Reati tributari: l’indagato per frode fiscale non dev’essere sottoposto a misure cautelari a meno che non abbia specifici precedenti (Cass. pen. n. 43186/2012)

Redazione 08/11/12
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Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 3 aprile 2012 il Tribunale di Venezia in funzione del giudice del riesame rigettava, tra l’altro, le istanze di riesame presentate da G. V. e R. G. avverso il provvedimento applicativo della misura dell’obbligo di presentazione alla p.g. emesso nei loro confronti dal G.i.p. del Tribunale di Padova per i reati, rispettivamente, di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e di bancarotta fraudolenta.

2. Avverso l’ordinanza ricorrono a mezzo dei rispettivi difensori entrambi gli indagati.

2.1 II ricorso del G. deduce violazione dell’art. 274 lett. c) c.p.p. e vizi motivazionali dell’ordinanza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione del reato in contestazione. In particolare il ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe illegittimamente desunto il suddetto pericolo in maniera automatica dal carattere stesso del reato contestato ed in particolare dalla protrazione nel tempo della condotta illecita, astenendosi invece dalla doverosa individuazione di autonomi elementi idonei a fondare la prognosi resa. Non di meno il provvedimento impugnato avrebbe omesso qualsiasi valutazione sull’attualità e concretezza dell’esigenza di cautela.

2.2 II ricorso del R. contesta invece innanzi tutto la motivazione del provvedimento impugnato in merito alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi del concorso dell’indagato nei reati fallimentari contestati, deducendo in sostanza la mancanza del dolo necessario al perfezionamento del reato. In proposito il ricorrente rileva come il Tribunale non avrebbe considerato, nell’affermare la “mala fede” del R., il fatto che egli aveva in realtà querelato per truffa i suoi presunti complici che non aveva alcuna esperienza amministrativa essendo da poco subentrato alla madre nella gestione della farmacia di cui era titolare, tanto da farsi assistere nell’operazione da professionisti che lo avevano rassicurato sulla sua liceità, e che non vantava alcun interesse a far fallire la società cessionaria del ramo d’azienda estrapolato dalla stessa, atteso che ne sarebbe conseguito – come poi avvenuto – che i creditori lo avrebbero “assalito”.

Il ricorso censura inoltre l’utilizzazione di una motivazione precostituita e dunque apparente per giustificare la riconosciuta sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, peraltro fondata su elementi meramente congetturali e senza tenere conto dell’incensuratezza dell’indagato, nonché della sua inesperienza, tutti elementi sintomatici dell’occasionalità del reato di cui debba eventualmente rispondere.

 

 

Considerato in diritto

 

1. II ricorso del G. è fondato e deve pertanto essere accolto.

1.1 II giudizio prognostico sul pericolo di reiterazione del reato, secondo quanto previsto dall’art. 274 comma 1 lett. c) c.p.p., deve fondarsi sulle specifiche modalità e circostanze del fatto e sulla personalità dell’indagato, quest’ultima desunta da atti o comportamenti concreti tenuti dal medesimo ovvero dai suoi precedenti.

Pur con qualche oscillazione, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che il suddetto giudizio debba essere condotto attraverso una vaglio complessivo di entrambi i parametri considerati dalla legge processuale, pur ammettendo in maniera oramai consolidata che la valutazione negativa della personalità dell’indagato – contrariamente a quanto sembra ritenere il ricorrente – possa essere tratta anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, considerate nella loro obiettività, giacché la condotta tenuta in occasione del reato può costituire un elemento specifico significativo per soppesare la personalità dell’agente (ex multis Sez. 4 n. 11179 del 19 gennaio 2005, *******, rv 231583).

Se è pur vero, dunque, che, ai fini della configurabilità della ritenuta esigenza di cautela, gli elementi apprezzabili possono essere tratti anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, non è men vero che tali modalità e circostanze devono avere una connotazione che oggettivamente sia sintomatica della personalità dell’agente come incline a reiterare la stessa condotta antigiuridica o altra omogenea, non potendosi desumere il pericolo di reiterazione di reati della stessa indole per automatismo dal carattere stesso dei reati contestati (Sez. 6 n. 30976 del 10 luglio 2007, ********, in motivazione).

1.2 II provvedimento impugnato attribuisce decisiva valenza negativa all’atteggiamento tenuto dal G. nella consumazione del reato, ritenuto sintomatico dell’assenza in capo all’indagato di “freni inibitori” e dunque in grado di fondare una prognosi sfavorevole sul suo futuro comportamento. In particolare il Tribunale ha rilevato come egli abbia reagito con “spregiudicatezza” alla crisi della propria azienda decidendo di impedire al fisco di recuperare i propri crediti attraverso il ricorso ad un meccanismo fraudolento la cui predisposizione è stata dallo stesso G. consapevolmente orchestrata (la cessione ad una società poi abbandonata al fallimento delle passività dell’azienda, parzialmente mascherata attraverso l’inserimento nell’atto di cessione di attività invero inesistenti e la successiva cessione dell’effettivo ramo attivo della stessa azienda ad altra società sciolta dopo pochi mesi).

In definitiva i giudici del riesame dimostrano di aver desunto la pericolosità dell’indagato, ricorrendo ad un evidente paralogismo, dalla stessa consumazione del reato e non in ragione delle particolari modalità con il quale lo stesso era stato eventualmente commesso, come invece necessario alla luce dei principi in precedenza illustrati.

1.3 Infatti, la frode è elemento costitutivo essenziale della fattispecie prevista dall’art. 11 d.lgs. n. 74/2000, per cui la sua ideazione ed esecuzione non può costituire di per sé un elemento da cui concretamente desumere la pericolosità sociale del suo autore, a meno di individuare peculiarità del fatto tale da poter essere considerate come effettivamente sintomatiche della pericolosità di quest’ultimo.

