Sinistro causato da veicolo non identificato e obbligo risarcitorio nei confronti della vittima

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Il caso

Tizia ha presentato ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Savona che, in qualità di giudice di appello, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Albenga, che aveva respinto la domanda risarcitoria da lei proposta nei confronti della Compagnia Alleanza Toro (oggi Generali Italia), quale impresa designata dal FGVS, in relazione al sinistro stradale occorsole in data 31/8/2010 allorquando era rimasta investita dal conducente di un auto, che era rimasto non identificato.

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I motivi di ricorso

Per quanto di interesse con il secondo motivo, articolato in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. ed agli artt. 115 comma 1 e 116 comma 1 c.p.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di appello non ha tenuto conto del fatto che lei, riferendo di non aver riportato alcuna lesione, non aveva favorito l’allontanamento della propria investitrice.

Con il terzo motivo, articolato in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. denuncia omesso esame del fatto, decisivo e controverso, costituito dall’omessa disamina di alcuni elementi probatori. La ricorrente sostiene che il giudice di appello ha erroneamente omesso di considerare che l’auto investitrice era stata spostata dal soggetto che la conduceva, rendendo non identificabile il numero della targa e che al momento del sinistro non vi erano sul posto persone che potessero aiutarla nell’identificare il suddetto numero. Ragion per cui erroneamente lei era stata ritenuta responsabile per la mancata identificazione del veicolo investitore. Aggiunge che, peraltro, il giorno successivo al sinistro si era recata presso la Polizia Municipale di Albenga per sporgere denuncia, ma il tentativo di identificare il veicolo investitore a mezzo della telecamera non aveva avuto esito positivo.

La decisione della Corte

La Suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, ha ritenuto fondati il secondo e il terzo motivo di ricorso. Anzitutto premette che, nella nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, restando riservata al giudice del merito la valutazione dei fatti e l’apprezzamento delle risultanze istruttorie ma la Corte di cassazione può verificare l’estrinseca correttezza del giudizio di fatto sotto il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze e, pertanto, può sindacare la manifesta fallacia o non verità delle premesse o l’intrinseca incongruità o contraddittorietà degli argomenti, onde ritenere inficiato il procedimento inferenziale ed il risultato cui esso è pervenuto, per escludere la corretta applicazione della norma entro cui è stata sussunta la fattispecie (Cass. civ. n. 16502 del 05/07/2017).

Tale manifesta implausibilità ricorre nel caso di specie nel quale il Tribunale di Savona, quale giudice di appello, ha censurato il comportamento di Tizia sul presupposto che quest’ultima, pur avendo avuto la possibilità ed il tempo materiale per farlo, avrebbe omesso di provvedere all’acquisizione delle generalità della responsabile del sinistro (che si era fermata a soccorrerla e che, dopo aver essere stata rassicurata sulle sue condizioni di salute, si era allontanata).
Il giudice di appello, affermando ciò, è incorso nel vizio denunciato in quanto – premesso che il verificarsi del sinistro era risultato da una telecamera esistente sul luogo – non ha considerato che: a) la sig.ra, a seguito del sinistro, era stata ricoverata al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Albenga per frattura della mano destra e lesione della vertebra L2 ragion per cui, al momento dell’incidente, versava ragionevolmente in condizioni psicofisiche che le provocavano disorientamento, privando conseguentemente di lucidità ogni eventuale espressione rivolta alla sua investitrice; b) la sig.ra – di 63 anni al momento dell’incidente – aveva riferito che, vedendo la sua investitrice allontanarsi, era convinta che detto allontanamento fosse da attribuire alla ricerca dei documenti relativi alla propria persona ed al proprio veicolo ma dall’espletata attività istruttoria non era affatto risultato che la stessa avesse favorito l’allontanamento della propria investitrice; c) sul luogo del sinistro non vi erano stati testimoni, che avessero potuto aiutarla nell’identificazione del conducente o dell’auto investitrice; e) quest’ultima, anzi, era stata spostata dal luogo del sinistro (operazione questa che potrebbe aver reso di fatto impossibile la sua identificazione).
La Corte sottolinea, inoltre, che secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, (cfr. tra le tante, Cass. civ. sent. n. 274 del 13/1/2015), nel caso di sinistro causato da veicolo non identificato, caso che è sotteso al ricorso in esame, l’obbligo risarcitorio nei confronti della vittima – in linea con l’art. 1 co. 4 della direttiva CE del Consiglio del 30 dicembre 1983, n. 84/5, trasfuso nell’art. 10 co. 1 della direttiva CE del 16 settembre 2009, n. 2009/103 – sorge non soltanto nei casi in cui il responsabile si sia dato alla fuga nell’immediatezza del fatto ma anche quando la sua identificazione sia stata impossibile per circostanze obiettive da valutare caso per caso e non imputabili a negligenza della vittima.

Sulla base delle predette argomentazioni, in accoglimento del secondo e del terzo motivo, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio al Tribunale di Savona, in diversa composizione monocratica, per nuovo esame alla luce di quanto osservato.

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Sentenza collegata

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Avv. Mazzei Martina

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