Il silenzio della P.A.

Redazione 27/04/01
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di Celestina Mellone


Con l’entrata in vigore della legge 241/90, art. 2, si generalizza l’obbligo giuridico della P.A. a provvedere: si stabilisce infatti che ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la P.A. ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso nel termine fissato dalla legge o dal regolamento, o, in mancanza, nel termine fissato dalla singola P.A. o, in mancanza, nel termine di trenta giorni. Il procedimento consegue obbligatoriamente ad una istanza tutte le volte in cui l’istanza di rilascio di un provvedimento ampliativo da parte di un soggetto che sia in una posizione qualificata sia presentata all’autorità competente con l’osservanza delle forme e dei termini prescritti dalla legge. L’inerzia della P.A. rappresenta in linea di principio un illecito: esistono però ipotesi in cui l’ordinamento attribuisce al silenzio della P.A. un valore legale tipico, al fine di soddisfare esigenze di celerità, efficienza ed efficacia dell’azione della P.A.; tali ipotesi di silenzio-significativo possono interessare sia i rapporti tra cittadini e P.A. (è il caso del silenzio-accoglimento e del silenzio-rigetto) sia i rapporti interorganici nello svolgimento del procedimento amministrativo (ne sono esempi il silenzio-facoltativo, il silenzio-devolutivo, il silenzio-approvazione). Le ipotesi di silenzio significativo attinenti ai rapporti tra P.A. e cittadini ricorrono quando la richiesta di un provvedimento autorizzatorio si intende accolta qualora entro un dato termine la P.A. non comunichi all’interessato il provvedimento di diniego (ed in questo caso si parla di silenzio-assenso) o, nel caso contrario, la richiesta di un provvedimento autorizzatorio si intende respinta qualora entro un dato termine la P.A. non comunichi all’interessato il provvedimento di accoglimento (ed in questo caso si parla di silenzio-rigetto); al fine di semplificare l’azione amministrativa l’art. 20 l. 241/90 ha generalizzato la figura del silenzio-assenso disponendo l’individuazione, ad opera di apposito regolamento, dei casi in cui la domanda di rilascio di un provvedimento autorizzatorio vada considerata accolta in mancanza di un esplicito provvedimento di rigetto alla scadenza del termine, fissato per categoria di atti in relazione alla complessità del rispettivo procedimento. Figura analoga al silenzio-assenso è la denuncia in luogo di autorizzazione, introdotta nell’ordinamento dall’art. 19 l. 241/90 e la cui operatività è stata ampliata dalla 573/93: la norma riconosce ai privati la facoltà di intraprendere l’esercizio di una qualsiasi attività economica sulla base di una mera denuncia senza dover attendere l’esplicito provvedimento di autorizzazione in tutti i casi in cui l’esercizio dell’attività sia subordinata al mero accertamento di presupposti e requisiti di legge; la mancanza di discrezionalità in ordine all’accertamento dei presupposti di legge differenzia l’istituto in esame dalla figura del silenzio-assenso, che invece è destinato ad operare anche in materie connotate da discrezionalità; mentre nell’ipotesi del silenzio-assenso la P.A., in pendenza del termine, procede a valutare l’opportunità di emettere l’atto autorizzatorio e decide di rimuovere i limiti legali all’esercizio di un diritto preesistente in capo al privato solo quando ciò non contrasti con l’interesse pubblico, nella denuncia in luogo di autorizzazione la valutazione della compatibilità dell’esercizio dell’attività con l’interesse pubblico è operata a priori dalla legge in presenza di determinati requisiti, ciò consentendo al privato di dare immediato inizio all’attività: naturalmente qualora la P.A. accertasse la mancanza dei requisiti richiesti dalla legge è fatto obbligo al privato di cessare l’attività rimuovendone gli effetti ex tunc. Quanto alle ipotesi di silenzio significativo interessanti i rapporti interorganici o comunque attinenti al procedimento, esse sono dirette a semplificare l’azione amministrativa e ad uniformarla ai principi di economicità e di efficienza; tra esse, il silenzio-approvazione, che ricorre nell’ipotesi in cui l’atto di una autorità sia assoggettato al controllo di un’altra autorità, da esercitarsi entro un termine tassativo e la legge stabilisca che l’atto si considera approvato quando sia decorso inutilmente il termine senza che sia stato adottato il diniego di approvazione; il silenzio-facoltativo, che ricorre quando l’esercizio di particolari competenze, durante un procedimento amministrativo, sia previsto come meramente facoltativo, per cui trascorso inutilmente il termine previsto per l’esercizio di esso si può procedere al compimento di atti successivi senza ulteriore attesa e senza pregiudizi per gli effetti finali: la legge 241/90, art. 16 ha generalizzato la figura del silenzio-facoltativo in tema di pareri, stabilendo che in tutti i casi in cui debba essere obbligatoriamente sentito un organo consultivo e questo non abbia espresso il suo parere entro i termini fissati dalla legge o, in mancanza, nel termine di novanta giorni dalla richiesta, l’amministrazione può prescindere dall’acquisizione del parere stesso; tale regola, però, non trova applicazione nel caso in cui le valutazioni debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o della salute dei cittadini; il silenzio-devolutivo che ricorre quando il silenzio di una P.A. comporti l’attribuzione della competenza ad altra autorità: la legge 241/90, art. 17 ha generalizzato la figura del silenzio-devolutivo in tema di valutazioni tecniche, stabilendo che ove per disposizione espressa di legge o di regolamento sia previsto che per l’adozione di un provvedimento debbano essere preventivamente acquisite le valutazioni tecniche di organi o enti appositi e tali organi non provvedano, il responsabile del procedimento deve chiedere tali valutazioni tecniche ad altri organi della P.A. o ad altri enti pubblici dotati di qualificazione; anche in questo caso, però, tale regola non trova applicazione nel caso in cui le valutazioni debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o della salute dei cittadini.

