Liberazione anticipata relativa al periodo di presofferto in detenzione all’estero (Cass. pen. n. 7917/2013)

Redazione 18/02/13
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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 26 gennaio 2012 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto da G.S. avverso il provvedimento del 29 novembre 2011 del Magistrato di sorveglianza di Roma, che aveva dichiarato inammissibile la sua domanda di liberazione anticipata relativa al periodo di presofferto in detenzione all’estero dal 12 agosto 2008 al 18 dicembre 2009.

Il Tribunale, a ragione della decisione, rilevava che:

– il reclamante, detenuto, con decorrenza dal 18 dicembre 2009, in espiazione della pena di anni dieci e mesi due di reclusione di cui alla sentenza del 17 dicembre 1999 del Tribunale di Torino, aveva avanzato richiesta di liberazione anticipata per un periodo di detenzione, che ricomprendeva la carcerazione presofferta nel Regno Unito dal 12 agosto 2008 al 18 dicembre 2009;

– l’istanza, accolta per il residuo, era stata dichiarata inammissibile per detto periodo per essere la detenzione avvenuta all’estero, in coerenza con l’orientamento espresso da questa Corte con sentenza n. 33520 del 7 luglio 2010;

– tale decisione, che aveva affrontato in maniera chiara, completa ed esaustiva tutto il tema della concedibilità dei benefici penitenziari relativamente alle espiazioni avvenute in territorio straniero, era condivisibile e non meritavano adesione le ragioni del reclamo;

– la circostanza che il reclamante, cittadino straniero, era stato condannato in Italia, arrestato all’estero in esecuzione di un mandato di arresto internazionale e ivi trattenuto in attesa di estradizione, poi disposta senza il suo consenso, come dallo stesso dedotto, comportava, secondo il principio fissato dalla Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate, che l’esecuzione della pena era soggetta alle norme dello Stato di esecuzione e che il momento della consegna da uno Stato all’altro determinava lo spartiacque tra l’applicazione di un ordinamento penitenziario e l’altro;

– tale principio, governando il sistema delle relazioni tra Stati in materia di esecuzione della pena delle persone condannate trasferite e precludendo la intromissione ex post nella esecuzione curata e disciplinata dallo Stato estero, ostava all’accoglimento della richiesta per essere inapplicabile il beneficio disciplinato dalla normativa nazionale per una pena espiata all’estero;

– alle differenze strutturali tra sistemi giudiziari e amministrativi si accompagnava sia la impossibilità di avvalersi delle necessarie attività di osservazione della personalità e di verifica diretta della partecipazione del condannato all’opera di rieducazione, sia la regolamentazione da parte di ogni Stato della propria esecuzione penale senza interferenze nella disciplina degli Stati esteri.

2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione, per mezzo del suo difensore, il condannato, che ne chiede l’annullamento sulla base di due motivi, dopo aver premesso in fatto il richiamo alla sua vicenda processale.

2.1 Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione agli artt. 3, 9, e 10 della Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate del 1983 (ratificata in Italia con la L. 25 luglio 1988, n. 338).

Secondo il ricorrente, il precedente di legittimità valorizzato dal Tribunale (Cass. 33520/2010) ha regolamentato una fattispecie diversa da quella in esame, poichè la Convenzione, che è stata concepita per sviluppare una maggiore cooperazione internazionale in materia penale nell’interesse di una buona amministrazione della giustizia e per favorire il reinserimento sociale dei condannati, concedendo agli stessi la possibilità di scontare la pena nel proprio Paese, suppone, quale condizione del trasferimento, che il condannato sia cittadino dello Stato di esecuzione e abbia acconsentito al trasferimento.

Tale Convenzione, ad avviso del ricorrente, non è, invece, applicabile a ipotesi di estradizione, come quella in esame, poichè egli non è cittadino italiano e non ha chiesto il trasferimento, invece avvenuto sulla base delle regole che sottendono l’estradizione, essendo stato tratto in arresto all’estero in esecuzione di un mandato di arresto internazionale e trattenuto in carcere solo in attesa di estradizione nel Paese che aveva emesso la sentenza di condanna.

2.2 Con il secondo motivo il ricorrente denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 1 e 54 Ord. Pen., e artt. 3 e 27 Cost..

2.2.1. Secondo il ricorrente, l’art. 54 Ord. Pen., che stabilisce le condizioni di concedibilità del beneficio della liberazione anticipata, si riferisce al condannato a pena detentiva, senza prevedere una diversa disciplina nel caso di estradizione o comunque di condanna espiata all’estero, conseguendo a tale rilievo che una interpretazione della norma, tesa a escludere il beneficio per la detenzione sofferta all’estero, viola l’indicata disposizione, oltre a porsi in contrasto con i principi fissati da questa Corte con le sentenze n. 2304 del 1996 e n. 6204 del 1999.

Peraltro, lo stesso Magistrato di sorveglianza aveva chiesto, tramite il Ministero della Giustizia – Dipartimento affari di giustizia e in coerenza con detti principi, l’assunzione di informazioni presso le competenti autorità inglesi in ordine al comportamento tenuto da esso ricorrente nel periodo detentivo estero.

2.2.2. L’omessa valutazione della partecipazione all’attività rieducativa del condannato all’estero, durante il periodo in cui il medesimo vi ha “sostato” in attesa della sua estradizione, è in contrasto con la finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27 Cost., attuabile anche attraverso le misure che perseguono la finalità della esecuzione della pena in conformità al dettato costituzionale.

Nè, secondo il ricorrente, egli, trovatosi solo “a transitare” nel sistema carcerario inglese, ha potuto beneficiare di alcuna misura premiale, con conseguente violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. per la disparità di trattamento tra il detenuto che sconta la sua pena fin dall’inizio in Italia e chi sconta parte della pena all’estero in attesa di essere estradato in Italia, senza che possa parlarsi di intromissione nel sistema penitenziario del diverso Paese, essendovi piuttosto una valorizzazione delle osservazioni ivi svolte.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso in relazione alla conformità della decisione ai principi da ultimo sanciti in materia da questa Corte con sentenza n. 33520 del 7 luglio 2010.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

2. Questa Corte ha, con recente decisione (Sez. 1, n. 31012 del 06/06/2012, dep. 30/07/2012, ****, non massimata), fissato il principio di diritto secondo il quale “i benefici regolamentati dall’art. 54 Ord. Pen. in favore del detenuto che fornisca prova di partecipazione all’opera di rieducazione sono applicabili anche ai periodi di detenzione espiati in uno Stato estero della Comunità Europea per fatti giudicati in quel Paese quando l’espiazione venga poi completata nello Stato italiano”.

Tale principio, ripreso successivamente da questa stessa Sezione (con sentenza del 24/10/2012 nel proc. 7544/2012, come da notizia di decisione n. 5/2012 in pari data), è stato affermato richiamando:

– il testo letterale dell’art. 54 Ord. Pen., che non distingue se la detenzione da considerare sia quella inflitta da un giudice italiano ovvero da un giudice straniero, nè se la stessa sia stata in parte espiata in struttura carceraria estera;

– il principio della fungibilità delle detenzioni espiate in Stati diversi, che fissato normativamente dall’art. 738 c.p.p., trova significativa espressione nel processo di integrazione giuridica tra Stati della Unione Europea;

– la previsione del D.Lgs. n. 161 del 2010, art. 16, comma 1, che, nel dare esecuzione nel diritto interno alla decisione quadro 2008/909/GAI, volta all’armonizzazione dei sistemi esecutivi e a una loro sostanziale fungibilità, ha stabilito che “la pena espiata nello Stato di emissione è computata ai fini della esecuzione”;

– i principi espressi dalla Convenzione di Strasburgo nella parte in cui, con riguardo alla continuazione della esecuzione (art. 10, comma 2), stabilisce che, “se la sua legge lo esige”, lo Stato di esecuzione “può, per mezzo di una decisione giudiziaria o amministrativa, adattare la sanzione alla pena o misura prevista dalla propria legge interna per lo stesso tipo di reato”;

– i principi costituzionali, in forza dei quali deve darsi pratica concretizzazione degli istituti normativi nazionali ai fini della risocializzazione del detenuto, e deve garantirsi la parità di trattamento del detenuto quanto alla valutazione della pena, a prescindere dal luogo della espiazione della stessa o delle sue parti, anche in rapporto ad altri detenuti che non hanno espiato all’estero parte della pena.

