Sussiste responsabilità per violazione del consenso informato qualora il paziente provi che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato la prestazione sanitaria

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precedenti giurisprudenziali: Cass., 11/11/2019, n. 28985; Cass., 11/11/2019, n. 28985, cit.; Cass., 11/11/2019, n. 28991; Cass., Sez. U., 11/01/2008, n. 577; Cass., n. 28991 del 2019; . Cass., 08/03/2016, n. 4540;

Il fatto

A seguito di gravi danni subiti alla nascita da parte del minore, i genitori di questo si rivolgevano al Giudice di primo grado chiedendo di condannare il dottore che aveva in cura la gestante e l’Azienda sanitaria locale al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti a seguito delle conseguenze subite dal minore al momento della nascita.

I ricorrenti nel ricostruire l’evento occorso, dichiaravano che nel corso del travaglio, iniziato in modo del tutto naturale, era emersa una significativa bradicardia del nascituro, tanto che veniva deciso di contattare telefonicamente il medico, che aveva in cura la gestante, che, però, decideva di non intervenire, non raggiungendo, quindi la gestante, e non sottoponendola ad alcuna visita.

I ricorrenti, poi, evidenziarono al Giudice che, successivamente a questo evento, era stato deciso di non trasferire la gestante in altra struttura ospedaliera per eseguire il parto cesareo, ma di proseguire con il parto naturale. Il bambino nasceva cianotico e con gravi problemi respiratori, e veniva, così, sottoposto a manovre rianimatorie.

A quel punto il personale sanitario decideva di trasferire il bambino in altra struttura ospedaliera. Dove veniva diagnosticata al bambino un’encefalopatia in esito a sofferenza ipossico ischemico neonatale, caratterizzata da tetraparesi spastica distonica e ritardo piscomotorio.

Il Giudice di primo grado, ascoltate le parti, rigettava il ricorso, non accogliendo la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.

Secondo il Giudice, il medico, che era stato scelto dai genitori in modo consapevole, non aveva caratteristiche ospedaliere ma di casa di maternità, con assistenza esclusivamente ostetrica, senza intervento medico. Si trattava quindi di un parto domiciliare organizzato.

Inoltre, sempre secondo il parere del Giudice di primo grado, anche la condotta delle ostetriche, se pur colposa, non era causa dei gravi deficit che il minore presentava dopo la nascita, e questo perché anche se le ostetriche avessero scelto di trasferire la gestante in ospedale, e anche laddove questa scelta fosse stata tempestiva, il tempo necessario per raggiungere l’ospedale non avrebbe permesso un utile intervento cesareo, idoneo ad evitare le conseguenze pregiudizievoli che si sono, poi, verificate alla nascita.

I ricorrenti, per niente soddisfatti della decisione del Giudice di primo grado, decidevano di rivolgersi alla Corte di appello, che in disaccordo con la decisione del Tribunale, accoglieva il ricorso, riformando la sentenza di primo grado e riconoscendo il diritto dei genitori a vedere risarcito il danno patrimoniale e non patrimoniale subito dal minore.

Secondo i Giudici della Corte d’appello, i danni subiti dal minore al momento del parto erano stati causati dallo stato di ipossia asfissia verificatosi in occasione del travaglio. Le manovre di rianimazione neonatale delle ostetriche erano state inidonee ad evitare le conseguenze subite dal minore.

Oltretutto, se le ostetriche avessero deciso di trasferire la gestante nella struttura ospedaliera, se pur il tempo di trasferimento non avrebbe garantito un utile taglio cesareo, si sarebbero potute evitare le conseguenze, in realtà causate, dell’ipossia; ciò, in quanto le corrette tecniche di rianimazione effettuate nella immediatezza da un medico competente, con attrezzature idonee, avrebbero potuto certamente evitare, o comunque, attenuare le devastanti conseguenze subite.

Detto questo, la Corte d’Appello, chiudeva il suo ragionamento ritenendo che, a prescindere da tutto, la responsabilità delle ostetriche era stata accentuata dalla cattiva organizzazione della struttura, in quanto ci sarebbe dovuto essere un presidio medico e chirurgico nella “assoluta prossimità”. Tale aspetto, ovverosia che “vi era l’opportuna presenza di un ospedale ad alcuni minuti dal centro nascita, per le urgenze eventuali”, risultava tra le informazioni che erano state date ai genitori e sulle quali avevano, altresì, prestato consenso scritto.

