Il rilascio di una rivendita speciale, in presenza di particolari esigenze di servizio, non risulta lesivo dei diritti del titolare di una circostante rivendita di monopolio (Cons. Stato n. 3174/2013)

Redazione 10/06/13
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FATTO

La signora ********, titolare della rivendita di generi di monopolio n. 30 di Nocera Inferiore, ha impugnato la nota n. 9536 del 7 ottobre 2003, con cui l’Ispettorato compartimentale dei Monopoli di Stato di Salerno le ha comunicato l’inizio del procedimento per l’istituzione, nello stesso Comune, di una rivendita speciale all’interno di una sala Bingo. Con motivi aggiunti, ha in seguito impugnato anche la determinazione dello stesso Ispettorato n. 11830 del 13 luglio 2004, recante l’istituzione, in via provvisoria, di tale rivendita speciale.
Dopo avere disposto istruttoria, il T.A.R. della Campania – Salerno, sez. I, ha ritenuto che la distanza intercorrente tra la rivendita ordinaria e quella speciale fosse inferiore ai 250 metri prescritti e ha accolto il ricorso, annullando i provvedimenti impugnati.
Contro la sentenza ha interposto appello la S.I.G. s.r.l. – ******à Italiana Giochi, concessionaria per la gestione della sala per il gioco del Bingo.
La Società ripropone eccezioni già formulate in primo grado, su cui il T.A.R. non avrebbe pronunziato, denunziando la violazione dell’art. 112 c.p.c.
1. La vendita di generi di monopolio costituirebbe “servizio pubblico essenziale”, sicché per i giudizi relativi varrebbe la riduzione alla metà dei termini processuali disposto dall’art. 23 bis, commi 1, lett. c), e 2, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Nel caso di specie, l’ultima notifica del ricorso introduttivo risalirebbe al 23 dicembre 2003; il ricorso sarebbe stato depositato il 10 gennaio 2004, dunque tardivamente, poiché – come appena detto – il termine di trenta giorni (previsto dall’art. 21, comma 2, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034) sarebbe ridotto alla metà. L’improcedibilità (rectius: irricevibilità) del ricorso si propagherebbe ai motivi aggiunti.
2. Il ricorso in primo grado sarebbe inammissibile per la mancata, specifica impugnazione di alcuni atti presupposti (sarebbe inefficace la formula di stile dell’impugnazione di “tutti gli atti del procedimento preparatori, consequenziali e comunque connessi). Non sarebbero state impugnate:
– la lettera n. 12003/22386 del 9 maggio 2003, con cui la Direzione generale dei Monopoli di Stato – anche a seguito del ricorso gerarchico proposto contro un precedente diniego – disponeva che l’Ispettorato compartimentale riaprisse l’istruttoria;
– la nota n. 2003/19301 del 18 aprile 2003, con cui la stessa Direzione generale indicherebbe che, in caso di istituzione di una rivendita speciale in una sala Bingo, la distanza minima dalla rivendita ordinaria più vicina deve essere “calcolata a partire dalla porta d’ingresso alla sala medesima”;
– la nota n. 6116 del 22 maggio 2003 dell’Ispettorato compartimentale, accertante il rispetto della distanza di 250 metri;
– soprattutto, la determinazione n. 30448 del 3 luglio 2003 (certamente nota alla controparte a partire dal 10 gennaio 2004, quando la avrebbe prodotta in giudizio a corredo del proprio ricorso), con cui la Direzione generale dei Monopoli di Stato autorizzava l’Ispettorato compartimentale a istituire la rivendita speciale, determinandone il corrispettivo.
La nota n. 9536 del 7 ottobre 2003 dell’Ispettorato compartimentale, unico atto gravato, costituirebbe solo avviso di avvio del procedimento, atto notoriamente inoppugnabile; l’inammissibilità non potrebbe essere sanata per effetto dell’impugnazione con motivi aggiunti del provvedimento di istituzione della rivendita speciale.
3. Secondo una consolidata giurisprudenza, le rivendite speciali di generi di monopolio non sarebbero soggette al regime delle distanze dettato per le rivendite ordinarie, in particolare al rispetto delle distanze. Nel caso di specie, la Guardia di finanza avrebbe accertato che la nuova rivendita inizierebbe la propria attività quasi in concomitanza con la chiusura delle rivendite ordinarie e servirebbe un bacino d’utenza molto ampio, poco influente sull’ambito territoriale circostante.
4. In via subordinata, a voler ritenere applicabili le prescrizioni sulle distanze minime dettate dalla circolare della Direzione generale dei Monopoli di Stato n. 2003/19301 del 18 aprile 2003, la distanza andrebbe calcolata rispetto all’ingresso della sala, dove la rivendita speciale è ubicata, e non rispetto all’ingresso del bar antistante, nella disponibilità di terzi, come invece il T.A.R. ha ritenuto. Utilizzando tale criterio, il requisito della distanza sarebbe soddisfatto.
La Società ha anche chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata.
L’Amministrazione finanziaria e, quindi, la signora G. si sono costituiti in giudizio.
La domanda cautelare è stata accolta dalla Sezione con ordinanza 9 ottobre 2010, n. 4570.
Con successiva memoria, la signora G. contesta la pretesa irricevibilità del ricorso introduttivo (che non riguarderebbe materia di servizio pubblico) e insiste sulla necessità del rispetto del parametro della distanza che, nel caso di specie, andrebbe calcolato rispetto all’ingresso sulla pubblica via. L’Amministrazione, inoltre, non avrebbe compiuto una valutazione tecnica più ampia per accertare la sussistenza di effettive esigenze di servizio.
Con memoria di replica, infine, la stessa signora G. sostiene che la giurisprudenza richiamata dalla ******à appellante, nel senso della sostanziale irrilevanza del criterio della distanza minima per l’istituzione delle rivendite speciali, sarebbe dettata solo per quelle da istituirsi all’interno dei luoghi elencati dall’art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 1958, n. 1074, e perciò non potrebbe essere utilmente invocata nel caso di specie.
All’udienza pubblica del 21 maggio 2013, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

