Posti auto condominiali e riserva di proprietà da parte del costruttore (Cass. n. 17036/2012)

Redazione 05/10/12
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- T.L. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo P.G., ******, G. M., ******, B.G., R. R., S.G., M.A. e *******
Esponeva di aver loro venduto, in un periodo compreso tra il 1981 ed il 1983, n. 6 appartamenti facenti parte dell’immobile, sito in via (omissis) (già via (omissis)), riservandosi però, all’atto delle suddette alienazioni, la proprietà sulle aree e sulle superfici adiacenti il fabbricato, gli spazi liberi circostanti il fabbricato stesso, nonchè sulla superficie destinata a parcheggio.
Pertanto, chiedeva l’accertamento del suo diritto di proprietà esclusiva sulle aree e superfici adiacenti e circostanti il fabbricato (ritenuti invece dai convenuti beni condominiali), e la condanna dei condomini al loro rilascio e al pagamento di una somma a titolo di indennità per l’illegittima occupazione o ex art. 2041 c.c., nonchè al pagamento di un corrispettivo per il diritto reale d’uso sulle aree di parcheggio.
I convenuti, costituitisi, eccepivano l’infondatezza delle domande, proponendone a loro volta, altre in via riconvenzionale.
Il Tribunale, con sentenza del 9.2 – 21.9.2000, dichiarava il T. proprietario delle aree e delle superfici adiacenti e circostanti il fabbricato di via (omissis), con esclusione del corridoio/passaggio veicolare e pedonale collegante la pubblica via con l’ingresso dell’edificio, da ritenersi condominiale, e condannava conseguentemente i convenuti al rilascio delle aree e delle superfici in esame.
Dichiarava quindi mille – relativamente alla parte in cui agli acquirenti non era stato riconosciuto il diritto reale d’uso sulle aree di parcheggio di pertinenza dell’edificio – le clausole di riserva della proprietà sulle medesime aree a favore dell’alienante contenute nei contratti relativi all’alienazione degli appartamenti ai suddetti convenuti che condannava al pagamento a favore del T. del controvalore di detto diritto reale d’uso.
Rigettava la domanda volta ad ottenere un’indennità per l’illegittima occupazione di tali spazi formulata dall’attore.
Con sentenza dep. il 25 maggio 2005 la Corte di appello di Palermo rigettava l’impugnazione proposta dai convenuti nonchè quella incidentale proposta dall’attore.
I Giudici, nell’escludere la condominialità degli spazi liberi adiacenti al fabbricato, ne accertava la proprietà esclusiva a favore del venditore, tenuto conto delle clausole di riserva della proprietà contenute negli atti di vendita, mentre la esistenza di impianti condominiali ivi ubicati stava a significare che il costruttore aveva inteso costituire delle servitù per destinazione del padre di famiglia. La domanda di danno e di indebito arricchimento proposta dall’attore in considerazione dell’utilizzazione compiuta dai convenuti era respinta sul rilievo che l’attore non aveva provato il pregiudizio risentito e che non ricorrevano i presupposti voluti dall’art. 2041 c.c..
L’integrazione del prezzo dovuto dai convenuti a seguito del riconoscimento del diritto reale di uso era determinata in una somma una tantum, risultante dalla capitalizzazione all’attualità del valore nel tempo del diritto.
2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione T. L. sulla base di un unico articolato motivo.
Resistono con controricorso P.G., Ma.Gi., G.M., R.R. e L.V.G., proponendo ricorso incidentale affidato a sei motivi.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, ex art. 335 c.p.c., perchè sono stati proposti avverso la stessa sentenza.
Va esaminato innanzitutto il ricorso incidentale che ha priorità logico – giuridica rispetto a quello principale.

