Responsabilità medica: il paziente ha l’onere di dimostrare il nesso causale (Cass. n. 19873/2013)

Redazione 29/08/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. M.L. conveniva in giudizio i sanitari P. G., P.V. e A.A. e l’Ospedale (omissis), per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento di tutti i danni da Lei subiti a seguito dell’intervento chirurgico cui era stata sottoposta in data (omissis). Si costituivano in giudizio i convenuti chiedendo, oltre al rigetto della domanda attrice, di essere autorizzati alla chiamata in causa delle rispettive compagnie di assicurazione. Il G. I. autorizzava tali chiamate di terzo e pertanto si costituivano in giudizio la Norditalia assicurazione, la Unipol S.p.A. e successivamente la Atlans Assicurazioni.

Il Tribunale di Savona, in accoglimento della domanda, condannava Pr.Gi., P.V., A.A. e l’Ospedale (omissis), in solido tra loro, al risarcimento a favore della M. dei danni subiti a seguito della deiscenza della sutura, conseguente ad errore nella tecnica chirurgica, quantificandoli in Euro 38.596,37, oltre interessi legali. Rigettava le domande di manleva proposte nei confronti dei terzi chiamati Atlans Ins.; accoglieva la domanda di manleva proposta da Pr.Gi. nei confronti della Norditalia S.p.A., condannando quest’ultima a mantenerlo indenne dalle conseguenze negative scaturenti dalla condanna. Riteneva, invece, non provato il nesso tra la peritonite pelvica, esito dell’intervento chirurgico e la condizione di sterilità dell’allora attrice.

Avverso tale sentenza, proponeva appello la M., lamentando la mancata considerazione delle le conclusioni della C.T.U., deponenti a favore dell’affermazione del nesso causale tra la peritonite e la condizione di sterilità, con ogni conseguenza sulla quantificazione del danno. Si costituiva in giudizio la ASL n. (omissis) – Savonese, chiedendo il rigetto dell’appello, sia per novità della domanda risarcitoria dei danni conseguenti alla sterilità, sia per l’infondatezza nel merito della stessa. La medesima Asl, proponeva altresì appello incidentale, così come i medici A., Pr. e P., chiedendo integrale riforma della sentenza appellata, considerata l’insussistenza del nesso causale.

2. Con la sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata il 4/10/2006, la Corte d’Appello di Genova respingeva l’appello della M., sia nei confronti della ASL, dell’ A., del P. e del Pr., sia nei confronti delle Compagnie assicuratrici; rigettava anche l’appello incidentale dell’ A., del Pr., del P. e della ASL n. (omissis) di Savona nei confronti, sia della M., che della Compagnia Assicuratrice UNIPOL S.p.a.; dichiarava l’inammissibilità dell’appello incidentale della CA.RI.GE Assicurazioni S.p.A.; accoglieva parzialmente l’appello incidentale del Pr. e condannava la CARIGE Ass.ni alla refusione delle spese di lite; condannava la Regione Liguria a risarcire alla M. i danni dalla stessa subiti in misura pari a quella stabilita in primo grado; compensava le spese del giudizio di secondo grado tra la UNIPOL ed i tre sanitari.

I Giudici territoriali in primo luogo condividevano la ricostruzione della responsabilità dei sanitari operata dal primo giudice.

Infatti, avendo l’allora appellante allegato l’evento dannoso e provato il nesso causale con l’intervento chirurgico (era incontestabile che la peritonite pelvica era causata dall’intervento), i sanitari, secondo i principi della responsabilità contrattuale, non fornivano alcuna prova per dimostrare l’assenza di colpa e quindi per andare esenti da responsabilità.

Accertava poi, in ordine all’appello principale, l’impossibilità di ravvisare la derivazione dell’asserita sterilità dall’intervento chirurgico di appendicectomia. Secondo la CTU, difatti, non poteva accertarsi che l’ostruzione della tuba sinistra scaturisse proprio dalla deiscenza della sutura e non che la stessa sia conseguente a situazioni patologiche preesistenti. Inoltre, tale ostruzione, non era riconosciuta, dallo stesso CTU, causa di per sè di sterilità, ma riducente, approssimativamente del 50%, la probabilità di inseminazione.

In merito all’appello incidentale proposto congiuntamente dai sanitari avverso la statuizione di rigetto della domanda di manleva verso Unipol, confermava la sentenza di primo grado. L’assicurazione, infatti, risultava stipulata con la U.S.L.. Tale polizza era considerata estesa alla responsabilità civile dei dipendenti dell’assicurato nello svolgimento delle loro mansioni, ma non avrebbe rappresentato, per ciò solo, secondo la Corte territoriale, un contratto a favore di terzi – secondo quanto dedotto ma non argomentato dai sanitari – perchè la garanzia operava “in riferimento alla responsabilità del contraente per la condotta delle persone per le quali o con le quali” avesse dovuto rispondere.

