Proposizione ricorso per l’annullamento di una concessione edilizia che discende dalla c.d. vicinitas (Cons. Stato n. 2488/2013)

Redazione 08/05/13
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FATTO

Con separati gravami i ricorrenti chiedono, per quanto di ragione, l’annullamento della sentenza con cui — su ricorso di un proprietario di un altro immobile confinante, è stata annullata l’autorizzazione edilizia del 19.2.2001 (e la relativa convenzione approvata con delibera della Giunta comunale di Pimonte n.11 del 25.1.2001) relativa ai lavori di demolizione e di ricostruzione di un fabbricato danneggiato dal terremoto del 1980, sito in piazza Roma, angolo via Pergola, ed i connessi lavori di sistemazione dell’area di sedime risultante dall’arretramento dell’edificio e degli spazi pubblici circostanti, mediante il livellamento di un’area demaniale ed il suo accorpamento alla Piazza Roma. La sentenza è affidata in particolare:

— alla preliminare declaratoria della tardività del ricorso di primo grado relativamente alla parte dell’impugnazione della delibera G.M. 5/2000, di approvazione del piano di recupero, in relazione al fatto che, per il TAR, si doveva fare applicazione dell’art.5 della L.R. n.35 del 1987, che non prevede “una misura di salvaguardia” (ex Corte Cost. 7 novembre 1994 n.379);

— al rilievo per cui il Comune di Pimonte rientrava nella disciplina del P.U.T. (sub-area 2), per cui lo strumento urbanistico generale comunale avrebbe dovuto essere adeguato a quest’ultimo, dovendosi escludere il carattere di norma eccezionale della L. n.219/1981, la cui disciplina non sarebbe affatto “impermeabile” alla sopravvenuta disciplina regionale.

Entrambi i gravami sono affidati a profili sostanzialmente coincidenti, con cui si deducono errores in iudicando sotto diversi profili; violazione dell’art. 7 della legge n. 1497/1939; omessa valutazione dei contrapposti interessi pubblici e privati; difetto di istruttoria.

In entrambi giudizi si è costituito il contro interessato, che con specifiche difese ha sottolineato l’infondatezza delle argomentazioni dei rispettivi appellanti, insistendo per il rigetto di entrambi i gravami.

Con memoria per la discussione sul suo gravame, l’appellante S. ha replicato analiticamente all’eccezione di controparte ed ha insistito per l’annullamento della decisione gravata.

L’appellante signora M. con atto del 6.12 2000 ha depositato una concessione in sanatoria relativa all’intero edificio rilasciata dal Comune, in esecuzione della sentenza TAR, ai sensi dell’articolo 38 del T.U. n. 380/201.

Chiamate all’udienza pubblica di discussione le cause, previa la loro riunione, sono state ritenute in decisione dal collegio

 

DIRITTO

Ai sensi dell’art. 70 del c.p.a. deve disporsi la riunione degli appelli di cui in epigrafe, essendo evidente la connessione oggettiva e soggettiva di entrambi i gravami.

Preliminarmente si deve annotare come, in relazione alla natura delle questioni dedotte, il rilascio della concessione in sanatoria relativa al fabbricato, stante la pendenza di appello non determina affatto la cessazione della materia del contendere, né l’improcedibilità, perché nella specie non si contesta in radice l’intervento, ma solo la parte concernente un eventuale diritto di transito.

Entrambi gli appelli possono essere esaminati congiuntamente, essendo quasi del tutto coincidenti.

____ 1.§. Con una doglianza comune ad entrambi gli appelli, si lamenta l’erroneità della sentenza che avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilità dell’intero ricorso di primo grado il quale:

— sarebbe stato diretto contro un provvedimento che, in quanto atto dotato di autonoma efficacia lesiva, avrebbe dovuto essere tempestivamente impugnato nel termine decadenziale e di conseguenza sarebbe già stato inoppugnabile (primo motivo del ricorso n. 11110/2004 pag. 18);

— lamenterebbe profili di illegittimità del titolo edilizio che atterrebbero proprio all’astratta assentibilità dell’intervento, che in quanto conforme al citato piano di recupero sarebbero stati a quest’ultimo immediatamente riconducibili (primo motivo del gravame n.211/2005 pag. 7).

L’assunto non convince.

L’interesse del signor ********* non è tanto diretto ad avversare l’intera ricostruzione del fabbricato, e quindi non attiene all’astratta assentibilità in radice dell’intero intervento, ma alle sue modalità concernenti in sostanza il mantenimento dello “status quo ante”, con peculiare riferimento al passaggio che dalla via Pergola Piazza, ed attraverso piazza Roma, gli consentiva l’accesso carrabile alla sua proprietà.

In tale direzione, le regole del Piano di Recupero – approvato il 12.10.1982 e poi modificato con variante del 18.6.1987, non appaiono direttamente ed immediatamente lesive con riguardo al provvedimento impugnato in primo grado.

Pertanto ha ragione il TAR quando sostiene che ben si poteva prescindere dalle regole del P.d.R. vista la distinta portata lesiva degli atti impugnati, censurati per profili di illegittimità prescindenti dal Piano di Recupero e riguardanti, invece, nello specifico, la cessione agli appellanti di spazi pubblici e per contro la cessione al Comune del sedime sulla strada Pergole della superficie conseguente all’arretramento del nuovo fabbricato.

Il motivo va dunque respinto.

_ 2.§. Con la seconda censura del ricorso n. 11110/2004 e con la reiterazione della medesima eccezione a pag. 15 dell’appello, gli appellanti lamentano l’erroneità della reiezione dell’eccezione di rito, con la quale era stata dedotta la carenza di legittimazione attiva dell’appellato *********.

Per il Tar, il ricorrente avrebbe invece adempiuto all’onere di provare la sua legittimazione, depositando il titolo in base al quale sarebbe stato proprietario dell’immobile confinante. Inoltre il Tar, con difetto di istruttoria, avrebbe omesso di accertare la situazione di fatto. Nella realtà non sarebbe mai esistito un diritto carrabile ma “… solo passaggio abusivo esercitato avvalendosi dello stato di abbandono e di parziale demolizione del fabbricato in oggetto attraverso la trasformazione abusiva dei gradoni in rampa carrabile. … il presunto diritto carrabile vantato su suolo pubblico sarebbe stato esercitato abusivamente da quando il fabbricato era stato parzialmente demolito dal comune”. Inoltre il Comune avrebbe accertato che il ********* avrebbe abusivamente realizzato lavori di ampliamento del suo immobile senza richiedere la concessione in sanatoria. L’interesse sarebbe stato indebitamente fondato su una circostanza arbitraria ed illegittima, e quindi inidonea, a costituire una posizione autonomamente tutelabile in sede giurisdizionale.

L’assunto va respinto.

I proprietari di immobili in zone confinanti o limitrofe con quelle interessate da una costruzione sono sempre legittimati ad impugnare i titoli edilizi che possono pregiudicare la loro posizione per l’incisione delle condizioni dell’area e, più in generale, per le modifiche all’assetto edilizio, urbanistico ed ambientale della zona ove sono ricompresi gli immobili di cui hanno la disponibilità, senza che sia necessaria la prova di un danno specifico, essendo insito nella violazione edilizia il danno a tutti i membri di quella collettività (cfr. Consiglio Stato sez. IV n. 284 del 23/01/2012; Consiglio Stato sez. IV 13 gennaio 2010 n. 72).

Infatti, se l’art. 31 comma 9 L. 17 agosto 1942 n. 1150 (come modificato dall’art. 10 L. 6 agosto 1967 n. 765) non ha introdotto un’azione popolare, nondimeno ha riconosciuto una posizione qualificata e differenziata in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di “stabile collegamento” con la zona stessa.

Il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per l’annullamento di una concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell’intervento costruttivo autorizzato esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione, atteso che l’esistenza della suddetta posizione legittimante abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli potrebbero arrecare (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI 15 giugno 2010 n. 3744).

Pertanto, nel caso di specie, la legittimazione deve essere valutata con riferimento alla situazione fattuale in essere.

Infine, nell’ottica dell’ammissibilità del gravame, esulano dalla valutazione di questo giudice ovvero appaiono comunque irrilevanti in questa sede sia le considerazioni circa l’asserita illegittimità del pregresso diritto passaggio (non risultando al riguardo alcun’azione specifica nella competente sede giurisdizionale da parte degli appellanti), sia gli assunti, genericamente insinuati, circa lavori abusivamente realizzati dall’appellato.

