Licenziamento disciplinare: il giudice deve attenersi al CCNL (Cass. n. 2292/2013)

Redazione 31/01/13
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Svolgimento del processo

M.C. ha adito il Giudice del lavoro di Ravenna per impugnare il licenziamento disciplinare intimatogli il 1 marzo 2001 dalla soc. Poste Italiane s.p.a., che gli aveva ascritto di essersi rifiutato di effettuare il recapito in abbinamento nella zona di cui era titolare e in un’altra limitrofa.
Il lavoratore aveva sostenuto di non avere potuto effettuarla consegna della corrispondenza nella zona “abbinata” a causa delle particolari condizioni climatiche, della pesantezza del corriere da smaltire e della tipologia della zona da servire, mentre aveva regolarmente effettuato il recapito nella zona di cui era titolare.
In primo grado il licenziamento veniva dichiarato illegittimo; il giudice adito convertiva la sanzione espulsiva in quella conservativa di sette giorni di sospensione dal servizio e dalla retribuzione.
La sentenza veniva impugnata in via principale dalla soc. Poste Italiane e in via incidentale dal M.
La società sosteneva che il provvedimento di licenziamento, pur richiamando gli analoghi comportamenti precedentemente sanzionati, non si fondava sulla recidiva, ma sull’ultimo comma dell’art. 54 c.c.n.l., che prevedeva la sanzione espulsiva in presenza di una grave condotta del lavoratore; nel caso di specie, il M. aveva deliberatamente violato precisi ordini di servizio, integrando un comportamento rilevante in termini di giustificato motivo soggettivo.
Con sentenza depositata il 19 giugno 2008 la Corte di appello di Bologna respingeva l’appello proposto da Poste Italiane s.p.a. e, in accoglimento di quello incidentale, riformava la sentenza impugnata nella parte in cui aveva disposto la conversione del licenziamento disciplinare nella sanzione conservativa. Osservava che oggetto della contestazione disciplinare era stato un inadempimento parziale degli obblighi di servizio e che tale fattispecie non poteva essere sussunta nella previsione di cui al n. 5 dell’art. 54 c.c.n.l., poiché non era stato dimostrato che la condotta inadempiente avesse provocato gravi danni alla società o a terzi o gravi danni alle persone. Il licenziamento non poteva essere giustificato dalla recidiva plurima infrannuale, che non era stata contestata dalla società, mentre la prospettata valorizzazione dei precedenti ai fini della gravità dei fatti costituiva il tentativo di superare le preclusioni della mancata contestazione della recidiva e ciò rendeva di per sé illegittimo il licenziamento per violazione dell’art. 7 della legge n. 300/70. La mancanza ascritta rientrava tra le inadempienze che il contratto collettivo punisce con sanzione conservativa e che solo in caso di recidiva plurima nell’anno possono dare luogo al licenziamento con preavviso. Né la fattispecie presentava profili particolari che ne consentissero una diversa valutazione, pure considerato che l’intenzionalità della condotta è caratteristica comune a tutte le ipotesi di rifiuto. Quanto all’appello incidentale, riteneva che non potesse il giudice sostituirsi al datore di lavoro nell’esercizio del potere di infliggere sanzioni disciplinari e che, una volta dichiarato illegittimo il licenziamento, non dovesse farsi luogo all’applicazione in giudizio di una sanzione di tipo conservativo.
Per la cassazione tale sentenza propone ricorso Poste Italiane s.p.a. affidato a sette motivi, illustrati da memoria.
Il lavoratore è rimasto intimato.

 

