Processo amministrativo – Questione di giurisdizione – Principio del giudicato interno implicito – Principio “tempus regit actum” (Cons. Stato n. 1415/2012)

Redazione 13/03/12
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Svolgimento del processo

 

Con ricorso al TAR Campania notificato il 18 novembre 2001, il Fallimento della G.M.N. s.r.l. aveva chiesto l’accertamento del diritto alla liquidazione della somma di L. 28.865.686.000,00, o della maggiore o minor somma risultante in corso di causa, dovuta dalla Asl Napoli 1 per prestazioni effettuate, nel periodo 1997/1999, presso la struttura convenzionata “Villa dei Gerani”, condotta in locazione dalla G.M.N. s.r.l.., risultanti da fatture emesse e da un decreto ingiuntivo del Presidente del Tribunale di Napoli datato16 giugno 1999.

 

Con la sentenza impugnata, il TAR campano rigettava la domanda ritenendola non sorretta da “alcun elemento (fatto costitutivo) oltre la mera allegazione della sussistenza di un non meglio specificato (quanto a branche di accreditamento, numero dei posti…) rapporto tra “Villa dei Gerani” e il servizio sanitario nazionale, e di documentazione contabile di parte versata in atti”.

 

La sentenza ha dato atto che l’azienda ha depositato quietanze per un importo di L. 20.109.297.000 per prestazioni effettuate nel periodo considerato; mentre per quanto riguarda il residuo debito, prende atto della documentazione di contestazione della pretesa da parte dell’Asl.

 

Con l’appello in esame, il Fallimento di G.M.N. s.r.l. contesta le conclusioni cui è giunto il primo giudice, affermando che il rapporto convenzionale non è controverso tra le parti e che la Asl Napoli 1 avrebbe ammesso di essere ancora debitrice di L. 1.503.074.000, oggi Euro 776.273,00, quale saldo delle prestazioni di cui alle fatture nn. 49/1997, 1/1998, 59/1998 e 64/1998 (cfr. nota n. 1203/1999, depositata in giudizio); inoltre, dal decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Napoli il 16 giugno1999 risulta l’ulteriore debito di L. 47.879.300 (pari ad Euro 24.727,49). Sarebbero, ancora, dovuti la rivalutazione monetaria e gli interessi sulle somme predette, dalla data delle singole fatture sino al soddisfo.

 

In considerazione di tali elementi probatori, sostiene l’appellante che il ricorso andava accolto, quantomeno nei limiti della minore somma non contestata e, anzi, riconosciuta dall’Azienda sanitaria negli atti acquisiti al giudizio.

 

L’appellante chiede, inoltre, la riforma della sentenza appellata anche per quanto concerne il capo relativo alle spese.

 

Si è costituita l’Azienda, eccependo l’inammissibilità e infondatezza dell’impugnazione.

 

L’appellante, con memoria depositata il 9.12.2011, preliminarmente, ribadisce che non può farsi alcuna questione concernente la giurisdizione, in difetto di specifico motivo di appello sul punto, e insiste per l’accoglimento del ricorso nei limiti della somma risultante dalla documentazione versata in atti dall’Amministrazione, con vittoria di spese.

 

All’udienza del 20 gennaio 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.

 

 

Motivi della decisione

 

– L’appello merita accoglimento.

 

– Preliminarmente, con riguardo ai profili attinenti alla giurisdizione, si osserva che a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 9 del cod. proc.amm. è venuta meno la rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione in grado di appello, addossandosi l’onere alla parte interessata di sollevare la questione con apposito motivo di appello e sancendo, quindi, l’irrilevanza della semplice eccezione formulata in memoria.

 

Il che significa che anche nel processo amministrativo è stato introdotto, e in via legale, il principio del c.d. giudicato interno implicito sulla questione di giurisdizione trattata, seppur tacitamente, dal giudice di primo grado. In difetto di uno “specifico motivo” di appello, si intende che la parte che aveva interesse a sollevare la carenza di giurisdizione vi ha fatto acquiescenza.

