TAR CATANIA, III, ORD. N. 104 del 4.3.08 solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 comma 1 bis del d.l. 263/06 conv. in legge 290/06, in relazione agli artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36, 97 della Costituzione.

sentenza 27/03/08
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REPUBBLICA ITALIANA          Reg.Ord . 104/08
Reg. Gen. 1220/05
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione Terza, composto dai ******************:
Dott. ***********                     Presidente
Dott.ssa **********************       Giudice
Dott. **************************      Giudice rel.est.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Sul ricorso per decreto ingiuntivo n. 1220/05 R.G., proposto da **** Ugo, rappresentato e difeso dall’avv. *************** presso il cui studio in Catania via Fimia 35 è elettivamente domiciliato;
CONTRO
Il Ministero della Economia e Finanze, in persona del Ministro p.t., e della Guardia di finanza, in persona del Comandante generale pro tempore, domiciliati ex lege presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, in via Vecchia Ognina n°149;
per l’ingiunzione
di pagamento a carico del Ministero della Economia e Finanze, in persona del Ministro p.t., e della Guardia di finanza, in persona del Comandante generale pro tempore, dell’importo di € 4.179,67                                  ( quattromilacentosettantanove/67) oltre interessi e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 429 c.p.c. III comma, con decorrenza dalle singole date di corresponsione delle retribuzioni al soddisfo nonché per le spese e compensi del procedimento monitorio;
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto il decreto ingiuntivo nr. 178 del 14 LUGLIO 2005;
Visto l’atto di costituzione nel giudizio dell’Avvocatura di Stato, in opposizione al decreto ingiuntivo nr. 178/2005;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore all’udienza pubblica del 20 dicembre 2007 il Referendario dr. **************************;
Uditi altresì gli avvocati delle parti, come da relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
IN FATTO
Con il ricorso in esame, parte ricorrente chiede la corresponsione delle somme derivanti dall’applicazione del beneficio della sospensione delle ritenute previdenziali ed assistenziali e l’immediata restituzione di quelle già trattenute sullo stipendio 2002, ai sensi dell’art. 4 del D.L. 04.11.2002 n. 245, conv. Legge 27.12.2002 nr. 286 e dell’art. 5 dell’O.P.C.M. 29.11.2002.
L’Avvocatura di Stato ha eccepito che con O.P.C.M. nr. 3442/2005 è stato riformato, in senso restrittivo e sfavorevole al ricorrente, l’ambito oggettivo e soggettivo dell’ordinanza 29.11.2002 sopra richiamata.
La Sezione, con sentenze nr. 95, 97 e 98 del 26 gennaio 2006, ha annullato la predetta O.P.C.M. nr. 3442/2005.
L’Avvocatura di Stato ha proposto appello avverso le suddette sentenze.
Ai fini della decisione del ricorso è stata quindi disposta la sospensione del giudizio ex art. 297 cpc con sentenza nr. 945/06 emessa il 24 marzo 2006 e depositata in Cancelleria l’ 8 giugno 2006.
Intervenuta la pronuncia di appello sui ricorsi in esame (cfr. tra le varie, CGA nr. 260/07, depositata il 12 aprile 2007) che ha rigettato l’appello nei vari motivi di impugnazione, la parte ricorrente ha chiesto con memoria depositata il 24 aprile 2007 la fissazione dell’udienza ai fini della prosecuzione del giudizio.
L’Avvocatura di Stato, con memoria depositata il 9 novembre 2007, ha eccepito che la materia è stata disciplinata con la norma di cui all’art.6 comma 1 bis  del d.l. 263/06 conv. in legge 290/06 che, disponendo la interpretazione autentica della norma di cui alla legge 24 febbraio 1992, nr. 225, ha sancito, retroattivamente, che le disposizioni delle ordinanze di Protezione civile che “prevedono il beneficio della sospensione dei versamenti dei contributi previdenziali ed assistenziali e dei premi assicurativi, si applicano esclusivamente ai datori di lavoro privati avente sede legale ed operativa nei comuni individuati da ordinanze di protezione civile” e con l’esclusione, quindi dei datori di lavoro pubblici.