3. Ricorre per Cassazione la M. con tre motivi, illustrati con memoria; resistono, con rispettivi controricorsi, la ASL n. (OMISSIS) – Savonese, spa e i sanitari A., P. e Pr.. Questi ultimi propongono anche ricorso incidentale, illustrato con memoria, al quale resiste l’Unipol che chiede dichiararsi inammissibile tale impugnazione in quanto tardiva, non rientrando nei limiti soggettivi di cui all’art. 334 c.p.c., nè potendo essere considerata valida come impugnazione autonoma, essendo stata intempestivamente proposta.

I ricorsi vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

I motivi del ricorso principale sono i seguenti:

3.1 – 1. Violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 40, 41 c.p., nonchè – 2. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La Corte d’Appello, nel non riconoscere il nesso di causalità tra l’operazione di appendicectomia e il conseguente stato di sterilità dell’odierna ricorrente, non avrebbe, erroneamente, attribuito all’occlusione della tuba sinistra l’efficienza causale esclusiva nella produzione della sterilità, ritenendo, al contrario, che altre eventuali concause (patologie preesistenti e/o sterilità del marito) potessero aver attenuato la causalità eziologica della ostruzione della tuba di sinistra sulla sterilità. L’iter logico della Corte Territoriale sarebbe in contrasto con i principi generali affermati da questa S.C. in ordine alla ripartizione dell’onere della prova in materia di responsabilità professionale con la sentenza Sez. Un. 13533/2001 (alla luce della quale il creditore, che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve dare prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento), per aver ritenuto che competesse alla M. l’onere di provare l’inesistenza di preesistenti situazioni patologiche e l’assenza della sterilità del marito.

Formula al riguardo il seguente quesito di diritto: “Alla luce di quanto sopra è evidente come la Corte d’Appello abbia escluso il nesso di causalità tra l’operazione di appendicectomia e il conseguente stato di sterilità della sig.ra ***** Si chiede, pertanto, che ******************** riaffermi la corretta interpretazione degli artt. 40 e 41 c.p. e artt. 1218 e 2697 c.c., in forza dei quali spetta ai professionisti fornire la prova che la prestazione è stata eseguita correttamente e l’esito peggiorativo è stato causato dal sopravvenire di un evento imprevisto ed imprevedibile oppure dalla preesistenza di una particolare condizione fisica del malato, non accettabile con il criterio della ordinaria diligenza professionale. Inoltre, si chiede che ******************** riaffermi che il nesso causale tra condotta illecita e danno risarcibile, anche in ambito civile, è disciplinato dagli artt. 40 e 41 c.p., sicchè è sufficiente che l’autore dell’illecito ponga in essere una soltanto tra le molteplici concause dell’evento dannoso, affinchè possa esserne ritenuto responsabile, con la conseguenza che, nel caso in cui la particolare predisposizione fisica della vittima di lesioni personali contribuisca ad amplificare gli effetti di queste ultime, il danneggiale sarà comunque tenuto a risarcire il danno biologico nella sua interezza”.

3.2 Violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la domanda di risarcimento danni promossa nei confronti della ASL da parte dell’odierna ricorrente principale, per lo stato di sterilità a seguito dell’operazione, non costituirebbe una mutatio libelli, rientrando sia nel petitum che nella causa petendi della domanda originaria le prove dedotte con la memoria del 2.10.01. Formula al riguardo il seguente quesito di diritto: “Alla luce di quanto sopra si chiede che ******************** riaffermi che non può considerarsi nuova la domanda virtualmente compresa in quella originaria, in quanto fondata su fatti e comportamenti non diversi, per consistenza ontologica, struttura e qualificazione giuridica, nonchè per la riferibilità soggettiva, da quelli con detta domanda prospettati, e diretta solo a precisarne le situazioni e le circostanze che, nell’ambito della pretesa, sono indicative della violazione lamentata con la domanda”.

