Stop del TAR Lazio alle specializzazioni nella professione forense

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Annullato il regolamento adottato il 24.9.11 dal Consiglio nazionale forense, che sarebbe dovuto entrare in vigore il prossimo 30.6.11.

Con la sentenza in rassegna, infatti, il Tar Lazio ha accolto il ricorso proposto da un gruppo di avvocati del foro di Roma.

Per il TAR Lazio un semplice regolamento non può derogare alla legge ordinaria: dovrà dunque provvedere il legislatore ordinario.

Secondo i giudici capitolini, infatti, il Cnf non è legittimato a intervenire sulla materia delle specializzazioni, cosa che si risolve in una vera e propria riforma della professione.

In particolare, il Collegio ha rilevato come non si riesce a “comprendere da quale fonte normativa il Cnf abbia derivato la potestà, esercitata con l’atto impugnato, di creare ex novo una figura professionale precedentemente non contemplata dal vigente ordinamento – quella dell’avvocato specialista – che si aggiunge alle figure dell’avvocato iscritto all’albo e dell’avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori”.

 

N. 05153/2011 REG.PROV.COLL.

N. 10932/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10932 del 2010, proposto da:
****, in proprio nonché assistiti e difesi dall’avv. ****************, presso lo studio del quale elettivamente domiciliano in Roma, via Nemea, n. 21;

contro

Consiglio nazionale forense, rappresentato e difeso dagli avv.ti ************ e *************, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, ******************, n. 3;
Ministero della giustizia, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

nei confronti di

Societa’ Italiana Avvocati Amministrativisti – SIIA, rappresentata e difesa dagli avv.ti ***************, ***************** ed **************, con domicilio eletto presso lo studio legale ******* & Associati in Roma, via Flaminia, n. 79;
Associazione Avvocati Giuslavoristi Italiani -AGI, Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia – AIAF, Unione Camere Penali Italiane – UCPI, Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi – UNCAT, Unione Nazionale Camere Civili – UNCC, ****************;

per l’annullamento

del regolamento “per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista” approvato dal Consiglio nazionale forense il 24 settembre 2010, nonché di ogni altro atto ad esso presupposto, preordinato, consequenziale e comunque connesso.

 

Visto il ricorso;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consiglio nazionale forense;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di ******************************************** – SIIA;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 6 aprile 2011 il cons. **************** e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso notificato in data 23 novembre 2010, depositato il successivo 7 dicembre, gli istanti, premesso di essere tutti avvocati iscritti all’albo professionale da meno di venti anni, espongono che il regolamento approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010, che, a partire dal 30 giugno 2011, introduce e disciplina le condizioni e le modalità per il riconoscimento ed il mantenimento in capo agli avvocati del titolo di avvocato specialista, in un massimo di due materie tra le undici aree del diritto ivi individuate, è lesivo della loro professionalità.

Ciò in quanto, proseguono i ricorrenti, il provvedimento, senza alcuna base normativa, e senza alcuna imparzialità, realizza una vera e propria riforma dell’ordinamento professionale, incidente sul lavoro di ciascun professionista, con ricadute anche economiche di assoluto rilievo sul piano della concorrenza, poichè, da un lato, convoglia l’offerta al pubblico delle prestazioni professionali, dall’altro impedisce ai ricorrenti medesimi, almeno per i primi due anni successivi all’entrata in vigore del regolamento (periodo minimo necessario per la frequenza dei corsi formativi propedeutici al sostenimento dell’esame di accesso al titolo) di conseguire il titolo di specialista nella materia in cui essi esercitano la professione forense (diritto amministrativo).

Di tale regolamento i ricorrenti espongono indi l’illegittimità e domandano l’annullamento, deducendo, a sostegno della domanda, le doglianze di seguito illustrate nei titoli e, sinteticamente, nel contenuto.

1) Violazione dell’art. 10 del d. lgs. 26 marzo 2010, n. 59 – violazione degli artt. 80 e 81 del Trattato UE – violazione dei principi comunitari posti a tutela della concorrenza nel mercato dei servizi interni – violazione degli artt. 3 e 41 Cost. – eccesso di potere per disparità di trattamento, sviamento, contraddittorietà, carenza di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto e diritto, illogicità ed ingiustizia manifeste.