Alla udienza pubblica del 20 dicembre 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.
IN DIRITTO
Il ricorso in esame, in applicazione della normativa di cui all’art. art. 6 comma 1 bis del d.l. 263/06 conv. in legge 290/06, dovrebbe essere respinto, dichiarandosene l’inammissibilità, in quanto l’applicazione del beneficio di cui al combinato disposto dell’art. 4 del D.L. 04.11.2002 n. 245, conv. Legge 27.12.2002 nr. 286 e dell’art. 5 dell’O.P.C.M. 29.11.2002 è interdetta ai dipendenti dei datori di lavoro pubblici, tra i quali rientra il ricorrente in questione (Consigliere di Cassazione in servizio presso la Procura della Repubblica di Catania, con funzioni di Procuratore aggiunto).
Ma, a fronte di questa prospettiva, il Collegio non può non avvertire, d’ufficio, la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di incostituzionalità della norma sopra richiamata, in quanto affetta da manifesta disparità di trattamento, abnormità della disposizione, violazione dei limiti del potere legislativo, violazione del principio di separazione dei pubblici poteri.
     La questione, ad avviso del Collegio, è rilevante e non manifestamente infondata.
     Sulla rilevanza
     La decisione del giudizio dipende interamente dall’applicazione della norma invocata dalla difesa erariale, la quale condurrebbe a negare al ricorrente il diritto al beneficio emergenziale di cui all’OPCM 29.11.2002.
     La rilevanza della questione di legittimità costituzionale è evidente : l’applicazione della norma è estesa a tutti i provvedimenti che trovano il loro presupposto giuridico nella legge  24 febbraio 1992, nr. 225 (e tale è la fattispecie all’odierno esame del Collegio) ed impone di interpretare i provvedimenti amministrativi o normativi generali (quali, appunto, quelli contenuti nella citata OPCM) nel senso di escluderne dall’ambito applicativo i soggetti diversi dai datori di lavoro privati (pertanto, si osserva incidentalmente che l’esclusione riguarda sia il c.d. “pubblico impiego non contrattualizzato” – nell’ambito del quale rientra il ricorrente- che il pubblico impiego interamente soggetto al regime di cui al dlgs 165/2001).
     Più precisamente, il beneficio economico cui il ricorrente aspira è disciplinato dal combinato disposto dell’art. 4 del D.L. 4/11/2002 n.245, conv. con modificazioni nella L. 27/12/2002 n.286 che dispone la sospensione dei termini “…anche previdenziali”, e del comma uno dell’art. 5 dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29/11/02 n.3254 che dispone:“ Nei confronti dei soggetti residenti, aventi sede legale od operativa nel territorio di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 ottobre 2002 sono sospesi, fino al 31 marzo 2003 (termine successivamente prorogato), i versamenti dei contributi di previdenza ed assistenza sociale e dei premi per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, ivi compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti…”.
L’art. 4 del DL 245/2002, peraltro, non può neppure essere considerata come atta a fondare – autonomamente rispetto alla legge 225/1992, così come reiterpretata alla luce dell’art. 6 comma 1 bis del d.l. 263/06 conv. in l. 290/06 – il provvedimento contenuto nella OPCM del 29.11.2002, perché (a tacere delle evidenti correlazioni tra i rispettivi istituti) la disposizione del 2006, avendo contenuto inconciliabile rispetto all’art. 4 del D.L. 4/11/2002 n.245, conv. con modificazioni nella L. 27/12/2002 n.286, impone all’interprete di ritenere quest’ultima disposizione evidentemente abrogata in parte qua
La chiara dizione dell’articolo 6 comma 1 bis del d.l. 263/06 conv. in legge 290/06, non consente, infine, di operare alcuna interpretazione correttiva o adeguatrice della disposizione in esame, la quale, in effetti (per come sarà meglio chiarito oltre), assume a proprio presupposto non tanto l’esigenza di chiarire una ambiguità interpretativa, quanto quella di correggere l’intervento di pubblici poteri “re melius perpensa” essendo stato ritenuto ex post che il beneficio emergenziale di protezione civile che riguarda la sospensione dei versamenti di ritenute previdenziali ed assistenziali incidesse eccessivamente sulle finanze pubbliche (ratio legis quest’ultima emergente dalla considerazione di quanto è stato apertamente indicato nella OPCM 3442/2005, atto asseritamente di interpretazione autentica della OPCM 29.11.2002 ed annullato dalla Sezione con sentenze nn. 95, 97 e 98 del 2006).
