La prescrizione dell’azione disciplinare può essere eccepita solo se non sono richieste ulteriori indagini fattuali (Cass. n. 22956/2013)

Redazione 09/10/13
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Svolgimento del processo

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ferrara inflisse la sanzione disciplinare dell’avvertimento all’avv. S., per avere falsamente dichiarato di essere in possesso della procura speciale di un proprio assistito, così rimettendo la querela sporta nei confronti di un terzo ed incassando una somma di danaro a transazione della controversia.

Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza ora impugnata per cassazione, ha respinto il ricorso dell’avvocato S..

Quest’ultimo propone ricorso per cassazione attraverso due motivi.

Motivi della decisione

Il primo motivo sostiene l’intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare, posto che la remissione della querela in questione avvenne in data 14 giugno 2005 e “dopo quasi otto anni dai fatti… sulla vicenda non risulta ancora sceso il giudicato”.

Il motivo è inammissibile, nella considerazione che la questione è stata posta per la prima volta in sede di legittimità e vale la regola secondo cui nel giudizio disciplinare a carico di avvocato, l’eccezione di prescrizione dell’azione disciplinare può essere sollevata, per la prima volta, con il ricorso per cassazione avverso la decisione del Consiglio nazionale forense, allorchè il relativo esame non comporti indagini fattuali (Cass. SU n. 5038/04). Nella specie, la delibazione della questione comporta una serie di indagini in fatto (in relazione alle quali neppure il ricorrente fornisce elementi di valutazione), nella considerazione del concorrente principio di diritto secondo cui nella fase del procedimento disciplinare di carattere amministrativo dinanzi al Consiglio dell’ordine costituiscono valido atto di interruzione della prescrizione, con effetti istantanei, l’atto di apertura del procedimento e tutti gli atti procedimentali di natura propulsiva o probatoria (consulenza tecnica d’ufficio, interrogatorio del professionista sottoposto a procedimento, audizione di testimoni, ecc.), o decisoria (v., tra le tante, SU n. 21591/13; n. 5072/03).

Il secondo motivo (che censura la sentenza per “illogicità e contraddittorietà della motivazione dovuta all’errata valutazione delle prove”) è altrettanto inammissibile, in quanto prospetta una serie di questioni di merito (che in questa sede non è neppure necessario riportare) tendenti non alla censura prospettata dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, bensì alla rivalutazione degli elementi di fatto e probatori emersi agli atti, così da conseguire una diversa e favorevole conclusione della controversia.

Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcun provvedimento in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2013.

Redazione