I ricorrenti stigmatizzano il sistema del doppio binario adottato dal regolamento in via transitoria, rispetto allo spartiacque costituito dal possesso dell’iscrizione all’albo da almeno venti anni, che dà titolo ad una procedura semplificata per l’accesso al titolo de quo, istitutivo, secondo i medesimi, almeno nei primi anni di attuazione del regolamento, di un vero e proprio monopolio, privo di una reale giustificazione, poiché basato sulla mera anzianità di iscrizione.

2) Eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca – illogicità ed ingiustizia manifeste sotto altro profilo.

I ricorrenti lamentano che il regolamento assegna alla pregressa esperienza professionale concreta un ruolo assai modesto, e alle pubblicazioni scientifiche dell’avvocato nella materia di specializzazione nessuna rilevanza.

3) Violazione dei principi generali in tema di commissioni d’esame – eccesso di potere per disparità di trattamento, illogicità ed ingiustizia manifeste sotto altro profilo.

I ricorrenti stigmatizzano l’ampio ruolo che il regolamento conferisce, anche in sede di prima applicazione e nella composizione delle commissioni di esame, alle associazioni di categoria, con particolare riferimento alla SSIA, nonché gli stessi criteri di scelta delle associazioni abilitate a svolgere i corsi propedeutici al sostenimento dell’esame per il conseguimento del titolo.

4) Violazione dell’art. 117 Cost. – violazione del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 – violazione del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 – violazione del d.lgs. cps. 28 maggio 1947, n. 597 – violazione del d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 30 – incompetenza per carenza assoluta di potere – assenza di istruttoria – travisamento dei presupposti di fatto.

I ricorrenti espongono che la materia oggetto di regolazione è coperta da riserva di legge statale, che non lascia spazio a norme regolamentari provenienti dal CNF, le quali, per l’effetto risultano illegittime, ai limiti della nullità.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento del regolamento oggetto di censure.

Si è costituito in resistenza senza formulare specifiche difese il Ministero della giustizia.

Si è costituito in giudizio il Consiglio nazionale forense, eccependo l’infondatezza delle esposte doglianze ed instando per la reiezione dell’impugnativa.

Analoghe conclusioni sono state rassegnate anche dalla controinteressata ******************************************** – SIAA.

Nell’ambito delle predette difese, sono state spiegate anche varie eccezioni di carattere pregiudiziale.

Le parti hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive.

La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 6 aprile 2011.

DIRITTO

1. Si controverte in ordine alla legittimità del regolamento, approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010, che, a partire dal 30 giugno 2011, introduce e disciplina, anche a mezzo di un regime transitorio, le condizioni e le modalità per il riconoscimento ed il mantenimento in capo agli avvocati, a domanda, del titolo di avvocato specialista, in un massimo di due materie tra le undici aree del diritto ivi indicate, suscettibili di successivi aggiornamenti.

Limitando, per economicità di mezzi espositivi, la descrizione del provvedimento impugnato, composto di 14 disposizioni molto articolate, va rappresentato che, a regime, secondo il regolamento, il titolo di avvocato specialista, che consiste nel rilascio di un diploma e nell’inserimento in appositi registri pubblici tenuti dal Consiglio nazionale forense, attesta l’acquisizione nelle predette aree di diritto, in capo all’avvocato ininterrottamente iscritto all’albo da almeno sei anni, ed in possesso di ulteriori requisiti, tra cui la frequenza biennale di una scuola o di un corso di alta formazione riconosciuti dal CNF e tenuti da enti o soggetti iscritti in apposito registro del CNF, per un minimo di 200 ore complessive, nonché all’esito di apposito esame sostenuto con esito favorevole presso il CNF, di una “specifica e significativa competenza teorica e pratica, il cui possesso è attestato da apposito diploma rilasciato esclusivamente dal Consiglio nazionale forense e che deve essere conservata nel tempo secondo il principio della formazione continua” (art. 2).

La controversia è proposta dagli avvocati ricorrenti, iscritti all’albo professionale da meno di venti anni, soggetti al predetto regime ordinario, che, esposta la lesività del provvedimento nei confronti della loro professionalità, ne deducono l’illegittimità per vari profili, tra cui il difetto di attribuzione in capo al CNF di potestà regolamentare nella materia de qua.

Resiste il Consiglio nazionale forense.

Resiste, altresì, la controinteressata ******à Italiana ************************** – SIAA.