Ne consegue che, in applicazione della norma di cui all’art. 6 comma 1 bis più volte citato, l’OPCM del 29.11.2002 deve oggi sicuramente ritenersi applicabile ai soli datori di lavoro privati, ed essendo la norma come tale chiaramente ostativa al riconoscimento del beneficio richiesto dal ricorrente ****, il Collegio dovrebbe pertanto respingerne il gravame, ed accogliere l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta dalla difesa erariale (con conseguente revoca o annullamento dello stesso), se, tuttavia, non dubitasse della legittimità costituzionale di essa.
     La rilevanza di tale questione appare dunque evidente.
 
     Sulla non manifesta infondatezza.
     Le ragioni della questione di legittimità costituzionale, che si esporranno non appaiono al Tribunale manifestamente infondate, sussistendo, al contrario, gravi ragioni di illegittimità costituzionale della norma in esame, in relazione alla ingiustificata disparità di trattamento, alla evidente irrazionalità ed abnormità della disposizione, alla violazione dei principi in materia di tutela del lavoro, ed alla violazione del principio di separazione dei poteri.
 I differenti motivi di illegittimità della disposizione in esame possono essere trattati come meglio di seguito espresso.
 
A) violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione – Violazione dell’art. 32 della Costituzione – Violazione degli artt. 4, 35 e 36 della Costituzione – Ingiustificata e manifesta disparità di trattamento.
1) Va preliminarmente osservato che il beneficio in questione (cui il ricorrente aspira), disposto per i paesi colpiti dal fenomeno eruttivo dell’Etna del 2002, appare manifestamente rivolto ad assicurare l’adempimento dei doveri di solidarietà sociale che, ex art. 2 della Costituzione, la Repubblica richiede e pertanto riconosce e garantisce. In questo senso, lo sforzo economico che la misura emergenziale comporta, pone a carico del pubblico erario un “ammortizzatore” del costo che le popolazioni interessate sono chiamate a svolgere per mantenere, nei limiti del possibile, l’ordinario livello quali-quantitativo di vita, compromesso nel suo andamento dal fenomeno naturale la cui insolita potenza ha costituito, per l’appunto, il presupposto dell’intervento stesso di protezione civile.
L’esercizio dei pubblici poteri rappresenta, in relazione alle popolazioni colpite dagli eventi naturali (come del resto accade in altri scenari di catastrofi naturali, come i terremoti), non solo l’adempimento degli obblighi di tutela e di intervento dello Stato volti a fronteggiare direttamente l’emergenza ma, nella misura in cui dispone misure economiche di assistenza attiva come quelle in esame, anche l’adempimento di obblighi di solidarietà sociale di cui l’intera comunità nazionale è portatrice. Appare evidente, infatti, che la sospensione del versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, nella misura in cui aggravia l’erario di una minore entrata (o, più precisamente, di una entrata differita nel tempo e quindi di un minore valore reale della medesima quantità nominale di moneta), implica che aumenta, proporzionalmente, la qualità della pressione parafiscale che grava su tutti gli altri dipendenti (essendo immutato il valore del “prodotto finale”, dato dall’erogazione dell’assistenza o della previdenza).
Ne consegue che limitare tale beneficio solo ad una categoria di lavoratori e non ad altre, comporta che nei confronti di queste ultime viene negata la solidarietà sociale della comunità nazionale, per effetto di una limitazione dei corrispondenti strumenti di intervento pubblico a carattere socio-assistenziale.
