Non può sottrarsi alla tutela reale la società che simula con artifizi di occupare un numero di dipendenti inferiore a 15 (Cass. n. 22396/2012)

Redazione 10/12/12
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Svolgimento del processo

Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, con sentenza del 23 aprile 2008, dichiarava illegittimo per violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, il licenziamento disciplinare irrogato in data 20 luglio 2001 a M.T. dalla Autoservizi Eredi **************** s.r.l. condannando la società convenuta alla reintegra del dipendente nel posto di lavoro ed al pagamento di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto percepita dal ricorrente – pari ad Euro 1.344,97 – dal licenziamento alla effettiva reintegra, oltre accessori come per legge e detratto l “aliunde perceptum” determinato in Euro 2.000,00, nonchè al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali e, in parziale accoglimento della spiegata riconvenzionale, condannava il M. al pagamento in favore della convenuta società della complessiva somma di Euro 856,99 oltre accessori come per legge.

Tale decisione veniva impugnata dalla Autoservizi Eredi **************** s.r.l. innanzi alla Corte di Appello di Napoli che, con sentenza pubblicata il 2 marzo 2010, in parziale accoglimento del gravame, limitava il risarcimento del danno dovuto al M. detraendo un ulteriore “aliunde perceptum” e confermava nel resto l’impugnata sentenza.

In particolare, per quello che in questa sede ancora interessa, la Corte riteneva provato il requisito dimensionale richiesto per l’applicazione della tutela reale in quanto dalla istruttoria espletata era emerso che la società datrice di lavoro occupava normalmente più di quindici dipendenti, dovendosi tra questi computare, oltre ai dipendenti risultanti dal libro matricola della stessa, anche altri due lavoratori i quali, sebbene iscritti nel libro matricola della ditta individuale C.R., avevano, in realtà, prestato la propria attività lavorativa per la Autoservizi Eredi ****************, come dimostrato anche dalla ritenuta commistione tra la gestione della s.r.l. e quella della menzionata ditta individuale.

Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso la Autoservizi Eredi **************** s.r.l. affidato a otto motivi. Il M. è rimasto intimato.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., e, in particolare, per omessa pronuncia su motivo di gravame con il quale l’appellante aveva censurato la decisione di primo grado per aver preso in considerazione, al fine di valutare la sussistenza del requisito dimensionale L. n. 300 del 1970, ex art. 18, un “periodo di osservazione” di sei mesi prima della data del recesso, anzichè il minor periodo di tre mesi dalla medesima data (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Viene formulato quesito di diritto.

Con il secondo motivo si denuncia falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 18 e 35, in relazione al periodo temporale di riferimento per il computo dell’organico ai fini dell’applicabilità della “tutela reale” del posto di lavoro (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) nonchè omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Si assume che il c.d. “periodo di osservazione”, non previsto da alcuna delle disposizioni di legge menzionate nell’epigrafe del motivo ma di elaborazione giurisprudenziale, non doveva essere obbligatoriamente di sei mesi ma, con riferimento ad imprese non soggette a particolari oscillazioni occupazionali tra cui rientrava la ricorrente, anche più breve, non superiore a tre mesi. Inoltre, nella impugnata sentenza era stata del tutto omessa la motivazione circa a richiesta applicabilità, al caso in esame, di un “periodo di osservazione” trimestrale.

Viene formulato quesito di diritto.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce la falsa applicazione, sotto altro profilo, della L. n. 300 del 1970, artt. 18 e 35 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) ed omesso esame di fatti controversi decisivi per il giudizio.

Si evidenzia che il giudice di appello aveva, comunque, fatto erronea applicazione anche del criterio che individuava il “periodo di osservazione” nel semestre. Ed infatti, dalle risultanze istruttorie, in particolare dal libro matricola, emergeva che nel semestre anteriore al licenziamento la società ricorrente non aveva occupato un numero di dipendenti superiore a 15 unità e che, in tale calcolo, non si doveva tener conto di quelli transitati in azienda per brevi periodi.