Quest’ultima, unitamente ad altre associazioni, alla luce dell’impugnato regolamento (art. 11), ha titolo in sede di prima applicazione ad espletare i corsi propedeutici al sostenimento dell’esame di specialista presso il CNF.

2. E’ d’uopo osservare innanzitutto che le parti resistenti hanno spiegato eccezioni pregiudiziali in relazione a singoli motivi di ricorso.

Il Collegio può, peraltro, senz’altro prescindere dal loro esame, atteso che il quarto motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti denunziano la assoluta carenza di attribuzione in capo al CNF a regolare la materia de qua, per il quale non si pone alcuna questione pregiudiziale, e che presenta carattere assorbente, è fondato.

3. Ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., come sostituito dall’art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la materia delle professioni appartiene alla legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni.

Con legge 5 giugno 2003, n. 131, sono state dettate disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento alla predetta legge costituzionale n. 3 del 2001.

L’art. 1 della ridetta legge 131/2003, ribadito al comma 3 che nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei princìpi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti, ha delegato il Governo, al comma 4, ad adottare, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi ricognitivi dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall’articolo 117, terzo comma, Cost..

La ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni è intervenuta con d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 30.

In tale ambito, chiarito dall’art. 3, titolato “Tutela della concorrenza e del mercato”, che l’esercizio della professione si svolge nel rispetto della disciplina statale della tutela della concorrenza, ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di interessi pubblici costituzionalmente garantiti o per ragioni imperative di interesse generale, della riserva di attività professionale, delle tariffe e dei corrispettivi professionali, nonché della pubblicità professionale (comma 1), recita l’art. 4, comma 2, che “La legge statale definisce i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari per l’esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato”.

Resta pertanto affermato che, anche in relazione alla tutela della concorrenza, è la legge statale a dover individuare i requisiti tecnico-professionali ed i titoli professionali necessari per l’esercizio delle attività che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali.

In particolare, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, principio fondamentale in materia di professioni è la riserva a favore dello Stato per l’individuazione di nuove figure professionali e la disciplina dei relativi profili e titoli abilitanti, nonché della istituzione di registri professionali e la previsione delle condizioni per l’iscrizione ad essi” (da ultimo, Corte Cost., 15 aprile 2010, n. 132).

4. Chiarito il quadro normativo in cui si inserisce la controversia, il Collegio ritiene anzitutto di precisare, in via preliminare, che nella presente fattispecie va tenuta in disparte ogni questione di merito attinente l’opportunità o l’utilità della introduzione di una disciplina delle specializzazioni dell’attività forense, notoriamente non rimessa a questa sede.

Altrettanto è a dirsi in ordine alla necessità che l’ordinamento appresti utili misure per affrontare le “auto-proclamazioni” pubblicitarie di inesistenti specializzazioni forensi, descritto dalle parti resistenti: la problematica, di cui non si intende sminuire né la portata né la negativa incidenza sull’interesse pubblico generale all’amministrazione della giustizia e sul diritto di difesa in giudizio, non può, però, evidentemente rilevare in tema di individuazione del soggetto pubblico competente all’individuazione ed all’adozione delle misure stesse.

5. Tanto premesso, ed in relazione al sopra descritto quadro normativo, dal quale emerge graniticamente che la materia de qua è riservata al legislatore statale, osserva il Collegio che non risulta che il medesimo abbia esercitato detta riserva, né riformando direttamente l’ordinamento della professione forense, sede propria per l’introduzione di un istituto, quale quello delle specializzazioni, prima inesistenti, destinato ad innovare profondamente i termini dello svolgimento dell’attività, né attribuendo al CNF la competenza ad adottare in via regolamentare la disciplina delle specializzazioni della professione legale.

Di talchè al Collegio non è dato comprendere da quale fonte normativa il CNF abbia derivato la potestà, esercitata con l’atto impugnato, di creare ex novo una figura professionale precedentemente non contemplata dal vigente ordinamento – quella dell’avvocato specialista – che si aggiunge alle figure dell’avvocato iscritto all’albo e dell’avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.

5.1. Al riguardo, infatti, a nulla vale sostenere, come fanno le parti resistenti, che la figura professionale dell’avvocato, anche dopo l’introduzione delle specializzazioni, “rimane assolutamente unica”, potendo comunque il professionista forense, dopo il superamento dell’esame di Stato, e l’iscrizione all’albo degli avvocati, “svolgere la propria attività professionale in tutti i settori dell’ordinamento indipendentemente dall’aver partecipato alla procedura prevista per il conseguimento del titolo qualificante di specialista”.