E’ appena il caso di sottolineare l’importanza che il valore della solidarietà sociale, nell’attuale Ordinamento, rappresenta in sé ed altresì al fine della coesione e della unità nazionale: a fondamento di una Comunità si pone la condivisione di fini e risorse, e l’identità di un Paese nasce dalla percezione diffusa di tale condivisione. Laddove, pertanto, una parte, non importa quanto estesa o minore, di questa Comunità si trova esposta ad una situazione di emergenza che ne compromette la sicurezza, l’andamento della vita quotidiana e l’ordinario livello di sviluppo, è inderogabile dovere dell’istituzione che rappresenta la Comunità tutta intervenire senza distinzioni di alcun genere (di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche o di condizioni personali e sociali, quindi neppure di condizioni lavorative), posto che è compito della Repubblica rimuovere quelle condizioni (come la situazione di emergenza accaduta nel 2002 nella zona dell’Etna) che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
3) Il beneficio in questione si propone anche di tutelare il diritto alla salute, costituzionalmente garantito ex art. 32 ed inteso, come la giurisprudenza costituzionale insegna, come non semplicemente diritto alla integrità psicofisica (peraltro compromessa dai livelli di cenere diffusi nell’aria al momento dell’evento eruttivo) ma diritto alla tutela del complessivo benessere fisico e psicologico della persona. Tramite la sospensione dei termini di versamento dei contributi di natura assistenziale e previdenziale, l’Amministrazione, nell’esercizio dei suoi poteri normativi extra ordinem attribuitile dal legislatore, ha così realizzato, senza diretta spesa, ma assumendo l’onere di una minore entrata, un accrescimento in termini di valore monetario delle retribuzioni dei lavoratori, i quali hanno così percepito una utilità rivolta a consentire loro di adeguatamente fare fronte alle esigenze di tutela del proprio benessere (e di quello dei familiari a carico) a fronte di un evento per definizione tale da incidere sui livelli di vita precedenti.
Negare tale beneficio ad una categoria di lavoratori, implica diminuire per questi ultimi i livelli collettivi di assistenza sanitaria riconosciuti ai dipendenti di datori di lavoro privati, con evidente violazione dell’art. 32 della Costituzione.
4) Sotto altro profilo (ed anche in subordine rispetto alla violazione dell’art. 32 della Costituzione), la norma legislativa viola i principi in materia di tutela del lavoratore (artt. 4, 35 e 36 della Costituzione), perché “abrogando” il beneficio economico ed assistenziale descritto più volte, ha determinato una ingiustificata riduzione del livello retributivo che era stato potenziato con l’intervento di protezione civile operato con l’OPCM 29.11.2002.
Quest’ultimo, operando una riduzione (sia pure temporanea) della differenza tra retribuzione lorda e retribuzione netta percepita, ha evidentemente concorso ad adeguare la seconda alla prima, aumentandone il valore economico disponibile per il lavoratore, che ha avuto modo, quindi, di confidare sulla accresciuta disponibilità economica per poter fare fronte alle conseguenze dell’emergenza naturale.
Anche sotto il profilo della violazione dell’affidamento, quindi, ai dipendenti del settore pubblico, tra i quali l’odierno ricorrente, è stata sottratta una disponibilità retributiva della quale era stata inizialmente assicurata la disponibilità e, pertanto si è inciso sulla “adeguatezza” della retribuzione in relazione allo specifico momento e contesto emergenziale.
5) La disposizione in esame costituisce un motivo di evidente disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 della Costituzione tra lavoratori dipendenti della Pubblica Amministrazione, e lavoratori dipendenti da privati. La disparità di trattamento è già evidenziata in relazione alla diversa tutela inerente i beni costituzionalmente rilevanti illustrati subb 2, 3 4 e 5, ed è, per quanto prima esposto, di per sé evidente, così che  non necessiterebbero di altro commento.
Tuttavia, ad un opportuno approfondimento, giova osservare che non sussiste alcuna ragione giustificativa di tale disparità.