 

DIRITTO

1. La ******à S.I.G. rinnova nell’appello alcune eccezioni processuali già formulate in primo grado, sulle quali il T.A.R. avrebbe omesso di pronunziarsi.
Tali eccezioni, per la verità, non appaiono – almeno a prima vista – assistite da solido fondamento.
Anzitutto, è più che discutibile che l’istituzione di una rivendita di generi di monopolio abbia natura tale da costituire “affidamento di un servizio pubblico” nel senso postulato dall’appellante, per implicare cioè quelle ragioni di interesse generale che hanno indotto il legislatore a delineare dei riti speciali (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 9 agosto 2012, n. 32) caratterizzati – secondo la normativa ricordata in narrativa – dalla riduzione alla metà dei termini processuali (della sentenze citate dall’appello al riguardo, Corte cost., 15 luglio – 3 agosto 1976, n. 209, discute il diverso profilo della legittimità del monopolio in relazione all’art. 43 Cost.; le altre decisioni della Corte costituzionale rinviano a quella ora richiamata; Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2004, n. 5772, riguarda piuttosto l’esperibilità del’accesso nei riguardi dell’Ente tabacchi e non appare esattamente in termini). Non a caso, d’altronde, non risulta che la giurisprudenza abbia mai fatto valere la dimidiazione dei termini processuali nelle controversie concernenti le rivendite di tabacchi, ordinarie e speciali, che pure si manifestano con una certa frequenza. E ciò, in definitiva, anche alla luce del rilievo che l’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971, che qui verrebbe in questione, è da considerarsi – proprio in ragione degli effetti derogatori che apporta alla disciplina comune – norma di stretta applicazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2011, n. 3646).
Secondariamente, gli atti di cui la ******à appellante lamenta l’omessa impugnazione sembrano piuttosto atti interni al procedimento, come tali non bisognosi di specifico gravame.
Le questioni processuali ora riassunte, tuttavia, non richiedono un particolare approfondimento, perché l’appello è fondato nel merito.
2. La specifica normativa di settore ratione temporis applicabile è rappresentata dall’art. 22 della legge 22 dicembre 1957, n. 1293, e dall’art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 1958, n. 1074.
A detta di tali disposizioni, rivendite speciali possono essere istituite in relazione a particolari esigenze di servizio, anche temporaneo, non suscettibili di essere soddisfatte mediante rivendita ordinaria o patentino.
In particolare, l’art. 22 della legge n. 1293 del 1957 dispone che “le rivendite speciali sono istituite per soddisfare particolari esigenze del pubblico servizio anche di carattere temporaneo quando, a giudizio dell’Amministrazione, mancano le condizioni per procedere alla istituzione di una rivendita ordinaria, ovvero al rilascio di un patentino”.
L’art. 53, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1958 prevede che “le rivendite speciali sono istituite dall’Ispettorato compartimentale nelle stazioni ferroviarie, marittime, tranviarie, automobilistiche, delle aviolinee e di servizio automobilistico, nelle caserme e nelle case di pena, nonché ovunque siano riconosciute necessità di servizio alle quali non possa sopperirsi mediante rivendita ordinaria o patentino”.
3. La questione oggetto della causa non è nuova, per essere stata già in passato esaminata approfonditamente dalla giurisprudenza amministrativa.
Alla stregua dei consolidati orientamenti di questo Consiglio, dai quali non vi è ragione per discostarsi e cui si rinvia integralmente:
– l’istituzione o il trasferimento di una rivendita speciale di tabacchi non postula necessariamente il rispetto di requisiti minimi di distanza previsti per le rivendite ordinarie, potendo questo aspetto aver rilevanza solo in via discrezionale, nel caso, cioè, la distanza assuma un rilievo tale (rivendite poste a pochi metri l’una dall’altra) da rendere inconciliabile la contemporanea presenza di due rivendite (Cons. St., sez. IV, 22 marzo 2005 n. 1180);
– il rilascio dell’autorizzazione a gestire una rivendita speciale di tabacchi e generi di monopolio non è lesivo dei diritti dei titolari delle circostanti rivendite ordinarie di generi di monopolio, in quanto con la rivendita speciale sono soddisfatte particolari esigenze di pubblico servizio, anche di carattere temporaneo, in una serie di luoghi specifici (Cons. St., sez. IV, 11 aprile 2001 n. 2201);