 

Alcune pronunce di questo Consiglio (Sez. III, 22.11.2011, n. 6147; sez. VI, 15 dicembre 2010, n. 8925) hanno, invero, precisato che la previsione contenuta nell’art. 9 del Codice ha un duplice contenuto precettivo: per un verso, esclude che il giudice d’impugnazione possa rilevare il difetto di giurisdizione se nessuna parte l’abbia eccepito; per altro verso, pone in capo alle parti l’onere di far valere il difetto di giurisdizione mediante la proposizione di uno specifico motivo di gravame.

 

Il primo di tali precetti opera sui processi in corso, immediatamente, secondo la regola propria delle norme processuali; il secondo precetto, involgendo attività processuale delle parti, soggiace alla regola “tempus regit actum”. Da ciò consegue, secondo le richiamate pronunce, che “deve escludersi che il giudice possa dichiarare inammissibile un’eccezione che, rispetto alla normativa in vigore al momento della sua proposizione, risulta senz’altro ritualmente proposta, risultando pacifico, anche alla luce della decisione dell’Adunanza Plenaria 30 agosto 2005 n. 4, che – prima dell’entrata in vigore del Codice – l’eccezione di difetto di giurisdizione poteva essere riproposta in appello anche con semplice memoria”. In altri termini, per gli appelli in corso alla data di entrata in vigore del codice, la regola dell’art. 9 cod. proc. amm. non esclude, in applicazione del principio “tempus regit actum”, che il motivo concernente il difetto di giurisdizione, già sollevato in primo grado, possa introdursi con memoria successiva alla proposizione dell’appello, senza che possa farsi questione di “giudicato interno”.

 

Tuttavia, nel caso di specie, l’Azienda non aveva sollevato l’eccezione di difetto di giurisdizione nella costituzione in primo grado: in questo caso, lo stesso principio tempus regit actum impedisce al giudice d’appello, anche con riferimento agli appelli proposti anteriormente al 16 settembre 2010, di rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione.

 

– Nel merito, le censure mosse alla sentenza di primo grado con riguardo alle affermazioni in essa contenute circa il mancato assolvimento all’onere della prova, appaiono fondate.

 

Sia dagli atti di causa che dalle difese dell’Amministrazione si può trarre il convincimento dell’esistenza di un rapporto convenzionale tra la Asl Napoli 1 e “Villa dei Gerani”, e della effettuazione di prestazioni in favore del servizio sanitario nel periodo considerato.

 

Risulta, altresì, l’ammissione di un debito residuo pari a L. 1.503.074.000, oggi Euro 776.273,00, quale saldo delle prestazioni di cui alle fatture non evase nn. 49/V dell’1.12.1997, 1/V del 20.1.1998, 59/V del 4.11.1998 e 64/V del 2.12.1998 ( cfr. nota n. 1203/1999).

 

Inoltre, dal decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Napoli il 16 giugno 1999, non opposto, risulta l’ulteriore debito di L. 47.879.300 (pari ad Euro 24.727,49), a titolo di saldo della differenza tra la fattura n. 38/V del 5.9.1997 e quanto corrisposto in data 19.11.1997, nonché per le spese di giudizio del procedimento ingiuntivo stesso, oltre iva e cpa da calcolarsi sull’importo di Euro 2.528,06, (già L. 4.895.000).

 

Sulle somme sopra indicate sono dovuti la rivalutazione monetaria e gli interessi per ritardo nel pagamento, dalla data delle singole fatture sino al soddisfo.

 

Conseguentemente, va condannata l’Azienda al pagamento di quanto ancora dovuto, negli importi come sopra specificati.

 

– Le spese di entrambi i gradi di giudizio possono compensarsi tra le parti, considerato che, come ammette la stessa appellante, non è risultato agevole per entrambe le parti in causa il riscontro contabile del debito esistente.

 

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto condanna l’Azienda intimata al pagamento in favore dell’appellante delle somme indicate in motivazione, oltre interessi e rivalutazione monetaria, dalla data delle singole fatture sino al soddisfo effettivo.

 

Spese compensate.

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione