Tribunale Forlì 6/3/2007

Redazione 06/03/07
Scarica PDF Stampa
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato il 4.11.2004 la Cooperativa Edile di Predappio – premesso:
– che con contratto in data 8.9.1999 e successiva integrazione del 27.1.2000 le era stata affidata in appalto dalla società La Pace s.r.l. l’ esecuzione di lavori di ristrutturazione ed ampliamento dell’ hotel La Pace per un corrispettivo a forfait di £. 2.049.975.550 oltre I.V.A.;
– che nel corso dell’ esecuzione dell’ intervento la società committente aveva sollevato contestazioni in merito a ritardi nella consegna delle opere, mancato completamento dei lavori, pretesi vizi e difformità;
– di aver a propria volta lamentato l’ illegittima applicazione in corso d’ opera di penali, la mancata corresponsione di parte dei corrispettivi liquidati tramite S.A.L. e l’ omesso riconoscimento di maggiori corrispettivi per opere non previste in contratto;
– che in ragione di tale contrasto le parti avevano provveduto alla nomina di un collegio arbitrale, in applicazione della clausola compromissoria pattuita al punto n. 16 del contratto di appalto;
– che le parti, nel comparire avanti al collegio, avevano concordato sulla natura irrituale dell’ arbitrato;
– che il collegio arbitrale, con lodo del 20.7.2002, deliberando a maggioranza e prendendo atto del dissenso di singoli arbitri su specifici punti della controversia, aveva accolto parzialmente le domande proposte, condannando la società La Pace s.r.l. al pagamento in suo favore della somma di € 113.967,3;
– che in seguito la controparte aveva provveduto al pagamento di € 138.083,14 a saldo degli importi liquidati tramite il lodo arbitrale;
– che il lodo tuttavia doveva considerarsi nullo per mancanza di accordo fra gli arbitri mandatari, ex artt. 1425 e 1325 c.c., o invalido ed inefficace, ai sensi dell’ art. 1711 c.c., in quanto la causa petendi era stata evasa ricorrendo a diverse maggioranze negoziali, cioè tramite la pronuncia di distinti lodi parziali poi accorpati in un unico documento;
– che il lodo doveva ritenersi nullo o annullabile per omessa pronuncia o viziato da errore perché il collegio arbitrale aver evitato di pronunciarsi in merito alla remunerabilità dei maggiori oneri incontrati nella realizzazione delle opere contrattualmente previste a causa dell’ inadeguatezza della documentazione tecnica e di rilievo;
– che analoghi vizi affliggevano il lodo relativamente alla mancata liquidazione di un maggiore corrispettivo a compenso dei lavori di demolizione, risagomatura ed integrale ricostruzione di ventidue finestre;
– che inoltre il lodo doveva essere annullato per errore essenziale e riconoscibile laddove aveva assegnato corrispettivi all’ evidenza incongrui per i maggiori oneri sostenuti nella realizzazione degli scavi;
– che in più la pronunzia del collegio arbitrale era stata viziata dalla mancata audizione di testi già ammessi e poi non escussi dal collegio;
– che era sua intenzione riproporre in sede giudiziale tutte le domande già formulate in sede arbitrale; – tanto premesso, conveniva in giudizio avanti a questo Tribunale la società La Pace s.r.l., con sede in Bagno di Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, onde sentirla condannare, previa declaratoria di nullità e/o annullabilità del lodo arbitrale irrituale pronunciato in Forlì in data 20.7.2002 ed una volta accertato il proprio diritto ad ottenere la proroga dei termini di consegna originariamente stabiliti, al pagamento della somma di € 696.860,9, oltre accessori, per le ragioni di credito sopra esposte.
Si costituiva tempestivamente in giudizio la compagine convenuta contestando la fondatezza delle avversarie asserzioni, di cui domandava l’ integrale reiezione.