RICORSO INCIDENTALE. 1.1. – Il primo motivo, lamentando violazione dell’art. 111 Cost., n. 6, art. 112 c.p.c., art. 1362 commi 1 e 2, artt. 1363 e 1364, in relazione all’art. 1366, 1367, 1368 e 1371, 817 e 1117 c.c., censura la decisione gravata laddove la sentenza, dopo avere ritenuto la natura condominiale del corridoio/passaggio veicolare e pedonale collegante la pubblica via con l’ingresso dell’edificio con statuizione passata in cosa giudicata, aveva invece negato tale natura alle aree circostanti libere quando invece, alle stregua della volontà negoziale consacrata nei titoli di acquisto, le parti, in base allo stesso principio di buona fede, non potevano escludere la parte antistante lo stabile atteso che, finendo il tunnel di accesso carrabile – pedonale “i condomini dovevano andare avanti necessariamente e svolta re per accedere necessariamente al portone che si colloca nella c.d. area genericamente e non specificamente riservata la condominialità necessaria è nel titolo stesso di vendita e non è escluso da una volontà diversa altrimenti ci troveranno nella circostanza che sarebbe impossibile accedere allo spazio davanti al tunnel, che è lo stesso spazio che consente di accedere allo spazio riservato per posteggio auto; il dato obiettivo è dato, come dice il ctu, dallo spazio riservato a parcheggio e dallo spazio condominiale, che è dato proprio dallo stesso spazio che non divide ma unisce il fronte del fabbricato con il suo ingresso ai vari piani e la parte destinata a parcheggio e vi è da dire che i due spazi hanno una interdipendenza necessaria che non si è esaminata”, e ciò a stregua di quanto emerso sullo stato dei luoghi in modo chiaro dalla ctu e dalla ctp circa le caratteristiche e le dimensioni delle relative aree. Pertanto, la riserva di proprietà sarebbe stata illegittima, perchè contraria a norme imperative, e impossibile o abnorme, perchè si riferisce ad aree che non esistono.
1.2.- Il secondo motivo, lamentando violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 1117 c.c., deduce che la natura condominiale dell’area in questione avrebbe potuto comunque portare al rigetto della domanda di indennità per occupazione che comunque il tribunale aveva respinto così come correttamente aveva respinto la domanda proposta ex art. 2041 c.c..
1.3 – Il terzo motivo, lamentando violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 1117, 1175, 1362, 1363, 1368, 1370, 1371, 1326 e, 1346, 817, 818 e 819 c.c., deduce che, a stregua della volontà delle parti, venne trasferito l’intero cortile nel quale è compresa l’area parcheggio e che nessuna integrazione del prezzo poteva essere corrisposta; la clausola di riserva era nulla e sostituita ex lege per volontà delle parti.
1.4. Il quarto motivo deduce che la sentenza era monca perchè avrebbe dovuto ritenere che i condomini dopo il tunnel avevano diritto almeno per servitù pertinenziale o per destinazione all’accesso, con mezzi e a piedi allo stabile, perchè altrimenti la decisione sarebbe inutiliter data comunque dovrebbe procedersi alla sua correzione precisando o la condominialità o l’asservimento per raggiungere l’ingresso e l’area parcheggio.
1.5.- Il quinto motivo deduce che correttamente la sentenza impugnata aveva escluso che fosse dovuta una indennità periodica relativamente all’esercizio del diritto reale di uso riconosciuto.
1.6.- Il sesto motivo deduce che restava valida la contestazione in ordine alle spese, tenuto delle considerazioni sopra svolte sulla condominialità dell’area o sulla nullità o inesistenza della riserva.
2.- Il primo, il terzo e il quarto motivo – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati. I Giudici, nell’interpretare le clausole contrattuali inserite nei contratti di vendita, hanno ritenuto che la presunzione di comunione delle parti comuni era stata vinta dalle previsioni negoziali, con le quali a favore del venditore e originario costruttore dell’edificio era stata riservata la proprietà degli spazi adiacenti liberi e l’area di parcheggio. I ricorrenti censurano siffatta interpretazione e, nel dedurre la nullità o addirittura l’abnormità delle clausole ove alle stesse dovesse darsi il significato attribuitole dalla sentenza impugnata, sostengono che la volontà negoziale doveva essere interpretata nel senso che le parti avrebbero inteso considerare necessariamente condominiali o asservite tali aree, posto che le stesse erano indispensabili sia per raggiungere l’ingresso del fabbricato sia per accedere all’area parcheggio.
Orbene, se da un canto del tutto irrilevanti nella risoluzione della questione in esame devono ritenersi le considerazioni formulate dai Giudici a proposito della natura del corridoio/passaggio veicolare e pedonale collegante la pubblica via con l’ingresso dell’edificio, va considerato che l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente indicata in modo da dimostrare – in relazione al contenuto del testo contrattuale – l’erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione è giunta la decisione, che altrimenti sarebbe stata con certezza diversa la decisione: tali oneri non sono stati ottemperati dai ricorrenti. Ed invero, non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente – come appunto nella specie – nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati: occorre ricordare che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra. (Cass. 7500/2007; 24539/2009).