4. Con il loro ricorso incidentale i sanitari A., Pr. e P. lamentano:

4.1 Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1411 e 1891 c.c., nonchè insufficienza della motivazione circa un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente disatteso la loro domanda, volta ad ottenere la condanna della Compagnia di Ass.ni Unipol S.p.a. a manlevarli da ogni pretesa fatta valere nei loro confronti nel presente giudizio. In tal modo, i giudici di merito non avrebbero tenuto conto che si trattava di contratto assicurativo stipulato anche in favore dei terzi, vale a dire dei sanitari dipendenti della ASL medesima, come si evince dal testo della polizza assicurativa secondo cui “la garanzia si estende alla responsabilità civile personale dei dipendenti dell’assicurato nello svolgimento delle loro mansioni”. La detta clausola, espressamente conteneva la rinuncia al diritto di surroga nei confronti degli stessi. Formula al riguardo il seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc. ma Corte se non sia contrario al principio ermeneutico fissato nell’art. 1362 cod. civ., comma 1, nonchè al principio della interpretazione complessiva delle clausole contrattuali (art. 1363 c.c.) escludere che il contratto assicurativo di cui trattasi sia stato stipulato anche nei confronti di terzi (sanitari dipendenti di una ASL), senza prendere in considerazione il contenuto delle clausole contrattuali e specie la clausola che prevede l’estensione della garanzia alla responsabilità civile dei dipendenti dell’assicurato nello svolgimento delle loro mansioni e la rinuncia al diritto di surroga nei loro confronti”.

5. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi, a norma dell’art. 335 c.p.c..

6.1 motivi del ricorso principale sono tutti privi di pregio, per mancanza di idoneo quesito di diritto con riferimento al primo e al terzo, che deducono violazioni di legge, nonchè per mancanza del “momento di sintesi” relativamente al secondo motivo, che deduce vizi motivazionali. Lo stesso dicasi per il motivo del ricorso incidentale, che si presenta del tutto generico e non riporta il generale tenore delle clausole contrattuali si cui contesta l’interpretazione.

6.1. Quanto all’inidoneità dei quesiti di diritto, l’art. 366 bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, prevede le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, disponendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso se, in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ciascuna censura, all’esito della sua illustrazione, non si traduca in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza; mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09).

6.2. Rispetto al primo e all’ultimo motivo del ricorso principale ed a quello del ricorso incidentale, che deducono vizi di violazione di legge, si deve ribadire che il quesito di diritto, per essere considerato idoneo, deve essere formulato in modo tale da esplicitare una sintesi logico giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in casi ulteriori, rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. In altri termini esso deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito (siccome da questi ritenuti per veri, mancando, altrimenti, la critica di pertinenza alla ratio decidendi della sentenza impugnata); b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto applicabile che – ad avviso del ricorrente – si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Il quesito – quindi – non deve risolversi in una enunciazione di carattere generico e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi, altresì, desumere il quesito stesso dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione della norma (v. Cass. n. 6549/2013, cit.; Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

6.3. Pertanto i quesiti si rivelano inidonei, ove consistano, come nel caso in esame, in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata.

Non sono, pertanto, idonei i quesiti formulati nel ricorso principale ed in quello incidentale, dato che non contengono adeguati riferimenti in fatto (nè l’oggetto della questione controversa, nè la sintesi degli sviluppi della controversia sullo stesso, nè l’indicazione delle effettive ragioni della decisione, quanto al ricorso principale, in ordine al governo dell’onere probatorio ed ai criteri d’interpretazione della domanda e, quanto a quello incidentale, in ordine all’effettiva portata delle clausole di polizza contestate), nè espongono chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, i quesiti si limitano ad enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di chiare e specifiche indicazioni sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420).

Del resto, il quesito di diritto non può risolversi – come in quelli in esame – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536). I quesiti proposti dall’odierno ricorrente, per un verso si rivelano assolutamente generici, senza adeguati riferimenti alla fattispecie concreta, risolvendosi, così, in semplici enunciazioni di principio, del tutto inidonei a consentire l’individuazione della questione di diritto da risolvere al fine di accogliere o respingere la censura formulata nei confronti della sentenza impugnata (Cass. 16002/2007, ord.; S.U. n. 36/2007). La censura di cui al ricorso incidentale è del tutto priva di pregio, perchè, nel formulare la stessa, non si è tenuto conto che quando il ricorrente censuri l’erronea interpretazione di clausole contrattuali da parte del giudice di merito, per il principio di autosufficienza del ricorso, ha l’onere di trascriverle integralmente perchè al giudice di legittimità è precluso l’esame degli atti per verifica re la rilevanza e la fondatezza della censura (Cass. n. 2560/2007; 3075/2006).

6.3. Rispetto al terzo motivo del ricorso principale ed alla parte del ricorso incidentale prospettante vizi ex art. 360 c.p.c., n. 5, che deducono, quindi, vizi motivazionali, non è stato formulato il “momento di sintesi”, che, come da questa Corte precisato, richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470/08). Si deve, invero, ribadire che “il ricorrente che denunci un vizio di motivazione della sentenza impugnata è tenuto – nel confezionamento del relativo motivo – a formulare in riferimento alla anzidetta censura, un c.d. quesito di fatto, e cioè indicare chiaramente, in modo sintetico, evidente e autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, così come le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. A tale fine è necessaria la enucleazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso nel quale tutto ciò risalti in modo non equivoco. Tale requisito, infine, non può ritenersi rispettato allorquando solo la completa lettura della illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto e il significato delle censure, posto che la ratio che sottende la disposizione di cui all’art. 366 bis c.p.c., è associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla Suprema Corte, la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito di fatto, quale sia l’errore commesso dal giudice del merito (v., da ultimo, Cass. n. 6549/2013; nonchè Cass. n. 16002/2007, ord.; 12052/2007). Nell’esposizione del motivo di ricorso non è in alcun modo individuabile l’indicazione dei fatti controversi nè delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione, con violazione quindi dell’art. 366 bis c.p.c. e conseguente declaratoria di inammissibilità delle censure.