La valenza istitutiva di nuove figure professionali della impugnata normativa si desume infatti pacificamente dalla circostanza che il gravato regolamento prevede l’istituzione da parte del CNF di appositi registri pubblici ove possono iscriversi, sulla base del verificato possesso di specifici requisiti attestanti una determinata qualificazione professionale, gli avvocati specialisti nelle considerate aree di diritto (art. 5, comma 2). Come ripetutamente chiarito dalla Corte Costituzionale, la stessa istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per l’iscrizione ad esso, prescindendosi dalla circostanza che tale iscrizione si caratterizzi o meno per essere necessaria ai fini dello svolgimento della attività cui l’elenco fa riferimento, hanno, già di per sé, “una funzione individuatrice della professione” (sentenze n. 57 del 2007; n. 355 del 2005; n. 300 del 2007).

5.2. Né, ai fini dell’esame della presente controversia, occorre spendere molte parole in punto di accertamento della natura, e dei poteri, anche amministrativi, del CNF, ovvero in ordine ai c.d. regolamenti “liberi” previsti dall’art. 17, comma 1, lett. c), della l. 23 agosto 1988, n. 400 [ovvero di quei regolamenti che derogano al principio generale secondo cui il potere regolamentare, espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinante in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti aventi i caratteri della generalità e dell’astrattezza, rispondendo a regole di stretta tipicità, deve sempre trovare nella legge la propria legittimazione (C. Stato, Atti norm., 7 giugno 1999, n. 107)], ovvero dei regolamenti “indipendenti” o “autonomi” (perché promananti da enti dotati, come il CNF, di indipendenza od autonomia), manifestazione di un potere di autoregolamentazione o autogoverno, invocati dal CNF, ma comunque ascrivibili alla compagine dei primi.

Invero, da un lato, si versa, come già sopra chiarito, in una materia riservata alla legge dello Stato, ciò che fa escludere ab origine l’astratta operatività degli strumenti invocati dalla parte resistente, in forza della prescrizione dettata dalla lett. c) del sopraccitato art. 17, quanto ai regolamenti “liberi”, e, oltre a ciò, in forza del principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, quanto ai regolamenti “indipendenti”.

Dall’altro, ed in ogni caso, alla luce della perdurante vigenza dell’art. 91 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, recante “Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore”, convertito dalla l. 22 gennaio 1934, n. 36, che dispone che “Alle professioni di avvocato e di procuratore non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale”, non è consentito dubitare che la via regolamentare è assolutamente inidonea ad incidere autonomamente su tale preclusione, posta da fonte di rango normativo primario.

E, quanto a quest’ultimo profilo, non è privo di significato che le difese resistenti neanche tentino di illustrare la compatibilità delle norme regolamentari di cui si discute con l’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933.

Infine, merita comunque di essere segnalato che neanche è condivisibile l’argomentazione relativa alla rilevanza meramente interna delle norme regolamentari impugnate, spesa dalle parti resistenti in uno alle considerazioni relative alla potestà di autonoma regolamentazione: essa, infatti, per quanto sin qui esposto, si risolve in una mera asserzione teorica, ovvero priva di qualsiasi riscontro nell’impianto dispositivo oggetto di giudizio.

5.3. Le parti resistenti tentano infine di aggirare l’ostacolo costituito dalla carenza di una norma che attribuisca specificamente in capo al CNF la regolazione della materia de qua invocando recenti statuizioni di questo Tribunale (per tutte, Tar Lazio, III-quater, 17 luglio 2009, n. 7081), in forza delle quali, in tema di formazione forense, è stata riconosciuta la sussistenza del potere di normazione interna del CNF, e ciò ai sensi dell’art. 2 (“Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali”), comma 3, del d. l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

Recita la invocata disposizione dell’art. 2 del d. l. 223/2006:

1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonchè al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:

a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;

b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonchè il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine;

c) il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità…..

3. Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle”.

Alla luce della norma, però, neanche tale argomentazione risulta conducente.