Il motivo va, in conclusione, respinto.

_ 3.§. I seguenti motivi, che attengono in realtà ad un unico profilo sostanziale, possono essere esaminati congiuntamente.

_ 3.§.1. Con il terzo motivo dell’appello n. 11110/2004 e con l’ulteriore reitera delle analoghe argomentazioni difensive introdotte in prime cure si lamenta:

— l’erroneità del presupposto per cui l’intero territorio del comune di Pimonte sarebbe stato sottoposto al regime vincolistico di cui alla legge n. 1497/1939, il che avrebbe implicato il conseguente assoggettamento a controllo preventivo, di qualsiasi trasformazione del territorio ai sensi del D.M. 28 marzo 1985. Al Tar sarebbe sfuggita la deroga espressamente prevista nel predetto D. M. secondo cui “.. sarebbero fatti salvi gli interventi di ricostruzione adottati in base alle leggi vigenti per i comuni colpiti di eventi sismici”. A tal proposito il giudice penale napoletano avrebbe affermato che gli interventi di mera ricostruzione di edifici danneggiati dal sisma sarebbero disciplinati unicamente dalla legge n.219/1981 e non dovrebbero seguire l’iter vincolistico della legge n. 431/1995 per cui non sarebbero subordinati all’autorizzazione paesaggistica della Sovrintendenza ai BB.CC.AA. . Si sarebbe, perciò, dovuta considerare inapplicabile la L. n. 431 e la L.R. Campania sul P.U.T., dato che l’intervento de quo ricade in zona A. Inoltre, essendo ricompreso nel piano di recupero, non ricorrerebbe, nel caso il vincolo paesaggistico generico, che si applicherebbe limitatamente nelle zone A e B.

_ 3.§.2. Con il secondo motivo del gravame n. 211/2005, si lamenta come erroneamente il Tar avrebbe affermato che l’art. 5 della L.R. Campania n. 35/1987, nel dettare misure fino all’approvazione dei Piani regolatori circa il rilascio di concessioni edilizie ai sensi della legge n. 10/1977, avrebbe introdotto una salvaguardia ostativa anche al rilascio di autorizzazioni ex legge n. 219/1981, la quale invece sarebbe stata una norma di preminente interesse nazionale ed avrebbe previsto all’art. 56 la sostituzione delle concessioni con un’autorizzazione. Mentre l’articolo 5 del P.U.T. circoscrive la preclusione alle sole concessioni edilizie di cui alla legge n. 10 cit., nel caso il provvedimento impugnato concerneva un’autorizzazione.

In tal senso, la preminenza dei valori ambientali affermata dal Tar avrebbe indotto a conclusioni di dubbia costituzionalità, dato che “la giurisprudenza costituzionale” avrebbe da tempo chiarito che il valore ambiente si declina unicamente nella necessaria ricerca di un contemperamento con gli altri valori di pari rango; e comunque il preteso divieto al rilascio del titolo autorizzatorio per un tempo potenzialmente indefinito, nelle more dell’approvazione del PRG, darebbe luogo ad una tipica espropriazione dei soggetti già colpiti dagli eventi, precludendo ogni possibilità di recupero del loro patrimonio edilizio.

_ 3.§.3. Con il quarto motivo del ricorso n.11110/2004 e con il terzo motivo del gravame n. 211/2005 si lamenta, sulla scorta dell’affermazione del giudice penale napoletano del 1994, l’erroneità dell’affermazione per cui, nel caso, il Comune di Pimonte avrebbe dovuto far luogo al rilascio del nulla osta ambientale, dato che invece gli interventi di ricostruzione godrebbero di una speciale deroga al regime vincolistico riguardante le concessioni ordinarie.

Inoltre nel caso il vincolo sarebbe stato imposto successivamente all’entrata in vigore della legge n. 219/1981: dunque sarebbe precluso dalla prescrizione dell’articolo 56 della legge 219/1981 per la quale, in relazione agli interventi su edifici soggetti ai vincoli di quelle leggi n. 1089/1939 e n. 1497/1939 “resta fermo l’obbligo delle autorizzazioni previste dalle leggi medesime”. Essendo l’intervento previsto nel piano particolareggiato di recupero in “Zona A-Centro Storico” non sarebbe stato applicabile il vincolo generico della legge n. 431.