3. Con l’indicato principio di diritto questa Corte si è posta in consapevole contrasto con diverso arresto, cui si è uniformato il Tribunale con l’ordinanza impugnata e si è richiamato il Procuratore Generale nelle sue conclusioni, e che ha stabilito che “in tema di esecuzione in Italia di sentenza straniera, la liberazione anticipata può trovare applicazione solo con riferimento al periodo della esecuzione della pena in Italia e non con riguardo al periodo di esecuzione sofferto nello Stato di condanna” (Sez. 1, n. 33520 del 07/07/2010, dep. 13/09/2010, ****, Rv. 248125), lo stesso criticando ed esaustivamente indicando le ragioni del diverso opinamento, posto a fondamento, unitamente alla parziale diversità delle fattispecie esaminate, del diverso predetto principio.

4. Il Collego ritiene di uniformarsi all’indicato più recente principio di diritto, che condivide e riafferma anche con riguardo alla fattispecie de qua, che, a differenza dei casi oggetto di esame nelle richiamate opposte decisioni, attiene a un soggetto straniero, condannato in Italia, arrestato all’estero in esecuzione di mandato di arresto internazionale e lì rimasto detenuto in attesa della estradizione per un periodo (dal 12 agosto 2008 al 18 dicembre 2009), valutato poi come presofferto rispetto alla pena in espiazione in Italia.

Rispetto a tale fattispecie, a prescindere da ogni questione riferita all’applicabilità e ai limiti della Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, appaiono ancora più evidenti le ragioni già evidenziate da questa Corte nel rimarcare che l’esecuzione della pena deve avvenire nel rispetto della disciplina legislativa dello Stato di esecuzione, e quindi anche dei benefici penitenziari dalla stessa previsti, e secondo una interpretazione c.d. costituzionalmente orientata delle pertinenti norme.

Tale rilievo è, peraltro, in continuità all’indirizzo di legittimità, risalente nel tempo e in più occasioni coerentemente e logicamente ripreso, favorevole alla concessione della liberazione anticipata in relazione ai semestri di detenzione espiati all’estero (Sez. 1, n. 3193 del 15/07/1997, dep. 28/10/1997, *******, Rv. 176906; Sez. 1, n. 2304 del 09/04/1996, dep. 30/05/1996, *****, Rv. 204923; Sez. 1, n. 6204 del 12/11/1999, dep. 07/12/1999, Gstrein, Rv. 214832; Sez. 1, n.17229 del 27/02/2001, dep. 28/04/2001, P.G. in proc. Fidanzati, Rv. 218745).

5. La richiesta ammissibile deve essere pertanto esaminata nel merito da parte del Tribunale di sorveglianza di Roma, al quale gli atti devono essere rinviati per nuovo esame, previo annullamento dell’ordinanza impugnata.

Secondo i criteri più volte indicati in questa sede il Giudice del rinvio, in particolare, dovrà provvedere, ricorrendo ai mezzi che presiedono all’assistenza e alla cooperazione giudiziaria e richiedendo la collaborazione dei competenti organi sociali e amministrativi, ad acquisire gli elementi di giudizio che, pur in mancanza di sottoposizione del condannato ad attività trattamentali, siano idonei a rappresentare la sua partecipazione all’opera di rieducazione, la sua revisione critica della propria condotta e la sua volontà di abbandonare gli schemi di vita devianti, valutando il suo comportamento in istituto, l’osservanza delle prescrizioni e degli obblighi impostigli, l’eventuale attività lavorativa da lui svolta, l’atteggiamento manifestato nei confronti degli operatori penitenziari e la qualità dei rapporti intrattenuti con i compagni di detenzione e con i familiari (Sez. 1, n. 2304 del 09/04/1996, già citata), e accertando, nello stesso tempo, che durante la detenzione all’estero il condannato non abbia già fruito di misura alternativa con effetto equivalente a quello che consegue, nell’ordinamento italiano, alla liberazione anticipata, e che la richiesta di applicazione di una tale misura non sia stata già respinta dalla competente autorità straniera.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.

Redazione