In primo luogo, la conduzione di attività alle dipendenze di datori di lavoro pubblici, anziché privati, non implica una sostanziale diversità di contenuti nei doveri di protezione del lavoratore che incombono sia sugli uni che sugli altri; egualmente comuni sono gli altri tratti distintivi del rapporto di servizio, quali la subordinazione e la esclusività del rapporto. Quindi assolutamente analoga è l’incidenza dell’evento naturale che rende necessitato l’intervento della Protezione Civile, sull’esecuzione della prestazione lavorativa, ossia sono del tutto identiche le serie difficoltà che tutti i lavoratori, sia pubblici che privati, hanno dovuto sostenere per continuare a prestare la propria attività a servizio delle istituzioni (come nel caso del ricorrente odierno) o delle aziende private.
In questo senso, comune è l’esigenza di tutela di cui le diverse categoria sono portatrici, in quanto il fenomeno eruttivo ha inciso, alterandone la qualità, sulle condizioni di vita di tutti i lavoratori indistintamente, sia pubblici che privati.
Si pensi che, durante il fenomeno in questione, la ricaduta della cenere sulle città del comprensorio, ha notoriamente determinato fortissime conseguenze in termini di spostamenti (e quindi di possibilità di recarsi al lavoro), di salubrità dell’aria, di funzionamento dei servizi pubblici ( basti ricordare che l’aereoporto di ************* è stato chiuso al traffico aereo) di igiene e pulizia delle strade e delle abitazioni e così via.
In conclusione, nessuna refluenza in termini di ratio di tutela la difformità di disciplina in esame può esplicare sulla applicazione dei benefici emergenziali di protezione civile in questione, essendo questi ultimi legati non tanto alla qualità o quantità di lavoro, ma alla tutela di beni costituzionalmente garantiti propri della persona umana e delle formazioni sociali ove essa svolge la propria personalità.
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B) Irragionevolezza ed abnormità della disposizione. Violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Il Collegio si richiama a quanto recentemente statuito dalla Corte Costituzionale, la quale ha avuto modo di affermare che “nel giudizio sulla legittimità costituzionale delle norme di interpretazione autentica non è decisivo verificare se la norma abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, in quanto il divieto di retroattività della legge non è stato elevato a dignità costituzionale, salva per la materia penale la previsione dell’art. 25 cost.” inoltre, prosegue la Corte, “il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni di "interpretazione autentica", che determinano – chiarendola – la portata precettiva della norma interpretata fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti” (Corte costituzionale, 07 luglio 2006 , n. 274)
  Nella fattispecie all’esame della Corte, la norma interpretata dalla disposizione censurata (recante un divieto di cumulabilità delle agevolazioni contributive) era, sin dall’inizio, una delle possibili letture, sicché la norma di interpretazione autentica non è stata ritenuta irragionevole, limitandosi ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già da essa desumibile.
 A giudizio del Collegio, nella fattispecie odierna nessuna ragionevolezza può riconoscersi alla disposizione censurata, né, d’altrocanto, essa interviene a dirimere una originaria ambiguità interpretativa, posto che la norma di cui all’OPCM del 29.11.2002 è chiara nel non discriminare tra i vari beneficiari della misura in esame sia i dipendenti di datori di lavoro privati che i dipendenti di datori di lavoro pubblici (cfr. TAR Catania, III, sent. nn. 95, 97 e 98 del 2006; tali pronunce sono passate in cosa giudicata).
 Alla luce delle considerazioni espresse prima in ordine ai beni costituzionalmente rilevanti che la misura di assistenza emergenziale si propone di tutelare, la disposizione censurata appare dunque irragionevole ed addirittura abnorme.
 L’irragionevolezza risiede nella circostanza che il legislatore, in presenza di una dimensione di emergenza che riguarda tutto il territorio interessato alla eruzione dell’Etna, e dunque tutti i soggetti che vi operano e che sono stati chiamati a prestare attività lavorativa nelle proibitive condizioni ambientali che l’eruzione vulcanica ha determinato, sceglie di assistere solo una categoria di soggetti, individuati con un criterio che, pur se oggettivo, nella sua estrema semplicità è del tutto slegato da qualsiasi collegamento fattuale o funzionale con l’emergenza da affrontare. Quindi, sul piano logico, la scelta normativa non aiuta a comprendere in alcun modo la motivazione della esclusione, neppure nell’ambito, così ampio, della discrezionalità legislativa.