D’altra parte, in merito alle ragioni dedotte a sostegno della denunciata invalidità delle clausole, va osservato che in caso di costituzione del condominio a seguito del frazionamento della proprietà di un edificio, determinato dall’alienazione da parte dell’originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina la comunione “pro indiviso” di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, sempre che il contrario non risulti dal titolo: il che sta a significare che è possibile la volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri.
L’obiettiva attitudine dei beni a soddisfare esigenze collettive non esclude che gli stessi siano oggetto di proprietà esclusiva di un condomino, posto che in tal caso l’asservimento necessario esistente al momento della costituzione del condominio configurerà eventualmente ù ove ne ricorrano i presupposti voluti dall’art. 1062 c.c. – una servitù costituita per destinazione del padre di famiglia.
D’altra parte, i Giudici, respingendo le eccezioni formulate dai convenuti e decidendo nell’ambito della domanda attorea, hanno ritenuto che l’attore era proprietario delle aree in questione e nessun altro provvedimento avrebbero dovuto emettere in mancanza di una domanda riconvenzionale di declaratoria di diritti su tali aree a favore dei convenuti, che dall’esame della sentenza impugnata non risulta proposta: i predetti avrebbero dovuto allegare di avere al riguardo proposto tempestivamente e ritualmente siffatta domanda nel giudizio di merito e denunciarne l’omesso esame da parte dei Giudici ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e art. 112 c.p.c..
3.- Il secondo e il quinto motivo sono inammissibili, in quanto non formulano censure avverso la sentenza impugnata ma si limitano piuttosto a contrastare il ricorso avverso.
4.- Anche il sesto motivo è inammissibile.
La doglianza formula una generica contestazione della condanna delle spese processuali, senza dedurre violazioni di legge o vizi di motivazione, facendo riferimento alle considerazioni formulate per sostenere la fondatezza delle tesi che avrebbero dovuto portare alla riforma della decisione impugnata ma che, come si è visto, si sono rivelate infondate.
Il ricorso incidentale va rigettato.
RICORSO T..
1.1. – L’unico motivo, lamentando nullità della sentenza e del procedimento, violazione e falsa applicazione di norma di diritto nonchè omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 112 c.p.c., artt. 1374, 1419, 1474 e 2041 c.c., censura la decisione gravata che non aveva in alcun modo motivato il suo convincimento circa il rigetto della domanda di risarcimento del danno, quando il danno subito dal proprietario è in re ipsa per la semplice perdita della disponibilità del bene e della impossibilità di conseguire l’utilità potenzialmente ricavabile; parimenti immotivato era il rigetto della domanda proposta ai sensi dell’art. 2041 c.c.,sussistendone i presupposti tenuto conto del’ingiusto danno subito dal ricorrente per il mancato utilizzo degli spazi liberi goduti dai condomini. Erroneamente era stato disposto il versamento di una somma una tantum, relativamente all’integrazione del prezzo dovuto per il riconoscimento del diritto di uso, che avrebbe dovuto commisurarsi a tutta la durata dell’esercizio del relativo diritto.
1.2. – Il motivo è infondato.
a) Per quel che riguarda l’area di parcheggio, la destinazione prevista nella licenza edilizia secondo i parametri legislativi e la effettiva realizzazione dell’area determina il sorgere di un vincolo pubblicistico L. 17 agosto 1942, n. 1150, ex art. 41 sexies, introdotto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18, che stabilisce la riserva nelle nuove costruzioni di appositi spazi per parcheggi, con la conseguente nullità parziale ope legis delle clausole contrattuali, che non abbiano riconosciuto il diritto reale di uso dell’area predisposta per il parcheggio.
Orbene, l’attore (originario costruttore e venditore) non potrebbe invocare la colpevole lesione del diritto di proprietà e, di conseguenza, il risarcimento del danno ingiusto, che sarebbe derivato dalla mancata utilizzazione delle aree sulle quali si era riservata la proprietà. Ed invero, in virtù del vincolo gravante su tali spazi, era stato il venditore che, violando l’obbligo di destinare l’area de qua all’utilizzazione da parte degli acquirenti, il soggetto che era venuto meno agli obblighi di legge e contrattuali, così impedendo agli acquirenti di esercitare il diritto loro spettante per legge.
b) Per quel che concerne gli spazi adiacenti il fabbricato, la verifica della esistenza del danno non poteva non tenere conto della natura di tale aree ovvero della peculiare destinazione derivante dalle loro ubicazione e caratteristiche, trattandosi evidentemente di pertinenze o accessori dell’edificio: pertanto, correttamente la Corte, facendo riferimento alla natura di tali beni, ha ritenuto necessario che l’attore offrisse la prova in concreto del danno patito ovvero dimostrasse l’effettiva utilizzazione che avrebbe potuto effettuare nonostante la destinazione di tali aree.
c) Non può neppure configurarsi un ingiustificato arricchimento degli acquirenti e tanto meno un impoverimento causalmente determinato dal primo, a stregua delle considerazioni sopra formulate sub a) e sub b);
d) La somma con la quale era stata determinata l’integrazione del prezzo era la risultante della capitalizzazione del diritto reale di uso per la durata relativa al suo esercizio.
Anche il ricorso principale va rigettato.
Tenuto conto della soccombenza reciproca,sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese della presente fase.

 

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 luglio 2012.

Redazione