In particolare la società La Pace s.r.l. contestava che l’ espressione del dissenso manifestata dagli arbitri su differenti punti della controversia rendesse nullo il lodo arbitrale, il quale doveva essere inteso come un’ unica globale decisione; inoltre la compagine convenuta, dopo aver spiegato che la statuizione arbitrale aveva esaminato nel merito e respinto le domande proposte dalla Cooperativa Edile di Predappio, rappresentava come fosse oramai preclusa alla controparte qualsiasi impugnativa per errori di diritto o errores in iudicando.
La causa, istruita documentalmente, è stata trattenuta in decisione all’ udienza del 18 ottobre 2006 sulle conclusioni rassegnate dalle parti come in epigrafe.

Motivi della decisione
L’ arbitrato libero può essere qualificato come un contratto per relationem, ove la decisione degli arbitri si caratterizza nel suo momento qualificante come una sequenza procedimentale orientata verso una soluzione negoziale della lite per modum mandati.
E’ bene rimarcare come la fattispecie negoziale in parola abbia carattere composito, trattandosi di un mandato congiuntamente conferito dalle parti ad uno o più terzi affinché costoro completino in loro vece un nuovo negozio.
L’ effetto di risoluzione stragiudiziale della controversia del lodo irrituale non si ricollega così ad una decisione eteronoma, come avviene nell’ arbitrato rituale, bensì si riconnette in via esclusiva alla volontà negoziale delle parti, risolvendosi in uno strumento di risoluzione delle controversie civili alternativo al processo che vive fuori dall’ ambito giurisdizionale, sviluppandosi ed esaurendosi in via esclusiva nel campo del diritto sostanziale e contenendo una rinuncia alla giurisdizione in favore di una soluzione della lite a cui giungere soltanto in via negoziale.
Se questa è la natura dell’ arbitrato irrituale e del lodo che da esso trae origine, la doglianza preliminare attorea non può che essere ritenuta priva di fondamento.
Parte attrice, traendo il destro dalla parte del dispositivo in cui si enuncia che il lodo venne assunto "deliberando a maggioranza e prendendo atto del dissenso dei singoli arbitri su specifici punti della controversia", censura in sostanza il procedimento deliberativo seguito dal collegio arbitrale, che, di pronunzia in pronunzia su singoli punti, adottando di volta in volta diverse maggioranze, sarebbe giunto ad elaborare una decisione composita, che altro non sarebbe che la riductio ad unum di singoli lodi parziali.
Una simile tesi, per quanto suggestiva, non è affatto condivisibile, per una serie di motivi.
In primo luogo essa si fonda sul presupposto che la pronunzia di lodi parziali sia di per sé illegittima, affermazione inesatta in termini generali in quanto l’ adozione di singole pronunzie parziali deve considerasi invalida nella misura in cui contrasti con il tenore del mandato conferito dalle parti agli arbitri e con l’ eventuale specifica disciplina del procedimento che sia stata stabilita all’ interno della clausola compromissoria, il che non è nel caso di specie.
In realtà, poi, le tesi dottrinali richiamate da parte attrice censurano non tanto l’ adozione di una soluzione negoziale conclusiva adottata tramite la decisione per singoli punti della lite, ma la pronunzia di un lodo parziale separato, ontologicamente e temporalmente, dalla successiva statuizione finale.
Nulla di tutto questo si è verificato nel caso in esame, in quanto la decisione venne adottata in un’ unica soluzione, mediante una coeva statuizione sull’ intero thema decidendi posto all’ esame del collegio arbitrale.
Ciò nonostante, a prescindere dagli ulteriori distinguo che si potrebbero fare fra l’ ipotesi prospettata ed il caso concreto, è bene rimarcare come l’ unico criterio discretivo in ordine alla validità del lodo irrituale sia costituito dalla verifica che l’ atto finale, di natura negoziale e non decisionale, sia stato adottato nel rispetto della volontà contrattuale delle parti.
Dunque l’ interpretazione del lodo come un affastellarsi di singole decisioni sconta un errore di prospettiva, sia perché valorizza il lodo per la natura decisionale che esso invece non assume, sia, soprattutto, perché omette di fare riferimento alla clausola arbitrale per stabilire la validità dell’ atto negoziale adottato.