Con il quarto motivo viene dedotta la violazione o, comunque, falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 18 e 35 e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 8 (art. 360, comma 1, n. 3) nonchè omessa, insufficiente ed illogica motivazione circa fatti decisivi per ii giudizio (art. 360, comma 1, n. 5) in quanto nel computo dei lavoratori occupati la Corte di merito aveva tenuto conto anche della dipendente M., assunta con contratto tempo determinato della durata di soli tre mesi (dai 23.4.2001 al 23.7.2001), non motivando affatto sulla eccepita non computabilità dei lavoratori a tempo determinato il cui contratto non era superiore a nove mesi ai fini dell’applicabilità della c.d. tutela reale.

Con il quinto motivo si denuncia motivazione illogica circa un fatto controverso decisivo ai fini del giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in particolare si evidenzia che il giudice di secondo grado aveva inserito nel numero degli occupati alla data del licenziamento – individuato in 14 (tredici autisti e l’impiegata M.) – anche l’autista S.F., licenziato pochi giorni prima del M. giungendo, poi, alla evidente errata conclusione che la pianta organica della società constava in media di un numero di 15 autisti ed un impiegato.

Con il sesto motivo viene denunciato l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). La Corte avrebbe, infatti, individuato come altro dipendente della società (il sedicesimo) D.G. – non riportato nel libro matricola – solo sulla base delle testimonianze raccolte (neppure indicate specificamente in sentenza), in particolare di quelle di S.F. e di T.G., dalle quali, invece, non poteva ritenersi provata detta circostanza se valutate nella loro interezza.

Con il settimo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 99, 112 c.p.c., art. 414 c.p.c., n. 4 e art. 420 c.p.c..

Si assume che tanto il giudice di primo grado che la Corte di Appello avevano confermato la ricorrenza del requisito dimensionale richiesto per l’applicazione delle “tutela reale” anche sotto il profilo, mai dedotto dai ricorrente, della sussistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro costituito dalla Autoservizi Eredi Ferrazza s.r.l. e la ditta individuale C.R.. Ed infatti, nulla era stato allegato circa l’esistenza di un collegamento economico – funzionale tra le due predette aziende nell’atto introduttivo del giudizio e neppure era stata proposta una domanda di accertamento in tal senso. Con la conseguenza che la mancanza di siffatta domanda o la novità della stessa avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio dalla Corte di Appello. Si formula quesito di diritto.

Infine, con l’ottavo motivo viene denunciata la falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 18 e 35, nonchè dell’art. 2359 c.c. e degli artt. 2727 e 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e motivazione insufficiente circa un fatto controverso decisivo per il giudizio.

Si deduce che l’impugnata sentenza aveva confermato la decisione del Tribunale laddove era stata ritenuta la sussistenza di un collegamento economico – funzionale tra la società Autoservizi ************** e la ditta individuale C.R. senza tenere conto delle censure mosse nell’appello alla sentenza di primo grado e solo sulla scorta della esistenza di un contratto di locazione tra la società e la ditta individuale e di una nota dell’11.2.2001. Si formula quesito di diritto.

Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente perchè logicamente connessi, sono infondati.

Nella impugnata sentenza viene applicato il criterio della normale occupazione senza precisare espressamente se con riferimento al trimestre (come richiesto dall’appellante) o al semestre antecedente il licenziamento (come pure affermato nella sentenza del tribunale in ossequio ad orientamento di questa Corte: Cass. n. 1465/2011; Cass. n. 12592/1999). Tuttavia non vi è la lamentata omessa pronuncia in quanto il motivo di appello viene specificamente esaminato e rigettato: si dice “la censura non può essere accolta”, con ciò ritenendo implicitamente corretto il criterio semestrale adottato da tribunale.

E’ anche il caso di precisare che questa Corte nell’individuare l’arco temporale antecedente al licenziamento da prendere in considerazione ai fini della delimitazione dell’ambito applicativo del criterio della “normale occupazione” non ha fissato un criterio rigido, evidenziando che lo stesso deve essere congruo per durata, avuto riguardo alla attività e alla natura dell’impresa (tra le varie, cfr. Cass., sez. lav., 5 aprile 2001 n. 5092; Cass.. 12909 del 04/09/2003; n. 2546 del 10/02/2004).

Quanto al terzo e al quinto motivo, connessi tra loro, vanno esaminati congiuntamente e sono infondati.