_ 3.§.4. Tutti i suddetti motivi vanno respinti.

In linea di massima infatti la Sezione condivide totalmente le considerazioni poste a base dal TAR nel caso in esame.

Non vi sono dubbi che, contrariamente a quanto vorrebbe l’appellante, la deroga prevista nel D. M. 28 marzo 1985, secondo cui “.. sarebbero fatti salvi gli interventi di ricostruzione adottati in base alle leggi vigenti per i comuni colpiti di eventi sismici”, deve essere inserita nell’ambito della disciplina ambientale posta a tutela di un’area di eccezionale pregio paesistico e paesaggistico.

Il termine “ricostruzione” va, infatti, inteso letteralmente nel senso che, per poter usufruire della deroga, si doveva assicurare strettamente la assoluta conformità del nuovo edificio a quello precedente per sagoma, volume e superfici.

Il che nel caso pare possa escludersi.

Inoltre alla Sezione non risulta che la “giurisprudenza costituzionale” (del resto nemmeno indicata dagli appellanti) dia la prevalenza all’edificazione rispetto ai valori paesaggistici ed ambientali.

Al contrario, la visione “costituzionalmente orientata” della materia è ancorata all’art. 9 della Cost., che inserisce la “tutela del paesaggio” nelle disposizioni fondamentali, sull’implicito insegnamento di *************** il quale, all’epoca Ministro della Pubblica Istruzione, aveva affermato che “… il paesaggio altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della Patria…” (così la relazione di accompagnamento al primo disegno di legge in materia del 1920).

In tale scia, il Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379; 5 maggio 2006, nn. 182, 183; 22 luglio 2004 n. 259), superando il significato meramente estetico di “bellezza naturale”, ha configurato il paesaggio nella sua unitarietà come il “complesso dei valori inerenti il territorio”, e l’ambiente come bene “primario” ed “assoluto”. La Corte Costituzionale — in conformità ai principi costituzionali e con riguardo all’applicazione della Convenzione europea sul paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000 — ha affermato che l’oggetto della tutela del paesaggio non è il concetto astratto delle “bellezze naturali” ma l’insieme delle terre, acque, vegetazione, beni materiali, cose e le loro composizioni. Pertanto la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, è un valore che precede la tutela — e che comunque costituisce un limite per gli altri interessi pubblici e privati — in materia edilizia, di governo del territorio, e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali (cfr. sentenza cost. n. 182 cit.).

In tale prospettiva la disciplina legislativa in materia di ricostruzione post – terremoto non può essere affatto derogatoria della disciplina ambientale, per cui l’opera di ricostruzione del patrimonio edilizio danneggiato dal sisma non può avvenire con sacrificio del valore ambientale.

Dunque, contrariamente a quanto vorrebbero gli appellanti, deve affermarsi l’applicabilità nella specie dell’art. 5 L.R. Campania 27 giugno 1987 n. 35, emanata ai sensi dell’art. 1 bis della l. 8 agosto 1985 n. 431, recante “Piano Territoriale Coordinamento”, statuizioneche prevedeva le norme di salvaguardia destinate ad operare dalla data di entrata in vigore del P.U.T. e sino all’approvazione dei **********************************”, e nelle more prescriveva che “per tutti i Comuni dell’area è vietato il rilascio di concessioni ai sensi della Legge 28 gennaio 1977, n. 10”.

Né per contro può avere rilievo la regola di cui l’art. 56 della Legge 14 maggio 1981, n. 219 dove si prevede che “Per tutti gli interventi di riparazione e di ristrutturazione edilizia degli edifici e delle abitazioni comunque colpiti dall’evento sismico, la concessione prevista dall’art. 9, lettere a ) e b ), della legge 28 gennaio 1977, n. 10, è sostituita da una autorizzazione del sindaco ad eseguire i relativi lavori.

Nel caso particolare, infatti, il riferimento va fatto al contenuto sostanziale delle opere previste dal cit. art. 9 lett. b) e che concernevano esclusivamente “interventi di restauro, di risanamento conservativo e di ristrutturazione che non comportino aumento delle superfici utili di calpestio e mutamento della destinazione d’uso…” e non tante al generico riferimento letterale al termine “concessione”. In sostanza si trattava di tutte ipotesi di carattere conservativo e ripristinatorio, che necessitavano dei “provvedimenti abilitativi di cui alla L. n.10 cit.”.