Motivi della decisione

Con i primi due motivi si denuncia vizio di motivazione per avere la Corte di appello dato credito alla versione dei fatti proposta dal lavoratore secondo cui il rifiuto di eseguire la prestazione “in abbinamento” era giustificabile per le avverse condizioni climatiche e la pesantezza del carico; al contrario, l’impossibilità di adempiere era smentita da una serie di circostanze che, se considerate, avrebbero consentito di pervenire alla conclusione che l’inadempimento scaturì da una precisa scelta del dipendente. Inoltre, i giudici di merito avevano errato nel ritenere che il comportamento non avesse causato quei danni gravi che la disciplina collettiva prevede come presupposto per l’irrogazione della sanzione espulsiva, omettendo di considerare il pregiudizio rappresentato dalla potenziale attitudine dei fatti commessi a comportare danni per gli utenti del servizio postale.
Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge per erronea interpretazione dell’art. 54 c.c.n.l. 2001. L’ipotesi di cui al n. 5 di tale norma sanziona l’inosservanza di obblighi di servizio da cui sia derivato un pregiudizio alla regolarità del servizio, differenziandosi dalla fattispecie più lieve di cui al n. 3 dello stesso articolo per il fatto di richiedere il verificarsi di “gravi danni ai beni della società o di terzi” o “gravi danni alla persona”, ma non per questo esclude che possa ritenersi in re ipsa il danno costituente l’elemento integrativo della più grave ipotesi disciplinare. Il comportamento tenuto dal M. aveva arrecato un danno sia a coloro che avevano interesse a ricevere la corrispondenza per tempo, sia alla società che, in base alla diversificazione dei prodotti postali, è tenuta a garantire uno standard di lavorazione molto rigoroso.
Con il corrispondente quesito di diritto si chiede se, in ossequio agli artt. 2104 c.c., 1362 e segg. c.c. e art. 54 nn. 3,4, e 5 CCNL 2001, a fronte di una fattispecie la cui capacità lesiva può essere valutata presuntivamente, debba essere ritenuta applicabile la sanzione del licenziamento con preavviso per essere la stessa sussumibile nella ipotesi di cui all’art. 54 n. 5, per inosservanza degli obblighi di servizio dalla quale sia derivato pregiudizio alla sicurezza ed alla regolarità del servizio con gravi danni ai beni della società o di terzi.
Il quarto e il quinto motivo denunciano violazione delle stesse norme, nonché dell’art. 68 c.c.n.l. del 2001, il quale contempla il licenziamento per giustificato motivo come ipotesi ulteriore rispetto ai casi già disciplinati da altre norme del medesimo contratto. La ricorrente domanda se, in base a tale disposizione, vi sia la possibilità di procedere alla irrogazione del licenziamento disciplinare anche per ipotesi non espressamente previste dal codice disciplinare e se sia passibile di licenziamento per giustificato motivo il dipendente la cui condotta, anche a prescindere dalla causazione di danni a cose o persone, sia consistita nel volontario rifiuto di adempiere, anche in modo parziale, alla prestazione oggetto del contratto di lavoro.
Con il sesto motivo si lamenta violazione degli artt. 1362 e segg., con riferimento all’art. 52 c.c.n.l. 2001, per avere il giudice di appello dato rilevanza determinante alla mancata contestazione della recidiva, laddove il provvedimento espulsivo era stato irrogato non sulla base della recidiva, ma valorizzando i precedenti disciplinari ai fini della valutazione del comportamento complessivo del lavoratore.
Con l’ultimo motivo Poste Italiane s.p.a. censura la sentenza laddove, in accoglimento dell’appello incidentale del lavoratore, ha riformato la pronuncia di primo grado relativa alla conversione del licenziamento illegittimo in una sanzione conservativa.
Il ricorso è privo di fondamento.
L’art. 54 c.c.n.l. contempla la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione non superiore a quattro giorni in caso di “inosservanza di doveri e obblighi di servizio da cui sia derivato un pregiudizio alla regolarità del servizio stesso o agli interessi della ******à o un vantaggio per sé o per i terzi, se non altrimenti sanzionabile”. Si applica la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni “per atti o comportamenti che producano interruzione o turbativa nella regolarità o nella continuità del servizio…” oppure per “il rifiuto di eseguire ordini concernenti obblighi di servizio”. Il licenziamento con preavviso può invece essere irrogato per inosservanza degli obblighi di servizio da cui “sia derivato pregiudizio alla sicurezza ed alla regolarità del servizio con danni gravi ai beni dell’Ente o di terzi, o anche con gravi danni alle persone”.