Nei casi di silenzio significativo relativo al rapporto tra P.A. e cittadini la decorrenza del termine comporta la consumazione del potere di decidere sull’istanza in capo alla P.A.; una decisione esplicita tardiva, quindi, deve considerarsi del tutto inammissibile e può essere impugnata perché illegittima; nulla vieta, però alla P.A. di esercitare i propri poteri di autotutela per rimuovere il provvedimento tacito, purché ricorrano ragioni di pubblico interesse a sostegno della caducazione dell’atto. Più complessa, invece, è la questione del provvedimento sopravvenuto dopo l’impugnativa del silenzio determinatosi per la mancata decisione di un ricorso gerarchico: la giurisprudenza più risalente riteneva che la scadenza del termine di novanta giorni andasse considerata come una vera e propria decisione di rigetto; la giurisprudenza più recente, invece, ritiene che il decorso del termine di legge non comporti la consumazione del potere di decidere il ricorso da parte della P.A.: la decorrenza del termine, infatti, è solo un presupposto processuale per la proposizione di un ricorso straordinario al P.d.R. o di un ricorso giurisdizionale, che hanno ad oggetto il provvedimento di base impugnato e non la decisione del ricorso gerarchico; il provvedimento sopravvenuto va considerato perciò valido: decorso il termine dei novanta giorni senza che la P.A. si sia pronunciata sul ricorso gerarchico, il privato può o attendere il provvedimento di decisione tardivo o agire in giudizio contro il silenzio della P.A. secondo le norme della 205/00 che esamineremo a breve; rimane al privato l’ulteriore possibilità di esperire il ricorso straordinario al P.d.R. o il ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di base: in questo caso il privato non avrà l’onere di impugnare autonomamente il provvedimento tardivo di rigetto del ricorso gerarchico poiché esso è atto confermativo del provvedimento originariamente impugnato e non della decisione tacita; il provvedimento tardivo di accoglimento, invece, determina la cessazione della materia del contendere, e la possibilità per gli eventuali controinteressati di proporre il ricorso giurisdizionale o straordinario nei termini di decadenza avverso la decisione sul ricorso gerarchico.

Al di fuori delle ipotesi di silenzio significativo l’inerzia della P.A. configura un illecito (c.d. silenzio-inadempimento) e l’ordinamento riconosce al privato leso dall’atteggiamento omissivo della P.A. il diritto di rivolgersi al giudice amministrativo. In merito al silenzio-inadempimento la legge 205/00 inserisce dopo l’art. 21 della legge n. 1034/71 l’art. 21-bis, che dispone: “1 comma: I ricorsi avverso il silenzio dell’amministrazione sono decisi in camera di consiglio, con sentenza succintamente motivata, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne facciano richiesta. Nel caso che il collegio abbia disposto un’istruttoria, il ricorso è deciso in camera di consiglio entro trenta giorni dalla data fissata per gli adempimenti istruttori. La decisione è appellabile entro trenta giorni dalla notificazione o, in mancanza, entro novanta giorni dalla comunicazione della pubblicazione. Nel giudizio di appello si seguono le stesse regole; 2 comma: In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso di primo grado, il giudice amministrativo ordina all’amministrazione di provvedere di norma entro un termine non superiore a trenta giorni. Qualora l’amministrazione resti inadempiente oltre il detto termine, il giudice amministrativo, su richiesta di parte, nomina un commissario che provveda in luogo della stessa; 3 comma: All’atto dell’insediamento il commissario, preliminarmente all’emanazione del provvedimento da adottare in via sostitutiva, accerta se anteriormente alla data dell’insediamento medesimo l’amministrazione abbia provveduto, ancorché in data successiva al termine assegnato dal giudice amministrativo con la decisione prevista dal comma 2”.

Si deve riconoscere alla legge di riforma il pregio di aver attribuito effettività alla tutela del privato nei confronti del comportamento omissivo della P.A. attraverso la restrizione dei tempi del giudizio sul silenzio, considerato che l’endemica lentezza del processo amministrativo vanificava sul piano processuale ciò che veniva garantito in via di principio sul piano sostanziale.

La legge di riforma fa chiarezza su un’altra questione controversa, stabilendo che il giudice amministrativo deve limitarsi a statuire sull’esistenza e sulla violazione dell’obbligo di provvedere, senza poter giudicare sulla fondatezza della domanda, attribuendo alla P.A. inadempiente la decisione sull’istanza, riservando al giudice amministrativo la nomina di un Commissario ad acta ; l’intervento della 205/00 appare quanto mai opportuno, considerato che nei primi anni novanta la giurisprudenza (tra tutte C.d.S. Ad plenaria n. 250/91) ha dimostrato ritenere che qualora il giudice amministrativo fosse chiamato ad esprimersi sulla illegittimità del silenzio esso potesse spingersi fino a pronunciarsi sulla fondatezza della domanda originaria del privato – sostituendosi quindi alla P.A. – nei casi in cui l’atto richiesto avesse natura vincolata e non discrezionale; la legge 205/00, recependo una tendenza giurisprudenziale andatasi affermando nel periodo immediatamente precedente alla riforma, riconosce al giudizio sul silenzio-inadempimento natura di mero accertamento, escludendo in ogni caso che il giudice amministrativo possa imporre alla P.A. il contenuto del provvedimento o sostituirsi ad essa. E’ opportuno, però, segnalare che parte della dottrina ritiene che il problema sia ancora aperto.

La legge di riforma tace sul procedimento di formazione del silenzio-inadempimento che pertanto è ancora discusso: mentre parte della giurisprudenza ritiene che la legge 241/90 evidenzia la natura ex se illegittima del silenzio-inadempimento e pertanto la formazione del silenzio-inadempimento si baserebbe sul semplice decorso del termine stabilito dalla legge o dalla singola P.A., il Consiglio di Stato e parte della dottrina, prendendo le mosse da una circolare del Ministero della funzione pubblica (n. 60397-7/463 1991) ritengono che la possibilità di ricorrere al giudice amministrativo sia subordinata alla messa in mora della P.A., ed in particolare sia necessaria la complessa procedura prevista dal T.U. sugli impiegati civili dello Stato, che impone al privato che voglia agire in giudizio avverso l’inerzia della P.A. la proposizione di una diffida formale ad adempiere e subordina l’azione giudiziaria al protrarsi dell’inerzia della P.A. per ulteriori trenta giorni dalla notifica della diffida stessa. La complessa procedura di formazione del silenzio-inadempimento tutelerebbe, si afferma, anche la posizione del privato che, in caso di automatica formazione del silenzio, potrebbe non avvedersi della formazione di esso e del decorrere del termine di decadenza per l’impugnazione.

Nell’ipotesi di silenzio-inadempimento, a differenza di quanto accade nelle ipotesi di silenzio-significativo, la decorrenza del termine non determina la consumazione del potere di pronunciarsi sull’istanza: l’emanazione del provvedimento tardivo, perciò, è del tutto legittima ed è causa della cessazione della materia del contendere del giudizio contro il silenzio-inadempimento eventualmente proposto, a meno che il privato non abbia interesse a proseguire il giudizio a fini risarcitori alla luce della Sent Cass Sez Unite n. 500/99: pertanto qualora il provvedimento tardivo fosse ritenuto illegittimo – naturalmente per motivi diversi dalla tardività – il privato avrà l’onere di proporre una nuova impugnazione.

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