  L’abnormità della disposizione, inoltre, discende dalla precedente considerazione, perché, per raggiungere lo scopo di discriminare nell’ambito della medesima situazione tra vari destinatari potenziali degli interventi emergenziali, ha operato una modifica legislativa con effetto retroattivo che incide non sulla legge, pure formalmente oggetto della nuova norma, ma, essenzialmente sull’esercizio dei poteri di amministrazione demandati alla Protezione Civile: la stessa P.A., laddove si fosse resa conto di avere creato i presupposti per un esborso a carico dell’Erario non preventivabile ex ante e rivelatosi eccessivo ed insostenibile ex post, o anche se avesse ritenuto ad un ripensamento dei presupposti della propria azione, che i lavoratori pubblici non necessitassero di assistenza, avrebbe dovuto fare uso dei propri poteri di riesame dei provvedimenti emanati, con ogni conseguente statuizione (salvi i principi posti dalla legge per la revoca o annullamento di atti o provvedimenti amministrativi ed il rispetto dei diritti quesiti).
 A proposito dei diritti quesiti, la retroattività della norma travolge anche le situazioni consolidate, sempre senza alcuna giustificazione plausibile o evidente, infliggendo così un grave vulnus alla immagine dello Stato ed alla credibilità delle Istituzioni le quali, dapprima, nell’emergenza, assicurano determinati tipi di intervento a tutti i cittadini (con impegni il cui onere non era difficilmente preventivabile), creano così l’affidamento dei destinatari su questo tipo di interventi e poi, finita l’emergenza, e per mezzo della funzione legislativa, revocano i benefici concessi e nullificano il rapporto di assistenza e sostegno che, pure, esse stesse avevano creato con i consociati colpiti dalle calamità naturali.
 La Sezione aveva già avuto modo di affermare con le sentenze nn. 95, 97 e 98/2006 già richiamate, che la OPCM del 29.11.2002 era chiara nel ricomprendere nell’ambito della sua efficacia sia i datori di lavori privati che quelli pubblici: “….Sostiene la difesa erariale … che l’ordinanza del 29.11.2002, all’art. 5, era già da interpretarsi nel senso di aver disposto le provvidenze in esame a favore dei soli imprenditori privati; ma nessun elemento strutturale o letterale dell’ordinanza in esame supporta la interpretazione restrittiva che ne dà la difesa erariale. A fronte di ciò, le richieste dei ricorrenti sono invece chiaramente fondate sulla lettera dell’art. 5 della citata Ordinanza 29.11.2002 n°3254, che dispone espressamente la sospensione dei versamenti senza alcuna distinzione tra datori di lavoro pubblici e privati e relativi dipendenti”.
