I sistemi sanitari alla prova dell’immigrazione

Redazione 19/07/18
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di Luca Mezzetti

L’impatto dei flussi migratori si riverbera anche sul settore sanità, creando sfide nuove che riguardano la garanzia delle prestazioni sanitarie a favore degli stranieri immigrati regolarmente e irregolarmente. Tale problematica attiene, da un lato, allo status dello straniero e al riconoscimento-garanzia dei diritti sociali e, dall’altro, al riparto delle competenze legislative ed amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali.

Ai fini dell’individuazione dei contorni del diritto alla salute degli stranieri nell’ordinamento italiano occorre fare riferimento ad un mosaico normativo variegato e complesso, che si articola tra norme costituzionali, norme legislative e atti aventi forza di legge, ma si snoda altresì tra norme di rango secondario e terziario.

Deve ritenersi che la “Costituzione dello straniero”, secondo una formula felicemente coniata, in particolare dell’immigrato regolare e irregolare destinatario di provvidenze in materia sanitaria, trovi le proprie basi fondamentali negli artt. 2, 10 e 117, comma 1 Cost. Ai sensi della prima delle disposizioni citate, “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” (quindi non del solo cittadino); la seconda norma menzionata viene in rilievo non solo e ovviamente per quanto disposto in seno ai commi 2 e 3 della medesima (2. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. 3. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge), quanto piuttosto e primariamente per quanto stabilito dal primo comma, ai sensi del quale “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Ciò in quanto, sotto un primo profilo, l’art. 10, comma 1 Cost., in combinato disposto con l’art. 117, comma 1 Cost., opera quale norma che, tra i “vincoli derivanti dagli obblighi internazionali”, impone all’ordinamento italiano – quale norma di ius cogens – la tutela delle situazioni giuridiche soggettive contemplate dal Bill of Rights internazionale (composto dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani, dai Patti di New York sui diritti economici, sociali e culturali e sui diritti civili e politici del 1966, accompagnati dai relativi Protocolli opzionali del 2008 e del 1966-1989, dai c.d. core international human rights instruments delle Nazioni Unite (tra i quali, ai nostri fini, vengono in rilievo in particolare la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, la Convenzione sui diritti del fanciullo, la Convenzione sulla tutela dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, le Convenzioni sui rifugiati), dal diritto internazionale umanitario (cd. “diritto di Ginevra”) e dalle convenzioni dell’OIL; sotto un secondo profilo, in quanto in stretta correlazione con l’art. 3 Cost. – come riconosciuto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 306 del 2008 – “tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall’appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato”.

Il quadro costituzionale di riferimento è completato, sul versante dei diritti fondamentali e sociali, dagli artt. 32 e 38 Cost., ove si tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo, in quanto essere umano (quindi non del solo cittadino, ma anche dello straniero), e si riconoscono i diritti all’assistenza e previdenza sociale, da ritenersi estesi agli stranieri sulla base dell’analisi della giurisprudenza costituzionale che verrà condotta in seguito.

Sul versante del riparto delle materie oggetto di competenza legislativa dello Stato e delle Regioni, l’art. 117, comma 2 attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, tra le altre (e con specifico riferimento alla problematica che qui ci occupa), il diritto di asilo e la condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea; l’immigrazione; ordine pubblico e sicurezza; la cittadinanza, lo stato civile e le anagrafi; giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; la previdenza sociale; la profilassi internazionale. Il comma 3 del medesimo art. 117 Cost. fa rientrare tra le materie oggetto di competenza legislativa concorrente Stato-Regioni, tra le altre, la tutela e sicurezza del lavoro; la tutela della salute; l’alimentazione; la previdenza complementare e integrativa. Sulla base della clausola contenuta nel quarto comma dell’art. 117 deve ritenersi assegnata alla potestà legislativa residuale delle Regioni la materia “assistenza e servizi sociali”.

L’effetto concreto di tali disposizioni, innovate con la riforma del Titolo V del 2001, non è tanto quello di ampliare le funzioni statali in materia di immigrazione – tra l’altro già evocate dall’art. 10 Cost. – quanto piuttosto quello di prendere atto delle funzioni regolative acquisite dall’Unione europea, così da riperimetrare l’intervento del legislatore statale ai soli migranti extra-UE. Con l’avvento dell’Unione europea e con l’affermazione della cittadinanza europea, lo status della persona migrante viene a “slegarsi” dall’appartenenza al singolo ordinamento dello Stato membro dell’UE. Si assiste, così, alla frammentazione dello status dello straniero, sul piano sia terminologico sia regolativo. Sotto il primo versante, viene in rilievo la moltiplicazione definitoria del soggetto “straniero”: accanto ai cittadini europei, esiste la categoria dei cittadini extra-UE regolarmente soggiornanti, quella dei cittadini extra-UE privi di permesso di soggiorno, quella dei rifugiati politici e quella dei richiedenti asilo. In tal senso “la frantumazione dell’idea di straniero determina sul piano regolativo un mosaico di discipline che incide sul piano della definizione del relativo status e dell’individuazione delle conseguenti garanzie”. Ed infatti, tale differenziazione involge tre diversi profili: quello della fonte della disciplina rilevante per il trattamento giuridico dello straniero; quello della qualificazione soggettiva dello straniero ad opera della legislazione medesima e, da ultimo, quello del territorio, a seconda delle diverse visioni politico-culturali delle maggioranze responsabili dei relativi livelli di governo in materia di accesso al welfare locale dei migranti.

Lo status dello straniero si inscrive – come noto – in un sistema multilivello che ha, a sua volta, fortemente contribuito alla suddetta frammentazione. Oltre alla disciplina statale concernente la legislazione sulla cittadinanza e le altre norme sull’ingresso e sul soggiorno degli stranieri nel territorio statale, vengono in rilievo la normativa UE e, altresì, la disciplina predisposta dalle regioni e dagli enti locali, per quanto concerne i diritti e i servizi di welfare.

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