Sezioni Unite sull’uso esclusivo di una porzione del cortile condominiale

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Non è raro che un condomino abbia l’uso esclusivo di una porzione di un bene comune come, ad esempio, il cortile comune. Tale diritto è generalmente frutto di un accordo tra il costruttore e un condomino, primo acquirente di un’unità immobiliare. Del resto, la delibera di assegnazione, sia pure con la maggioranza prevista per le innovazioni, del godimento esclusivo, a favore di alcuni condomini, di parti comuni sarebbe nulla (Cass. 27 maggio 2016 n. 11034).

In ogni caso, il problema è che tale diritto esclusivo sulle parti comuni

non può essere, però, ricondotto alla previsione dell’art. 1021 c.c., inteso come diritto per il titolare di servirsi di una cosa per quanto occorra ai bisogni suoi e della sua famiglia: l’art. 1024 c.c. ne vieta l’alienabilità e, quanto alla durata, l’art. 979 c.c., richiamato dall’art. 1026 c.c., non può eccedere la vita del titolare, se persona fisica, o comunque trent’anni, se persona giuridica.

Del resto, nella pratica notarile si attribuisce a tale “uso esclusivo” di parti condominiali il rango di un diritto perpetuo e trasmissibile, a contenuto, dunque, non strettamente personale e, cioè, stabilito a favore del solo usuario, collegando la facoltà di usare il bene non ad un soggetto, ma ad una porzione in proprietà individuale senza limiti temporali.

Si è quindi posta la questione se il diritto di uso esclusivo di una parte comune sia compatibile con l’art. 1102 c.c. o sia un diritto reale atipico o se abbia natura di diritto di credito.

Le risposte delle Sezioni Unite: l’incompatibilità con l’art. 1102 c.c.

Si è affermato che l’uso esclusivo su parti comuni dell’edificio, riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di unità immobiliari in proprietà esclusiva, al fine di garantirne il migliore godimento, incide non sull’appartenenza delle dette parti comuni alla collettività, ma sul riparto delle correlate facoltà di godimento fra i condomini, che avviene secondo modalità non paritarie determinate dal titolo, in deroga a quello altrimenti presunto ex artt. 1102 e 1117 c.c. (Cass. civ., sez. II, 16/10/2017, n. 24301); secondo questa tesi, quindi, i partecipanti diversi dall’usuario esclusivo si vedranno diversamente conformati dal titolo i rispettivi godimenti, con maggiori (ma non realmente “esclusive”) utilità per l’usuario stesso e minori utilità per gli altri condomini (variando queste ultime, ad es., dalla mera possibilità per i proprietari dei piani superiori di prendere aria e luce, nonché di esercitare la veduta in appiombo, da una zona di cortile attribuita in uso esclusivo). Le Sezioni Unite, però, ritengono che un diritto reale di uso esclusivo, in capo ad un condomino, di una parte comune dell’edificio, privando gli altri condomini del relativo godimento, e cioè riservando ad essi un diritto di comproprietà svuotato del suo nucleo fondamentale, determinerebbe un radicale, strutturale snaturamento di tale diritto, non potendosi dubitare che il godimento sia un aspetto intrinseco della proprietà, come della comproprietà (salvo, naturalmente, che la separazione del godimento dalla proprietà non sia il frutto della creazione di un diritto reale normativamente previsto).

Le altre riflessioni delle Sezioni Unite

Secondo i giudici supremi, è del tutto evidente che, se ad un condomino spettasse a titolo di servitù l’uso esclusivo” di una porzione di parte comune, agli altri condomini non rimarrebbe nulla:

di conseguenza escludono che il c.d. “diritto reale di uso esclusivo” sia inquadrabile tra le servitù prediali.

Allo stesso modo gli stessi giudici supremi escludono che la creazione di un atipico “diritto reale di uso esclusivo”, tale da svuotare di contenuto il diritto di comproprietà, possa essere il prodotto dell’autonomia negoziale, essendovi di ostacolo il principio del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi: in forza del primo solo la legge può istituire figure di diritti reali; per effetto del secondo i privati non possono incidere sul contenuto, snaturandolo, dei diritti reali che la legge ha istituito.

Del resto il c.d. “diritto reale di uso esclusivo”, ove inteso come prodotto dell’atipica modificazione negoziale del diritto di comproprietà, non sarebbe comunque trascrivibile, dal momento che l’art. 2643 c.c., contempla al numero 14 la trascrizione delle sentenze, non degli atti negoziali, che operano la modificazione di uno dei diritti precedentemente elencati dalla norma.

Le conclusioni delle Sezioni Unite

I giudici supremi notano che non si può escludere la possibilità per il legislatore di dare vita a nuove figure di diritti reali, ma in difetto di intervento in tal senso, occorre verificare, per i titoli negoziali che già hanno contemplato la costituzione di un diritto reale di uso esclusivo di una parte comune dell’edificio, in àmbito condominiale, la vera volontà delle parti, o, in ultima analisi, la possibilità di conversione del contratto, ex art. 1424 c.c., in altro avente ad oggetto, alternativamente, la concessione di un diritto reale d’uso ex art. 1021 c.c. oppure di un diritto di uso esclusivo perpetuo (inter partes) di natura obbligatoria.

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