Servitù di veduta: acquisto per usucapione solo se si dimostrano 20 anni di possesso (Cass. n. 9465/2012)

Redazione 11/06/12
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

S.F., con atto di citazione del 2 giugno 1992, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli, V. V. ed, esponendo di essere proprietario in (omissis) di un fabbricato per civile abitazione confinante con altro fabbricato ed un fondo di proprietà della V., lamentava che la convenuta: a) aveva installato al confine tra le due proprietà una caldaia per riscaldamento, un serbatoio per il carburante ed alcuni tubi lungo il muro dell’abitazione dello S.; b) aveva rimosso da un balcone sempre confinante con la proprietà dell’attore le fioriere che lo cingevano e che impedivano la prospectio, creando così un’illegittima veduta sul fondo dello S.; c) dal limitrofo appartamento della V. provenivano infiltrazioni di acqua che arrecavano grave danno alla costruzione dell’attore; d) da una canna fumaria posta nei pressi del confine si dipartivano immissioni di fumo con grave danno per la proprietà dell’attore e la salute di chi vi abitava. L’attore chiedeva, pertanto, che fosse dichiarata l’illegittimità dei manufatti, delle vedute e delle immissioni denunziate e che la V. fosse condannata alla rimozione dei medesimi manufatti, all’arretramento a distanza di legge e all’adozione delle cautele del caso nonchè al risarcimento dei danni arrecati.

Si costituiva V.V., contestando la fondatezza di quanto sostenuto da controparte e proponeva domanda riconvenzionale, chiedendo che fosse accertato il suo diritto a tenere le condutture idriche nello stato attuale in virtù di acquisto del dritto per usucapione e che fosse accertata la sua veduta diretta ed obliqua sul fondo attoreo sempre a seguito di acquisto per usucapione.

Il Tribunale di Napoli, espletata la consulenza tecnica di ufficio, con sentenza dell’11 ottobre 2004, dichiarava: a) che la caldaia a gas per riscaldamento esistente nella proprietà V. a confine con quella S. era stata legittimamente istallata nel rispetto della normativa vigente e pertanto, rigettava la domanda dell’attore a rimuoverla: b) per le stesse ragioni rigettava la domanda di rimozione del serbatoio a gas posto nell’orto di proprietà V. a distanza legale dalla proprietà S.; c) dichiarava che lei condutture per l’adduzione dell’acqua calda, di quella fredda e di scarico, esistente nella cucina dell’appartamento V. si trovavo a distanza inferiore a quella prevista dall’art. 889 c.c. e, pertanto, condannava la convenuta a spostare a sua cura e spese tali condutture alla distanza di metri uno dal confine con l’appartamento attoreo; d) rigettava la domanda riconvenzionale relativa alla richiesta di avvenuta usucapione da parte della V. del diritto di tenere le citate condutture alla distanza attuale di cm. 50; c) dichiarava che dall’attuale parapetto in muratura dell’attuale balconata esterna del fabbricato V. con o senza vasi per fiori era possibile il comodo affaccio verso la scala di accesso all’appartamento dell’attore ma rigettava, per difetto di prova in ordine all’illegittimità della situazione attuale, la domanda di eliminare il comodo affaccio; e) rigettava anche la domanda della V. relativa alla declaratoria dell’avvenuta usucapione dell’attuale veduta, f) dichiarava cessata la materia del contendere relativa all’immissioni; g) rigettava la domanda attorea di condanna della convenuta V. a spostare a distanza legale la predetta canna fumaria per la quale la legge non prevede alcuna distanza.

Avverso questa sentenza interponeva appello S., lamentando il difetto e la contraddittorietà della motivazione posta a base del rigetto della domanda relativa alla veduta abusivamente esercitata dal balcone sud dell’abitazione V..

Si costituiva la V.; la quale contestava le fondatezza dei motivi di gravame e proponeva appello incidentale lamentando l’erroneità della sentenza di primo grado: 1) nella parte in cui aveva disatteso la domanda di accertamento dell’acquisto per intervenuta usucapione della servitù di veduta, 2) nella parte in cui aveva disposto l’arretramento delle condutture idriche e 3) nella parte in cui aveva ritenuta cessata la materia del contendere relativamente alle immissioni e 4) nella parte in cui aveva disposto il regolamento delle spese processuali: Chiedeva, pertanto, la riforma della sentenza.

La Corte di appello di Napoli accoglieva l’appello principale e dichiarava l’illegittimità della veduta esercitata dal parapetto in muratura della balconata esterna del fabbricato V.; rigettava l’appello incidentale, confermava nel resto la sentenza gravata. A sostegno di questa decisione rilevava: a) che non era stato provato dall’appellata l’acquisto del diritto di veduta sul fondo S.;

b) che non era stata provata l’esistenza della comunione del muro su cui insistevano le condutture idriche; c) corretta era la dichiarazione della cessazione della materia del contendere relativa alle immissioni considerato che l’avv. Di Meglio nell’interesse del suo assistito aveva rinunciato alla richiesta di indagini relative al profilo dell’intollerabilità delle immissioni dalla canna fumaria perchè tali indagini sarebbero state dispendiose.