Da tale disciplina si desume che sono state previste dalle parti sociali sanzioni progressivamente crescenti in caso di violazione della disciplina interna che abbia influito sulla regolarità o sulla continuità del servizio e che l’inadempimento è passibile di sanzione espulsiva se abbia comportato un pregiudizio alla sicurezza ed alla regolarità del servizio con danni gravi ai beni dell’Ente o di terzi, o con gravi danni alle persone. L’esistenza del quid pluris rappresentato dalla produzione di un danno grave costituisce ragione giustificatrice della massima sanzione espulsiva, nel contesto della più ampia fattispecie del disservizio postale provocato da un comportamento inadempiente del dipendente.
È evidente che ogni violazione della disciplina comporta un pregiudizio per l’azienda, essendo le disposizioni interne preordinate a garantire il buon funzionamento del servizio postale, ma la sanzione espulsiva richiede l’integrazione di un requisito ulteriore, la cui sussistenza è onere del datore di lavoro dimostrare e che non è identificabile nel pregiudizio in sé insito in qualsivoglia difetto di regolarità del servizio.
Il giudice di appello ha dato compiuta ragione della propria decisione rilevando che nella fattispecie concreta non vi era tale prova e che pertanto non sussistevano tutti i presupposti di cui al n. 5 dell’art. 54 c.c.n.l., giungendo a ricondurre la fattispecie concreta nella previsione di cui al n. 3 o al n. 4 dell’art. 54 c.c.n.l.. La decisione risulta basata su una corretta interpretazione della disciplina contrattuale e sul piano della motivazione non presenta vizi logici o contraddizioni.
In materia di licenziamenti disciplinari, ove un determinato comportamento del lavoratore invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento sia contemplato dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, esso non può formare oggetto di una autonoma e più grave valutazione da parte del giudice, il quale non può quindi ritenere legittimo il recesso senza aver prima accertato che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità di una sanzione espulsiva (v. Cass. nn. 5645 del 1989, 5627 del 1989, 1173 del 1996; da ultimo Cass. n. 13353 del 2011). Quando la clausola generale di licenziamento venga definita, ossia specificata, attraverso la volontà negoziale, il giudice è tenuto ad uniformarsi alla definizione contrattuale, salva l’ipotesi che questa permetta il licenziamento arbitrario o discriminatorio, giacché in tal caso il giudice ne ritiene la nullità ex art. 1418 cod. civ. (v. in tal senso, Cass. n. 4932 del 2003).
Il giudice di merito, premesso che il rifiuto di adempiere ad un ordine di servizio non può che essere volontario, ha ritenuto che non vi fossero elementi per valutare il comportamento del M. più grave di quelli presi in considerazione dal codice disciplinare come suscettibili di sanzione conservativa.
Contrariamente a quanto sostenuto da Poste Italiane, il licenziamento è stato ritenuto illegittimo non già in virtù di un particolare credito attribuito alla giustificazione resa dal M. circa i motivi del proprio comportamento, ma perché la fattispecie è stata ricondotta nell’alveo di comportamenti suscettibili di sanzione conservativa.
Il sesto motivo è inammissibile.
Nella sentenza di merito è chiaramente definita come un’autonoma ratio decidendi l’essere il licenziamento stato irrogato per una fattispecie complessa testualmente riferita anche ai precedenti disciplinari e dunque afferente all’ipotesi di “recidiva plurima nell’anno nelle mancanze previste nel precedente gruppo…” di cui all’art. 54 n. 5 c.c.n.l. Poiché tale recidiva non era stata contestata e comunque le sanzioni pregresse avevano perso efficacia, i medesimi fatti non potevano essere valorizzati ai fini dell’irrogazione della sanzione. Per tale ragione, il licenziamento disciplinare era stato adottato in violazione dell’art. 7 legge n. 300/70.
L’attuale ricorrente non spiega i motivi per i quali il richiamo contenuto nella lettera di licenziamento dovrebbe essere valutato diversamente da come ritenuto dal giudice di appello.
L’ultimo motivo, relativo alla possibilità di conversione giudiziale del licenziamento disciplinare in una sanzione conservativa, è infondato.
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte secondo cui la potestà di infliggere sanzioni disciplinari è riservata alla discrezionalità dell’imprenditore ex art. 2106 cod. civ., in quanto contenuta nel più ampio potere di direzione dell’impresa attribuitogli dall’art. 2086 cod. civ., a sua volta compreso nella libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione; ne consegue che il giudice, adito dal lavoratore per l’annullamento di una sanzione, non può, senza esserne richiesto dall’attore, che ammetta la propria responsabilità ma invochi conseguenze più tenui, e senza alcuna eccezione da parte dell’imprenditore, titolare del potere ora detto, convertirla in altra meno grave, a ciò ostando il divieto di ultra ed extrapetizione posto dall’art. 112 cod. proc. civ.. (Cass. n. 5753 del 25 maggio 1995).
Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.
Nulla va disposto quanto al pagamento delle spese del giudizio di cassazione per essere il lavoratore rimasto intimato.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità.

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