Pertanto la qualificazione del provvedimento come “autorizzazione” di cui all’art. 56 della L. 219/1981 era del tutto irrilevante ai fini della pretesa esclusione della disciplina ambientale.

Infatti il cit. art. 5 della legeg camapana sul piano paesistico regionale, fa indifferentemente espresso riferimento a “…le concessioni e le autorizzazioni”:

— e d’altrone, nel caso degli adeguamenti strutturali e funzionali di edifici comunque collegati al settore turistico, aziendale e agricolo e, anche in tali circostanze derogatorie, specifica che ” …Per detti interventi il rilascio dei provvedimenti concessori o autorizzatori è effettuato nel rispetto del procedimento fissato dalla Legge 28 gennaio 1977, n. 10 e successive modifiche previa la necessaria verifica di conformità alle prescrizioni del Piano Urbanistico Territoriale e alle norme giuridiche vigenti nel territorio comunale, attestata dal Sindaco”;

— ovvero quando cita gli “… interventi subordinati ad autorizzazione, o quelli per i quali non sono necessari né la concessione né l’autorizzazione …”, in deroga alle misure di salvaguardia, prescrive che gli stessi “…devono essere conformi alla normativa urbanistica all’ atto vigente e alle prescrizioni del piano urbanistico territoriale…” .

Inoltre, in base agli ordinari criteri interpretativi in materia di successione delle leggi nel tempo, si deve concludere che la legge regionale del 1987 essendo intervenuta a vari anni dalla disciplina emergenziale, doveva essere considerata prevalente.

Infine appare comunque risolvente proprio il riferimento al medesimo art. 56 il quale dispone che, in ogni caso, “Per gli interventi su edifici soggetti ai vincoli di cui alle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497, resta fermo l’obbligo delle autorizzazioni previste dalle leggi medesime.”

In conseguenza si deve concordare con il Primo Giudice nel senso che, essendo l’intero territorio del Comune di Pimonte originariamente vincolato daalla (oggi abrogata) legge n.1497/1939 e poi dalle successive normative sopra ricordate, qualsiasi intervento di trasformazione del territorio era suscettibile di arrecare pregiudizio ai beni dichiarati bellezze naturali e di conseguenza, avrebbe dovuto essere preceduto dall’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, subdelegata al medesimo Comune con le LL.RR. 10 settembre 1981 n.65 e 23 febbraio 1982 n.10.

Al riguardo, del tutto irrilevante risulta l’asserita inapplicabilità dei vincoli per categorie di cui all’art. 1 della L. n.431/1985 e risulta irrilevante il fatto che l’immobile fosse ubicato nella zona A, sussistendo uno specifico vincolo paesaggistico derivante dal P.U.T. (sub-area 2) ed in relazione allo specifico regime di cui all’art. 5 della cit. L.R. n. 35/1985 e s.m.i. .

In definitiva, la deroga ex art. 56 si poteva configurare solo in caso si fosse proceduto alla ricostruzione del tutto identica dell’edificio demolito a seguito del sisma, in quanto il Comune di Pimonte rientrava nell’area di competenza e lo strumento urbanistico generale comunale non era stato ancora adeguato.

Trattandosi di una ricostruzione che modificava gli originari assetti del preesistente edificio il rilascio dell’autorizzazione risultava sul piano sostanziale in contrasto con il divieto di rilascio di nuovi permessi edilizi fino all’adeguamento del P.R.G. al P.U.T., stabilito dall’art.5 della L.R. Campania 27 giugno 1987 n.35.

Tutti i motivi sono dunque infondati e vanno respinti.

_ 4.§. In definitiva entrambi gli appelli sono infondati e devono essere respinti.

Le spese tuttavia, in relazione alla particolarità delle questioni, possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

_ 1. dispone, ai sensi dell’art. 70 del c.p.a. la riunione dei gravami come in epigrafe proposti;

_ 2. respinge i ricorsi n. 11210 del 2004 e n. 211 del 2005;

_ 3. spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013

Redazione