Infatti:

– l’avvenuta abrogazione, da parte del riportato art. 2, comma 1, delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, in riferimento a tutte le attività libero professionali ed intellettuali, il divieto anche parziale di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, nulla dice in ordine alla necessarietà o all’opportunità dell’introduzione in uno di tali settori dell’istituto delle specializzazioni, espressamente vietate dal relativo ordinamento a mezzo di una previsione di perdurante vigenza alla data della norma, costituita dall’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933;

– nell’art. 2 del d.l. 223/2006 non vi è traccia né esplicita né implicita di una volontà o di un ratio abrogatrice del suddetto art. 91;

– la valorizzazione delle disposizioni deontologiche e pattizie e dei codici di autodisciplina emergente dal comma 3 dell’art. 2 in parola è chiaramente una misura adeguatrice, o di accompagnamento, con effetti interni allo stesso ambito regolatorio interno, di quanto già direttamente disposto dal comma 1 della norma primaria, in applicazione di un principio di tendenziale rispetto della eterogeneità e della separatezza delle fonti;

– il meccanismo contemplato al comma 3 del ridetto art. 2, con l’apposizione di un termine perentorio all’attività adeguatrice deontologica o pattizia o dei codici di autoregolamentazione, scaduto il quale subentra la previsione della nullità ope legis delle norme deontologiche o pattizie o codicistiche in contrasto con il comma 1 dello stesso articolo, sottolinea, piuttosto che annullare, la primazia nella materia della legge statale sulla fonte pattizia;

– la comminatoria della nullità ope legis di cui al ripetuto comma 3 è testualmente riferita alle sole previsioni deontologiche, pattizie e codicistiche in contrasto con il comma 1 dello stesso articolo, e non può certamente essere estesa alla norma di fonte primaria di cui all’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933;

– alla già detta valorizzazione della sede pattizia e deontologica operata dal comma 3 viene senz’altro riconnessa, oltre che una pars destruens, una pars costruens, ma alla stessa non può ascriversi una portata generale od illimitata, ovvero travalicante il mero ordinamento a valenza meramente interna, attesa la carenza di qualsiasi indicazione del legislatore che legittimi le sedi deontologiche e pattizie al compimento di scelte di portata riformatrice della struttura portante delle considerate professioni, in sostituzione del legislatore stesso;

– in particolare, il richiamo operato dal ridetto comma 3 alla “qualità delle prestazioni professionali”, riferito, com’è, al (normativamente) variegato ambito delle attività libero professionali ed intellettuali contemplato dall’art. 2 che lo contiene, non risulta suscettibile, sotto il profilo ermeneutico, di una considerazione che lo renda talmente avulso dal complessivo contesto nel quale il rimando si pone, da farlo involvere, prima, in una manifestazione di volontà del legislatore statale di recedere dalla regolazione di tutte le attività professionali, ed in particolare dell’attività forense, quasi alla stregua di una loro “liberalizzazione”, poi, segnatamente, in una delega in bianco al CNF: entrambe tali conclusioni, che le difese resistenti sembrano propugnare, si profilano infatti abnormi rispetto sia al dato testuale che allo spirito della considerata disposizione dell’art. 2.

Infine, è appena il caso di osservare che l’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933 è rimasto del tutto estraneo alla congerie normativa considerata dalle sentenze amministrative di primo grado come appena sopra invocate da parte resistente. La circostanza, unitamente alla valenza meramente interna della regolazione della materia della formazione ivi considerata, fa escludere la sussistenza di qualsiasi profilo di sovrapponibilità, anche in relazione all’esito, delle relative controversie rispetto alla questione all’odierno esame.

6. Per tutto quanto precede, in accoglimento del quarto motivo di doglianza, il ricorso deve essere accolto.

Per l’effetto, accertata la assoluta carenza di attribuzione in capo al CNF della regolamentazione assunta con il gravato provvedimento, lo stesso deve essere dichiarato nullo ai sensi dell’art. 21- septies, l. 7 agosto 1990, n. 241, categoria di invalidità dell’atto amministrativo per la quale l’art. 31, comma 4 del codice della giustizia amministrativa facoltizza il Collegio al rilievo d’ufficio.

Nella specie, comunque, la doglianza accolta, seppur senza trovare precisa corrispondenza nelle conclusioni rassegnate in ricorso, ha lamentato la nullità dell’atto impugnato.

La novità della questione giustifica la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione, dichiarando, per l’effetto, la nullità del regolamento impugnato di cui in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

******************, Presidente

**************, Consigliere

****************, ***********, Estensore

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/06/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Matranga Alfredo

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