Soccombente nel giudizio di secondo grado, per quanto qui di interesse, l’Azienda Sanitaria Locale, con sei motivi di ricorso, adiva la Corte di Cassazione per impugnare la sentenza della Corte d’appello.

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La decisione della Corte di Cassazione

Esaminati congiuntamente i sei motivi di ricorso proposti dall’Azienda sanitaria locale, la Corte di Cassazione, ha ritenuto fondato il ricorso.

Gli Ermellini, hanno iniziato la loro analisi soffermandosi sul mutamento della domanda di risarcimento del danno alla salute da inadempimento contrattuale, in quella relativa alla violazione del consenso informato.

La Corte di Cassazione, in tema di responsabilità sanitaria, ha, più volte ribadito, che qualora venga provato, come conseguenza della mancata acquisizione del consenso informato, un danno c.d. biologico, ai fini dell’individuazione della causa “immediata” e “diretta”, occorre accertare, mediante un giudizio controfattuale, quale sarebbe stata la scelta del paziente ove correttamente informato, posto che, se egli avesse prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento, la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute (determinata dalla successiva errata esecuzione della prestazione professionale), mentre, se egli avesse negato il consenso, il danno c.d. biologico scaturente dall’inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile “ab origine” alla violazione dell’obbligo informativo, e concorrerebbe, unitamente all’errore relativo alla prestazione sanitaria, alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno-conseguenza.

Nel caso di specie, secondo i Giudici di legittimità, la Corte di appello ha ritenuto, che i genitori del nascituro non avrebbero prestato il consenso se fosse stato idoneamente chiarito che, per il posto dove si trovava la struttura, i tempi per raggiungere l’ospedale non erano brevi (“alcuni minuti”, come specificato nell’informativa), ma fino a circa un’ora e mezzo, tempi sicuramente non idonei a far fronte ad emergenze.

In questo caso, però, la Corte di appello, collocando il rilievo della violazione del consenso informativo nella sequenza causale, avrebbe dovuto procedere a un giudizio controfattuale valutando se, anche in presenza di un presidio ospedaliero vicino, si sarebbe potuto, o meno, evitare l’evento dannoso. Invece, la Corte territoriale si è limitata ad affermare che l’incertezza sulla tempistica era da addebitarsi sia in capo alle ostetriche che all’azienda sanitaria dal punto di vista dell’organizzazione del centro, e concludendo, poi, che se la gestante fosse stata trasportata in ospedale l’evento di danno non si sarebbe verificato o almeno le conseguenze sarebbero state meno gravi.

La Corte di Cassazione ha ricordato che ove sia dedotta la responsabilità contrattuale per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra la patologia e la condotta, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione. Qualora resti ignota la causa dell’evento di danno, le conseguenze sfavorevoli saranno a carico del creditore della prestazione, qualora invece rimanga ignota la causa dell’impossibilità sopravvenuta ovvero l’imprevedibilità e inevitabilità di tale causa, le suddette conseguenze ricadranno a sfavore del debitore.

In ultimo, la Corte di Cassazione ha ritenuto errata la decisione della Corte d’Appello perché questa avrebbe deciso sulla domanda di rifusione del danno da perdita di “chances”, e non sulla vera domanda posta dai genitori ovvero quella di risarcimento del danno alla salute e dei danni allo stesso correlati.

La domanda di rifusione del danno da perdita di “chances” è una specifica domanda, diversa da quella di generale risarcimento del danno alla salute, e diretta non a porre in relazione la condotta contestata con un pregiudizio subito alla propria integrità personale, ma a porre in relazione quella condotta, omessa, con la determinazione, venuta così meno, di una situazione che avrebbe invece offerto, sempre secondo il criterio del “più probabile che non”, una significativa possibilità perduta, in termini, nel caso di specie, di situazione psicofisica e correlata qualità della vita.

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