La clausola arbitrale prevista al punto 16 del contratto di appalto nulla dice in merito alle modalità con cui il collegio arbitrale avrebbe dovuto arrivare, via via, alla soluzione negoziale demantagli, non prevedendo in particolare né una specifica disciplina procedimentale da adottare a pena di invalidità del lodo (ma anzi abilitando gli arbitri a decidere "anche senza formalità"), né che l’ atto finale avrebbe dovuto essere necessariamente il frutto della costante e concorde volontà di almeno due arbitri.
In definitiva non è possibile ritenere che il collegio arbitrale abbia in qualche modo violato il mandato conferitogli, derivandone così l’ infondatezza delle tesi attoree.
D’ altra parte è facile ricavare l’ infondatezza di simili assunti anche ragionando al contrario.
Se realmente fosse stato precluso agli arbitri di adottare decisioni su singoli punti con maggioranze diverse, costoro, stante il dissenso di più membri su una pluralità di argomenti, non avrebbero potuto adottare alcuna soluzione finale.
In questo modo il collegio non avrebbe adempiuto al mandato ricevuto sulla base di ragioni che non trovavano fondamento nell’ incarico espressamente conferito dalle parti, per quanto è dato leggere nella clausola contrattuale n. 16, ed avrebbe così ecceduto i limiti fissati nel mandato, in violazione, questa volta sì, dell’ art. 1711 c.c. e, più in generale, dei canoni di diligenza previsti dall’ art. 1176 c.c..

Analoga sorte va riservata alle ulteriori doglianze sollevate dalla compagine attrice laddove essa lamenta la nullità del lodo arbitrale per omessa pronuncia o per errore.
E’ sufficiente esaminare il lodo arbitrale per constatare come in realtà il collegio abbia disatteso la richiesta dell’ odierna attrice di remunerare i maggiori oneri incontrati nella realizzazione delle opere contrattualmente previste per inadeguatezza della documentazione tecnica e di rilievo ed abbia nel contempo respinto la richiesta di liquidazione di un maggiore corrispettivo per la demolizione, risagomatura ed integrale ricostruzione di ventidue finestre.
Il rigetto di queste pretese, argomentato sia pur per sommi capi in parte motiva, è stato ribadito senza tema di equivoci nel dispositivo del lodo, laddove si afferma espressamente che il collegio "rigetta ogni ulteriore domanda".
Simili statuizioni, stante la natura negoziale della decisione adottata dal collegio arbitrale, sono insuscettibili di gravame in questa sede.
Allo stesso modo la semplice lettura del lodo non consente di rilevare errori di rappresentazione della realtà che abbiano in qualche modo viziato il procedimento di adozione della volontà negoziale sia in merito ai profili sopra indicati, sia in ordine ai corrispettivi riconosciuti per i maggiori oneri sostenuti nella realizzazione degli scavi.
E’ noto a questo proposito che il lodo arbitrale irrituale è impugnabile, davanti al giudice ordinariamente competente, soltanto per i vizi che possono vulnerare in via generale ogni manifestazione di volontà negoziale – errore, violenza, dolo, incapacità delle parti o dell’ arbitro -, mentre è preclusa ogni impugnativa per errori di diritto ("Nell’ arbitrato irrituale, il lodo può essere impugnato per errore essenziale esclusivamente quando la formazione della volontà degli arbitri sia stata deviata da un’alterata percezione o da una falsa rappresentazione della realtà e degli elementi di fatto sottoposti al loro esame (c.d. errore di fatto), e non anche quando la deviazione attenga alla valutazione di una realtà i cui elementi siano stati esattamente percepiti (c.d. errore di giudizio); con la conseguenza che il lodo irrituale non è impugnabile per errores in iudicando (come è invece consentito, dall’ ultimo comma dell’ art. 829 c.p.c., quanto al lodo rituale), neppure ove questi consistano in una erronea interpretazione dello stesso contratto stipulato dalle parti, che ha dato origine al mandato agli arbitri; nè, più in generale, il lodo irrituale è annullabile per erronea applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale o, a maggior ragione, per un apprezzamento delle risultanze negoziali diverso da quello ritenuto dagli arbitri e non conforme alle aspettative della parte impugnante" Cass. 16.5.2003 n. 7654).