7. A prescindere dai profili relativi all’insussistenza dei requisiti di formulazione dei motivi ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il ricorso principale non coglie nel segno anche per le seguenti ragioni:

7.1. i primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, poichè entrambi incentrati sulla medesima questione del mancato riconoscimento del nesso di causalità tra l’intervento di appendicectomia e lo stato di sterilità della ricorrente principale.

La soluzione operata dai Giudici d’appello merita condivisione, essendo riconosciuto, dalla giurisprudenza di questa Corte, che nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, l’attore ha l’onere di allegare e di provare l’esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l’onere di allegare (ma non di provare) la colpa del medico; quest’ultimo, invece, ha l’onere di provare che l’eventuale insuccesso dell’intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, sia dipeso da causa a sè non imputabile (Cass. n. 17143/2012). Come correttamente riconosciuto dai Giudici territoriali, con motivazione congrua e immune dai lamentati vizi, sarebbe stato onere dell’odierna ricorrente provare la mancata riferibilità della condizione di sterilità ad altre cause, pregresse o esterne, idonee a far ritenere la riconducibilità della condizione stessa al fatto dei sanitari;

7.2. il terzo motivo del ricorso principale non coglie nel segno, avendo i Giudici d’appello disatteso nel merito la domanda di risarcimento danni per la sterilità.

7.3. Il ricorso incidentale è, comunque, inammissibile anche perchè tardivamente proposto (il 14.12.2007), rispetto al termine “lungo” d’impugnazione della sentenza d’appello, depositata il 4.10.2006, dai tre sanitari che non sono stati i destinatari dell’impugnazione principale proposta dalla M.. Si deve, infatti riaffermare che, nelle cause scindibili – come la presente avente ad oggetto, accanto all’azione di responsabilità professionale medica, quella di garanzia proposta dai sanitari nei confronti dell’assicurazione della ASL – l’impugnazione incidentale tardiva può essere proposta soltanto nei confronti di chi abbia dedotto l’impugnazione principale e non contro una parte diversa (Cass. n. 50/2009; 10042/2006; 8105/2006). Nè tale assetto ermeneutico è inficiato da quanto affermato da Cass. S.U. n. 24627 del 2007, avendo questa S.C. ribadito in seguito che, nell’ipotesi di chiamata in causa del terzo con azione di garanzia impropria, (come nella specie) che da luogo alla trattazione congiunta di cause scindibili, l’impugnazione incidentale del convenuto – in quanto intesa alla declaratoria del proprio diritto, disconosciuto o solo parzialmente riconosciuto nella sentenza impugnata, a rivalersi integralmente sui terzi chiamati di quanto dovuto all’attore a seguito dell’accoglimento della domanda di questi nei propri confronti – risulta distinta ed autonoma, per soggetti e per titolo, rispetto a quella proposta in via principale dall’attore, e l’interesse a proporla sorge non dall’impugnazione principale, ma dalla stessa sentenza impugnata, con la conseguenza che non può essere proposta nel termine previsto dall’art. 334 cod. proc. civ., per l’impugnazione incidentale tardiva (Cass. n. 19286/2009; nello stesso senso v. anche Cass. n. 21827/2010). Ne deriva che il punto della sentenza relativo al rigetto della domanda di garanzia avrebbe potuto formare oggetto solo di autonoma impugnazione; nè può validamente ritenersi convertita in autonoma quella incidentalmente proposta in quanto, come si è visto, tardiva rispetto al deposito della sentenza impugnata 8. Ne deriva che, respinto il ricorso principale, il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.

9. Le spese sono liquidate in dispositivo, secondo il criterio della rispettiva soccombenza. Compensa le spese tra la ricorrente principale e quelli incidentali.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Condanna la M. al pagamento delle spese del presente giudizio nei confronti della ASL ed i tre sanitari in solido al pagamento delle medesime nei confronti dell’Unipol, liquidandole per ciascuno di detti rapporti processuali, in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00, per compensi, oltre accessori di legge. Compensa le spese tra la M. ed i sanitari.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2013.

Redazione