davanti all’autorità giudiziaria del luogo in cui l’attore ha la residenza o il domicilio. Qualora ne’ l’attore, ne’ il convenuto abbiano nel territorio dello Stato residenza, domicilio o dimora e’ competente l’autorità giudiziaria di Roma. L’indicazione di domicilio effettuata con la domanda di registrazione o di brevettazione e annotata nel registro vale come elezione di domicilio esclusivo, ai fini della determinazione della competenza e di ogni notificazione di atti di procedimenti davanti ad autorità giurisdizionali ordinarie o amministrative. Il domicilio così eletto può essere modificato soltanto con apposita istanza di sostituzione da annotarsi sul registro a cura dell’Ufficio italiano brevetti e marchi. La competenza in materia di diritti di proprietà industriale appartiene ai tribunali espressamente indicati a tale scopo dal decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168. Per tribunali dei marchi e dei disegni e modelli comunitari ai sensi dell’articolo 91 del regolamento (CE) n. 40/94 e dell’articolo 80 del regolamento (CE) n. 2002/6 si intendono quelli di cui al comma 4. Le azioni fondate su fatti che si assumono lesivi del diritto dell’attore possono essere proposte anche dinanzi all’autorità giudiziaria dotata ci sezione specializzata nella cui circoscrizione i fatti sono stati commessi>>.

Di Majo Giorgio

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