In sostanza l’ errore rilevante è solo quello attinente alla formazione della volontà degli arbitri, che si configura quando costoro abbiano avuto una falsa rappresentazione della realtà per non aver preso visione degli elementi della controversia o per averne supposti altri inesistenti, ovvero per aver dato come contestati fatti pacifici o viceversa, mentre è preclusa ogni impugnativa per errori di diritto, sia in ordine alla valutazione delle prove che in riferimento alla idoneità della decisione adottata a comporre la controversia (cfr. Cass. 15.9.2004 n. 18577).
A ben guardare la stessa parte attrice non adduce una falsa rappresentazione della realtà da parte dell’ organo arbitrale, non allega specifiche circostanze su cui gli arbitri avrebbero travisato la realtà fattuale, ma censura le determinazioni adottate nella soluzione negoziale finale.
Siffatte doglianze, risolvendosi in definitiva in un’ impugnativa di errori di diritto, sono inammissibili e non possono che essere disattese.
Del pari la soluzione negoziale non può essere censurata in conseguenza della mancata audizione di testi dapprima ammessi e poi non escussi.
Questa risoluzione, in mancanza di una disciplina contrattuale che imponesse precise regole procedurali a cui il collegio arbitrale si sarebbe dovuto attenere, poteva rilevare unicamente nel caso in cui avesse determinato un errore in fatto dell’ organo chiamato a pronunciarsi sulla vicenda ("Nell’ arbitrato libero o irrituale, che si traduce in una regolamentazione contrattuale della contesa, la violazione del principio del contraddittorio non rileva come vizio del procedimento, ma come violazione del contratto di mandato, e può rilevare esclusivamente ai fini dell’ impugnazione ex art. 1429 cc.c., ossia come errore degli arbitri che abbia inficiato la volontà contrattuale dai medesimi espressa; ne consegue che la parte che impugna il lodo deve dimostrare in concreto l’ errore nell’ apprezzamento della realtà nel quale gli arbitri sarebbero incorsi, mentre il solo fatto di non essere stata ascoltata, di non aver ricevuto copia della memoria prodotta dalla controparte o di non aver potuto produrre a sua volta una replica non implica di per sè un vizio della volontà degli arbitri" Cass. 9.8.2004 n. 15353)
Un errore di tal fatta non risulta addotto e tanto meno provato, con la conseguente reiezione anche di quest’ ultima censura.

In conclusione, in forza delle motivazioni più sopra illustrate, la domanda attorea non può che essere disattesa in ogni suo profilo.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, in ragione della natura delle questioni trattate e dell’ attività svolta in ambito istruttorio.
P.Q.M.
Il Giudice del Tribunale di Forlì, definitivamente pronunciando nella causa introdotta dalla società Cooperativa Edile di Predappio, con sede in Predappio, in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti della società La Pace s.r.l., con sede in Bagno di Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, mediante atto di citazione notificato il 4.11.2004, ogni ulteriore domanda e/o eccezione disattesa, così provvede:
– rigetta le domande proposte dalla Cooperativa Edile di Predappio nei confronti della società La Pace s.r.l.;
– condanna la Cooperativa Edile di Predappio, in persona del legale rappresentante pro tempore, all’ integrale refusione in favore della società La Pace s.r.l. delle spese di lite, che liquida in complessivi € 16.295,8, di cui € 40,8 per spese ed anticipazioni, € 4.255 per diritti e € 12.000 per onorari, oltre a spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge;
– dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva, ai sensi dell’ art. 282 c.p.c..
Così deciso in Forlì il giorno 6 marzo 2007.

Redazione