In tal senso gli apprezzamenti compiuti dal Tribunale sull’assenza di “freni inibitori” e sulla “spregiudicatezza” del G. appaiono – come condivisibilmente sostenuto dal ricorrente – totalmente immotivati, perché formalmente fondati sullo stesso fatto che egli abbia commesso il reato e non su particolari ed oggettive connotazioni delle condotta criminosa, il che, come già detto, integra una violazione dell’art. 274 lett. c) c.p.p.

Né tali giudizi possono essere altrimenti apprezzati come implicito riconoscimento della particolare intensità del dolo dell’indagato – in grado eventualmente di essere valorizzato come un segno concreto della sua pericolosità – giacché ancora una volta la motivazione del provvedimento non spiega quale sarebbe nella fattispecie concreta l’elemento indicativo di una siffatta particolare connotazione assunta dall’elemento soggettivo.

2. Anche il ricorso del R. è parzialmente fondato e deve essere accolto nei limiti di seguito illustrati.

2.1 In realtà infondato al limiti dell’inammissibilità è il motivo di ricorso con cui si contesta la motivazione del provvedimento impugnato relativa alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e societaria.

Il Tribunale ha infatti reso sul punto motivazione adeguata e coerente con l’evidenza disponibile. In particolare, con riguardo all’elemento psicologico del reato contestato, i giudici del riesame hanno argomentato, in maniera che non può certo ritenersi manifestamente illogica, dal fatto che l’atto di cessione del ramo di azienda conteneva evidenti e clamorose sopravalutazioni di alcune merci di cui il R. non poteva che essere consapevole, trattandosi di beni che quotidianamente vendeva nella sua farmacia, nonché cespiti della cui inesistenza pure non poteva essere all’oscuro (non si comprende infatti come una farmacia possa possedere 1.000 sedie e soprattutto come il suo titolare possa non essersi accorto all’atto della cessione di tale fantasioso particolare).

Da tali circostanze – e dal fatto che il R. avesse ceduto il ramo d’azienda a persona praticamente sconosciuta, senza nemmeno sincerarsi se si trattasse di soggetto legittimato ai sensi della L. n. 248/2006 – il provvedimento impugnato ha tratto in maniera altrettanto logicamente corretta che l’indagato si sia quanto meno rappresentato la reale natura dell’operazione a cui aveva aderito per salvare la propria azienda dai debiti, rendendosi conto del fatto che l’intero passivo della farmacia (e non solo dell’artificioso ramo d’azienda all’uopo costituito e poi ceduto) veniva accollato ad una società priva di risorse e con un attivo gonfiato e dunque inevitabilmente destinata al fallimento, assumendosi altresì in maniera altrettanto consapevole il rischio che la gestione di quest’ultima avvenisse in maniera fraudolenta.

2.2 Ed invero il ricorrente assume l’illogicità dell’illustrato apparato argomentativo semplicemente lamentando la mancata valutazione di alcuni elementi qualificanti la personalità dell’indagato in grado di per sé di escludere la sussistenza del dolo in capo al R., che secondo la prospettazione difensiva sarebbe soggetto inesperto tanto da avvalersi nell’operazione dell’assistenza di professionisti che lo avrebbero assicurato sulla liceità della medesima.

In proposito va osservato innanzi tutto che le evidenze di cui si eccepisce il travisamento per omessa valutazione sono meramente evocate dal ricorrente e non specificamente indicate come richiesto dall’art. 606 lett. e) c.p.p. (tanto che non ne è certa nemmeno l’effettiva avvenuta acquisizione al patrimonio cognitivo del procedimento), con la conseguenza che sotto questo profilo il motivo di ricorso si rivela irrimediabilmente generico. Non di meno deve rilevarsi che l’eventuale inesperienza del R. non è logicamente sufficiente ad escludere la consapevolezza del significato dell’operazione cui egli ha aderito, atteso che la stessa all’evidenza sgravava in un colpo solo la sua farmacia degli ingenti debiti accumulati verso il pagamento di una somma all’organizzazione cui si era rivolto di una somma di poco superiore al dieci per cento del loro ammontare.

Quanto all’omessa valutazione del fatto che il R. si è querelato per truffa nei confronti dei suoi complici, deve invece evidenziarsi che la doglianza è manifestamente infondata, atteso che il Tribunale ha anzi tratto dalla querela ulteriori argomenti a carico dell’indagato, mentre la circostanza in sé non è all’evidenza in grado di comprovare l’assenza del dolo dei reati in contestazione.

3. E’ invece fondato il secondo motivo del ricorso del R., con cui in sostanza si lamenta la mera apparenza della motivazione resa dal Tribunale in merito alla sussistenza del pericolo di reiterazione del reato.

Sul punto è possibile ribadire pedissequamente quanto osservato con riguardo alla posizione del G., atteso che altrettanto pedissequamente i giudici del riesame hanno in proposito replicato per il R. lo stesso iter argomentativo ed addirittura i medesimi apprezzamenti riservati al coindagato, circostanza che di per sé dimostra l’astrattezza della valutazione compiuta.

Anche in questo caso dunque il giudizio prognostico svolto dal Tribunale sconta la mancata individuazione degli autonomi elementi concreti che dovrebbero sorreggerlo, erroneamente identificati con la stessa consumazione dei reati contestati all’indagato.

4. L’ordinanza deve dunque essere annullata nei limiti sopra individuati, con rinvio al Tribunale di Venezia che procederà a nuovo esame in diversa composizione ed attenendosi ai principi indicati da questa Corte.

 

P.Q.M.

 

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Venezia per nuovo esame.

Redazione