 Già in quella sede, la Sezione aveva anche affermato che: “…i provvedimenti emergenziali adottati nelle funzioni di Protezione Civile, proprio per la loro indiscussa e pacifica capacità di innovare temporaneamente l’Ordinamento, salvi i soli principi generali di quest’ultimo, devono essere formulati in maniera dettagliata e la lettera di essi costituisce argomento interpretativo cui fare riferimento in maniera altrettanto rigorosa. Ciò infatti, è naturalmente proprio di fonti del diritto che contengono ordini, direttive e disposizioni volte a far fronte a situazioni di emergenza, situazioni cioè connotate da un particolare deficit di riferimento sociale e quindi anche normativo, a fronte del quale l’intervento emergenziale trova la sua giustificazione causale. Se così è, il dato letterale della fonte normativa di Protezione civile deve essere considerato con il particolare rigore proprio di ogni atto o fatto suscettibile di apportare deroghe all’Ordinamento per due motivi. In primo luogo, il contesto di emergenza non consente di poter fare riferimento ad altri canoni interpretativi che richiedono la correlazione della fonte con le altre fonti dell’Ordinamento. Infatti, per definizione, in virtù della situazione emergenziale vengono meno gli ordinari strumenti di intervento dell’Ordinamento così che è necessario conferire capacità derogatoria alla fonte normativa speciale di Protezione Civile affinché possa opportunamente colmare il vuoto normativo derivante da eventi eccezionali ed imprevedibili con provvedimenti ed ordini contingibili, i quali pertanto devono essere, per così dire, “autosufficienti” ossia capaci di provvedere all’emergenza da soli. …. In secondo luogo, proprio l’attitudine (e la vocazione) ad intervenire “derogando” per fare fronte a situazioni di emergenza che le norme ordinarie non consentirebbero (o addirittura impedirebbero) di affrontare (perlomeno con i necessari ed accelerati tempi tecnici necessari), fonda la caratteristica propria di questi provvedimenti che si può rinvenire nella peculiare attitudine di essi a fondare l’affidamento dei destinatari. La comunicazione pubblica insita nel provvedimento tipico di Protezione Civile e la potestà derogatoria di esso sono (devono essere) infatti tali da consentire e fondare nei destinatari di esso il massimo grado di affidamento sulle disposizioni che vengono impartite ed erogate; altrimenti, anche qui verrebbe meno l’attitudine della pubblica funzione della Protezione civile di “gestire” adeguatamente le situazioni di emergenza, perché il grado di efficacia ed incisività dell’intervento dipende proporzionalmente ed in via immediata e diretta dalla capacità dell’intervento straordinario di essere chiaro, esaustivo, completo, in relazione all’evento-danno che sta compromettendo la ordinaria funzionalità del sistema-società civile. Quindi, nei provvedimenti di protezione civile “tipici” la lettera fonda il provvedimento, poiché i limiti della deroga devono essere interpretati rigorosamente sia nel senso di definire esattamente quali sono le parti dell’Ordinamento che vengono sospese o limitate e sia nel senso di definire esattamente quali siano le misure concrete che, nell’ambito di tale deroga, si inseriscono nel sistema delle fonti. Ciò posto, venendo all’esame dell’OPCM del 29.11.2002, come si è detto prima la lettera dell’art.5 è tale da non consentire interpretazioni equivoche o dubbie. Le tesi difensive dell’Avvocatura potrebbero trovare un loro indice testuale solo nel preambolo dell’Ordinanza, ove si fa riferimento alla necessità di tutelare le attività produttive ed i servizi pubblici essenziali. Ma tale riferimento è peraltro carente di un presupposto sostanziale: l’Ordinanza reca disposizioni molto eterogenee tra loro e sono tutte riferibili al medesimo preambolo motivazionale, chiamato a dare forma alla espressione dell’interesse pubblico perseguito dall’Ordinanza medesima. Ragione per cui, la struttura stessa del provvedimento è tale da dover imporre di considerare i riferimenti motivazionali del preambolo a tutto il contenuto del successivo articolato, rivelandone quindi la funzione di mera clausola di stile o comunque di finalità generale che si intende perseguire insuscettibile come tale di fondare interpretazioni teleologicamente orientate dei successivi articoli; il tutto a tacere, tra l’altro, che il riferimento ai servizi pubblici essenziali è già prova letterale che comunque nella “platea” dei destinatari della norma non possono essere considerati acriticamente solo i lavoratori e le aziende private, trovandovisi espressamente ricompresi anche quelli riferibili ai detti servizi pubblici essenziali”.
  Le motivazioni delle sentenze di questa Sezione nn. 95, 97 e 98/2006 vanno qui richiamate e riportate, perché concorrono a sostenere la non manifesta infondatezza del dubbio di illegittimità costituzionale della disposizione normativa in esame, considerato che quest’ultima altro non si rivela essere che la trasposizione in sede legislativa di argomenti difensivi utilizzati nei giudizi precedenti, argomenti che erano già stati respinti sia in primo grado che in sede di appello.