– la normativa richiamata non fa alcun riferimento alla distanza come regola che delimiti l’esercizio della discrezionalità amministrativa e non può pertanto essere derogata da circolari amministrative (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 21 dicembre 2009, n. 8530; Id., 18 febbraio 2010, n. 964; Id., 12 gennaio 2011, n. 122).
Al riguardo la Sezione, uniformandosi ai citati precedenti, non può che ribadire come, nelle rivendite speciali continuative, non abbia importanza alcuna né la densità della popolazione della zona né la distanza rispetto ad altre rivendite di generi di monopolio, condizioni queste invece rilevanti solo tra le rivendite ordinarie. Inoltre, deve richiamarsi il principio per cui gli utenti di una sala Bingo costituiscono utenza diversa e distinta da quella stanziale propria delle rivendite ordinarie.
4. Le considerazioni che precedono si rafforzano ulteriormente quando la questione di specie venga inserita – come il Collegio ritiene si debba – nel quadro della più recente normativa di liberalizzazione.
A questo proposito, viene in gioco l’art. 83 bis, comma 17, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133 (che peraltro si riferisce solo indirettamente al tema in questione); ma soprattutto l’art. 3, comma 7, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148.
Stabilisce questo comma che “le disposizioni vigenti che regolano l’accesso e l’esercizio delle attività economiche devono garantire il principio di libertà di impresa e di garanzia della concorrenza. Le disposizioni relative all’introduzione di restrizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche devono essere oggetto di interpretazione restrittiva… “.
Poiché la norma rivendica espressamente natura interpretativa ed è perciò naturalmente suscettibile di efficacia retroattiva, essa costituisce un argomento ulteriore per negare che il puro vincolo al rispetto della distanza, recato dalla circolare richiamata in narrativa, possa da solo rappresentare fatto impeditivo al rilascio dell’autorizzazione richiesta (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 dicembre 2011, n. 6378; Id., 12 luglio 2012, n. 4119).
Appare in definitiva evidente che la sentenza impugnata risulta in contrasto con l’esigenza di interpretare restrittivamente disposizioni di natura inibitoria all’esercizio di attività economiche, quale è quella per cui è causa. Ciò altresì milita per l’accoglimento del gravame.
5. Non vi è poi alcun motivo per limitare l’applicazione concreta di queste regole operative – come invece la difesa dell’appellata vorrebbe – ai soli luoghi dettagliatamente elencati nel primo comma dell’art. 53 del d.P.R., apparendo invece del tutto logico che esse debbano valere rispetto a ogni ipotesi di istituzione di rivendite speciali, ovunque cioè – come recita la norma – “siano riconosciute necessità di servizio alle quali non possa sopperirsi mediante rivendita ordinaria o patentino”.
Si aggiunga infine, da un lato, che, nella fattispecie, lo scarto fra la distanza effettiva e quella (in tesi) richiesta dei 250 metri era – secondo il criterio di calcolo meno favorevole alla ******à appellante – inferiore al 10 %, dunque assolutamente trascurabile nell’ottica di valutazione complessiva della richiesta, da operarsi secondo i parametri di cui prima si è detto.
Dall’altro, che l’Amministrazione non aveva trascurato di prendere in esame le effettive esigenze di servizio. La relazione della Guardia di finanza del 7 ottobre 2002 rileva, infatti, le differenze degli orari di utilizzazione e delle platee dei frequentatori fra la rivendita speciale e la rivendita ordinaria “concorrente”, tali da rendere improbabile che l’istituzione dell’una possa rappresentare una ragione di danno per l’altra.
6. Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è fondato e va pertanto accolto, con riforma della sentenza di primo grado e conferma dei provvedimenti impugnati.
Apprezzate le circostanze, peraltro, le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, del rigetta il ricorso di primo grado.
Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2013

Redazione