La cassazione della sentenza della Corte napoletana è stata chiesta dalla V. con atto di ricorso affidato a quattro motivi.

S.C., quale erede di S.F. resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo, V.V., lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 c.c., degli artt. 112, 116, 230 e 244 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè motivazione insufficiente e contraddittoria in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte d Appello di Napoli, secondo la ricorrente, nel disattendere sia l’interrogatorio formale deferito all’attore, odierno resistente, e sia la prova per testimoni ritenendo il capo della prova generico ed ininfluente in quanto riferito ad una finestra con veduta sui fondi prospicienti e non al parapetto di un balcone confinante con la strada pubblica e con la scala laterale di accesso all’appartamento attoreo, perchè ciò equivale a privilegiare, in maniera asettica e non consentita, solo una parte del dato letterale del capo della prova articolato, non procedendo ad una lettura sistematica dello stesso, ma neanche corredandolo agli altri atti di causa con i quali l’odierna ricorrente aveva inequivocabilmente chiarito che il parapetto aggetto della prova articolata era quello del terrazzo del fabbricato del ricorrente. Da un attento esame degli atti – scrive la ricorrente – emergerebbe.

che la Corte territoriale, nel disattendere le istanze istruttorie dell’odierna ricorrente avrebbe omesso di considerare che esse erano incentrate sulla veduta esercitata dall’unico parapetto oggetto di causa, che non avrebbe neanche menzionato, benchè fosse riportato nell’oggetto del capo di prova.

1.1.- Il motivo è infondato e non può essere accolto perchè la sentenza impugnata ha correttamente interpretato, ritenendolo generico ed ininfluente, il capo della prova testimoniale con il quale l’attuale ricorrente avrebbe voluto dimostrare l’acquisto per usucapione del diritto di veduta sull’immobile dello S., oggetto della controversia.

1.1.a):- Non vi è dubbio che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito. Così come il giudice di legittimità non ha il potere di sindacare il risultato dell’interpretazione effettuata dal Giudice del merito, in ordine ai dati processuali: sia esso una risultanza probatoria o una richiesta di ammissione di una prova testimoniale, anche se lo stesso dato, o la stessa domanda, avrebbero potuto essere, in ipotesi, intesi in senso diverso, perchè il giudice di legittimità può verificare la correttezza del procedimento interpretativo ma non il risultato acclarato dalla sentenza impugnata. Ora nel caso in esame, la sentenza impugnata, tenuto conto di diverse circostanze e in particolare della situazione dei luoghi ha correttamente ritenuto che il capo i della prova articolato dalla V. si riferiva ad una finestra con veduta sui fondi prospicienti non al parapetto di un balcone confinante con la strada pubblica e con la scala laterale di accesso all’appartamento attorco. D’altra parte, non era di facile momento ritenere che l’espressione usata dalla V. non poteva che riferirsi al parapetto del balcone di cui si dice perchè l’espressione non era imprecisa ma rappresentava una situazione assolutamente diversa e ben definita.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 353 del 1990) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Motivazione insufficiente ed erronea in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte di merito, secondo la ricorrente, nell’aver dichiarato inammissibile la riformulazione della richiesta di prova orale sulla preesistenza della veduta per la sua non pertinente formulazione considerato che in ragione dell’art. 345 c.p.c. nel testo anteriore all’entrata in vigore della L. 26 novembre 1990 era possibile articolare, in fase di appello, nuova prova testimoniale e chiederne l’ammissione. Se solo la Corte di merito avesse ammesso la prova richiesta (interrogatorio formale dell’attore e prova per testi) avrebbe accertato la preesistenza del balcone e del relativo parapetto e, pertanto, il perfezionamento della fattispecie acquisitiva della servitù di veduta per usucapione, con l’accoglimento dell’appello incidentale e il rigetto di quello principale.

2.1.- Anche questo motivo è infondato e non può essere accolto perchè l’istanza di ammissione della prova testimoniale, di cui si dice, non integrava gli estremi di una prova nuova, requisito essenziale per l’ammissione della stessa in grado di appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c. nel regime previgente alla riforma del codice di rito, ma era quella stessa prova dichiarata inammissibile in primo grado perchè non articolata correttamente ai sensi degli artt. 244 e 230 c.p.c..