Sotto tutti questi aspetti la norma, dunque, si segnala per il particolare disordine che crea nella relazione tra cittadini ed istituzioni, e se ne conferma quindi un giudizio di abnormità ed irragionevolezza sotto i vari aspetti evidenziati.
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Violazione del principio di separazione dei poteri
     Richiamato quanto ritenuto nelle sentenze di questa Sezione nn. 95, 97 e 98 del 2006, appare evidente che, nella fattispecie in cui l’Amministrazione interviene con poteri di Protezione Civile, gli impegni di spesa che assume in tale frangente per fare fronte all’emergenza, pur se possiedono la peculiare natura di atti straordinari, sono pur sempre atti amministrativi, attuativi di esercizio di potere connotato da una forte supremazia specifica, in quanto rivolto (anche in deroga a norme dell’Ordinamento) a fronteggiare situazioni ove, a causa dell’emergenza, gli ordinari limiti, tempi e procedure, del potere amministrativo non consentirebbero di curare adeguatamente e tempestivamente le esigenze delle popolazioni colpite dalla calamità naturale.
     Ciò premesso, già nelle sentenze nn. 95, 97 e 98 del 2006 la Sezione evidenziava come l’eventuale riconsiderazione dell’emergenza dalla quale derivi la constatazione che l’impegno finanziario è stato eccessivo, sovradimensionato o inefficace e come tale va ridotto, deve essere oggetto di adeguata ponderazione, ovviamente nel rispetto delle ordinarie procedure di legge, essendo cessato il fatto causativo della emergenza.
     Laddove il legislatore, invece, interviene con una norma di legge finalizzata a revocare atti sostanzialmente e formalmente amministrativi (siano pure questi ultimi inseriti nella gerarchia delle fonti, in quanto aventi capacità di innovare l’Ordinamento, nei limiti in cui possono essere in deroga a norme di legge), di fatto invade il campo di competenza dell’Amministrazione ossia del potere esecutivo.
     La dimostrazione dell’avvenuto “straripamento” di potere legislativo si trova nella lettera della norma di cui alla legge 225/92 che non disciplina direttamente benefici quali quelli oggetto dell’’art. 6 bis varie volte citato, con la conseguenza che manca l’oggetto della interpretazione autentica (ossia la norma ambigua), risolvendosi l’efficacia della norma interpretativa in una correzione materiale dell’ambito di applicazione della legge 225/92 e, mediatamente, dei suoi provvedimenti applicativi.
     Appare dunque evidente che il vero scopo del legislatore non è quello di risolvere una ambiguità interpretativa, ma di rivedere l’avvenuto esercizio del potere amministrativo di protezione civile, discriminando ex post, tra più soggetti aventi originariamente titolo a ricevere le relative prestazioni, quali mantenere nel novero degli interventi medesimi di protezione civile e quali escludere, attività queste, come si vede, del tutto incompatibili con l’ambito ordinario di intervento del legislatore, perché di Amministrazione attiva e quindi di competenza dell’Esecutivo.
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     Conclusivamente, apparendo rilevante e non manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 6 comma 1 bis del d.l. 263/06 conv. in legge 290/06, per violazione degli artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36, 97 della Costituzione, a norma dell’art. 23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, va disposta l’immediata trasmissione degli alla Corte Costituzionale, per la risoluzione della questione incidentale di costituzionalità di cui trattasi, disponendosi conseguentemente la sospensione del giudizio.
 
 
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania (sez. I):
ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 comma 1 bis del d.l. 263/06 conv. in legge 290/06, in relazione agli artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36, 97 della Costituzione;
visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge Costituzionale 09.02.1948, n.1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
sospende il giudizio in corso ed ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale perché si pronunci sulla questione di legittimità costituzionale delle norme di legge sopraindicate;
dispone che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti delle Camere.
Così deciso in Catania, in camera di consiglio, in data 20/12/2007.
 
________________________________ Presidente
 
________________________________ Estensore
 
 
Depositata in Segreteria il  04 marzo 2008

sentenza

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