Dalla motivazione emerge che il numero dei dipendenti risultanti dal libro matricola della società nel periodo immediatamente anteriore al licenziamento non avesse superato i 15 (calcolato anche un autista licenziato una settimana prima del provvedimento espulsivo del M., ed un’impiegata). Tuttavia, nel prosieguo, l’impugnata sentenza considera da sommare ai predetti quindici dipendenti anche altri due lavoratori, D.G. e A.U. che, pur risultando iscritti nel libro matricola della ditta individuale C.R., avevano prestato la propria attività lavorativa per la ************** come era emerso dalla prova testimoniale (quanto al D., si evidenziava anche che era stato iscritto nel libro matricola della Eredi Ferrazza fino dal 31 gennaio 2001).

Con riferimento al quarto motivo va rilevato che esso risultata assorbito dal rigetto del terzo e del quinto in quanto, anche a voler ritenere che la M. non potesse essere computata tra i dipendenti della società essendo il suo contratto a tempo determinato di durata inferiore ai nove mesi, il limite dei quindici dipendenti sarebbe stato, comunque, superato. Peraltro, la Corte ha precisato che nel computo dei dipendenti “normalmente” occupati presso la società Eredi ******** si doveva inserire anche la lavoratrice M., benchè assunta con contratto termine della durata di tre mesi, perchè le mansioni di impiegata da lei svolte non potevano ritenersi legate ad esigenze momentanee e contingenti.

Passando ai sesto motivo se ne deve rilevare la inammissibilità in quanto sollecita una rivalutazione del materiale probatorio non consentita in questa sede (sulla scorta della rilevata inattendibilità del teste T. e della genericità della deposizione del teste S.). La censura, in realtà, integra una difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, laddove spetta solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. 29 settembre 2009 n. 20844; 6 marzo 2008 n. 6064; S.U. 11 giugno 1998 n. 18885).

La Corte ha, infatti, con motivazione esaustiva e priva di contraddizioni, valutato tutte le risultanze istruttorie in base alle quali ritenere che il D. avesse continuato a lavorare anche successivamente al 31 gennaio 2001 per la **************.

Il settimo motivo è infondato.

Nell’atto introduttivo del giudizio (riportato in ricorso), al punto 7) era stato allegato: “che, tuttavia, al fine di sottrarsi ai regime della tutela reale previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, la società simula con artifizi ed espedienti di aver meno di 15 dipendenti: da un lato omette di formalizzare l’assunzione di alcuni dipendenti (impiegandoli a nero); dall’altro utilizza in modo esclusivo personale fittiziamente inquadrato presso il vicino distributore di carburanti ESSO il cui titolare risulta essere l’amministratore della Eredi ******** sig. C.R.”.

Risulta, quindi, che il contenuto sostanziale della domanda tendeva a dimostrare che nel computo degli occupati presso la società Eredi Terrazza dovessero comprendersi anche coloro che risultavano fittiziamente dipendenti della ditta individuale C.R. pur prestando la propria attività per la detta società e stante la commistione tra le due attività produttive. Peraltro, sul punto è stata articolata ed espletata anche prova testimoniale ed il ricorrente aveva prodotto documentazione intesa a dimostrare la dedotta fittizietà dei rapporti ed collegamento economico-funzionale tra la società e la ditta individuale.

Inammissibile, infine, è l’ottavo motivo di ricorso che, pur se per una parte rubricato come violazione di norme di diritto, nella sostanza muove censure alla valutazione delle risultanze istruttorie operata nell’impugnata sentenza e finisce con il richiedere a questa Corte una non consentita riconsiderazione del merito della controversia. Va, inoltre, rilevato che la ritenuta commistione tra le attività produttive della società e la ditta individuale non si pone neppure come fatto decisivo, come emerge dalla motivazione censurata, non essendo stata considerata la ragione determinante in base alla quale i lavoratori D. ed A. erano da ritenere, di fatto, dipendenti della Eredi Ferrazza.

Alla luce di quanto sin qui esposto il ricorso va rigettato.

Non si provvede in ordine alle spese del presente giudizio essendo M.T. rimasto intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Redazione