2.1.a) Come più volte è stato affermato da questa Corte, avuto riguardo al regime previgente alla riforma del codice di rito, la novità della prova, che costituisce requisito basilare per l’ammissione della stessa in grado di appello, attiene sia al tipo di mezzo istruttorio dedotto, sia all’oggetto del mezzo di prova, per cui si ha prova nuova ammissibile per la prima volta in grado di appello sia quando si chiede un mezzo di prova di tipo nuovo avente ad oggetto circostanze circa le quali si è in primo grado già espletato un altro mezzo di prova, sia quando in grado di appello si propone un mezzo di prova identico a quello già proposto in primo grado, ma avente ad oggetto, circostanze assolutamente diverse da quelle in ordine alle quali lo stesso mezzo è stato già assunto in primo grado (ex multis sent, n. 10761 del 09/07/2003).

3.- Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., degli artt. 61, 115, 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Insufficiente ed erronea motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte napoletana, secondo la ricorrente, nell’aver condannato l’attuale ricorrente allo svenimento ed arretramento delle condutture idriche ad un metro dal muro di confine considerato che il muro nel quale si trovavano le condutture idriche era comune ad entrambe le parti per patto espresso con la convenzione del 27 giugno 1977. Per altro, era pacifico che la convenzione transattiva del 1977 avesse ad oggetto gli attuali due fabbricati degli odierni contendenti, relativamente ai quali i contraenti della predetta convenzione manifestarono la volontà di rendere comune il muro al quale fecero riferimento. Pertanto, la salomonica conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale non può ritenersi soddisfacente e, soprattutto, rispettosa dei canoni ermeneutici previsti dall’art. 1362 c.c. e segg. risolvendosi nella negazione dell’esistenza della convenzione costitutiva del muro comune ai due fabbricati o, comunque, dei suoi effetti. E’ di tutta evidenza l’elusione da parte della Corte territoriale del principio fissato dall’art. 1367 c.c., laddove dispone “nel dubbio il contratto e le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non avrebbero alcuno”. A ben vedere, la Corte territoriale sempre secondo la ricorrente – avrebbe preferito non attribuire alcun effetto alla convenzione piuttosto che disporre un supplemento tecnico per individuare l’oggetto della manifestazione volitiva delle parti.

3.1.- Il motivo è infondato e non può essere accolto non solo o non tanto perchè si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei fatti di causa, non proponibile con il ricorso per cassazione, ma, soprattutto, perchè la sentenza chiarisce, con ragionamento chiaro e convincente, che la V. non ha fornito elementi idonei a superare l’incertezza in ordine al muro che è stato reso comune, ovvero, che il muro su cui insistono le conduttore idriche oggetto della controversia, fosse comune.

3.1.a).- A ben vedere, la Corte di merito ha esaminato ed ha interpretato il contenuto della scrittura transattiva del 27 giugno 1977 ma, così come il Tribunale, è pervenuta alla conclusione che da essa non emergeva indicazione chiara e sicura che il muro fosse stato reso comune, nè la V. aveva fornito una prova valida della comunione del muro a confine tra la cucina della convenuta e la proprietà S.. In particolare, la Corte di merito ha avuto modo di specificare: a) che la lettura degli atti di citazione introduttivi della lite che le parti hanno inteso transigere, b) che l’identificazione del muro con quello “per il quale la B. ha chiesto l’indennità di appoggio”, non erano sufficienti ad indicare in modo univoco che il muro oggetto di controversia fosse comune. Tuttavia, la Corte di merito, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, ha superato definitivamente le incertezze della scrittura transattiva riscontrando le indicazioni offerte dalla relazione del CTU laddove specificava che l’appartamento attoreo e quello della convenuta erano attestati in aderenza lungo la linea del confine, per cui il muro della cucina della V. posto a confine con la proprietà S. non poteva essere considerato comune.

4.- Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione e dell’art. 112 c.p.c. dell’art. 1102 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Erronea ed insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Avrebbe errato la Corte territoriale, secondo la ricorrente, nell’aver preso posizione su di una domanda mai proposta ritenendo l’illegittimità ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. delle tubazioni anche se insistenti sul muro realmente di proprietà comune, considerato che l’attore con l’atto introduttivo del giudizio aveva contestato l’illegittima installazione delle tubazioni poste a distanza illegale dal confine chiedendo la condanna della convenuta alla loro rimozione. Pertanto, la causa petendi era costituita dalla violazione delle distanze legali ed il petitum dal provvedimento di condanna all’arretramento delle condotte.

4.1.- Questo motivo rimane assorbito dal motivo precedente. Appare opportuno, comunque osservare, che la dichiarazione di illegittimità delle tubazioni anche se insistenti sul muro realmente di proprietà comune, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. è stata resa, dalla Corte di merito, ad abundantiam e non già quale ragione unica della decisione.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese giudiziali del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori come per legge.

Redazione