Il dissesto economico non esonera l’imprenditore dalla responsabilità per il mancato versamento dell’assegno di mantenimento (Cass. n. 16094/2012)

Redazione 21/09/12
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Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Pescara; con sentenza del 10 gennaio 2006, determinava rispettivamente in Euro 8.000 e 7.000 l’assegno divorzile dovuto da D.C.G.A. in favore dell’ex coniuge D.C. e dei figli.

2. Proponeva appello il D.C. esponendo che i due figli – di cui il primo maggiorenne e la seconda prossima alla maggiore età – avevano deciso di andare a vivere presso di lui e conseguentemente avanzava richiesta di riduzione degli assegni.

3. La Corte di appello de L’Aquila dichiarava cessata la materia del contendere quanto all’assegno dovuto per i figli e rigettava la domanda di riduzione dell’assegno in favore della D..

4. Ricorre per cassazione D.C.G.A. affidandosi a tre motivi di impugnazione.

5. Si difende con. controricorso D.C..

6. Le parti presentano memorie difensive.

Motivi della decisione

7. E’ infondata l’eccezione di tardività del controricorso. Sussiste infatti il diritto della controricorrente di avvalersi della sospensione dei termini processuali di cui al D.L. n. 39 del 2009, art. 5, (convertito in L. n. 77 del 2009) emesso in occasione degli eventi sismici che hanno interessato l’Abruzzo il 6 aprile 2009.

Dagli atti risulta l’elezione di domicilio della D., per il giudizio di appello, nello studio dell’avv. **************** in L’Aquila presso il quale è stato notificato il ricorso per cassazione in data 30 marzo 2009. Nè può ritenersi irrilevante tale domiciliazione, come afferma il ricorrente, per essere stata difesa la D. dall’avv.to *************** con studio in Pescara.

L’evento sismico con le conseguenti inagibilità dello studio professionale e degli uffici giudiziari hanno precluso la possibilità di una tempestiva difesa della D. che ha pertanto diritto di avvalersi della sospensione dei termini disposta in via eccezionale dal citato decreto legge (cfr. Cass. civ., sezione 2^, n. 21589 del 12 ottobre 2009 in tema di obblighi del difensore domiciliatario).

8. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., e la omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. Il ricorrente pone alla Corte i seguenti quesiti di diritto: a) se non debba ritenersi elusivo dell’onere probatorio, gravante sulla parte che richieda l’assegno divorzile, circa il tenore di vita goduto durante il matrimonio, l’omessa produzione delle dichiarazioni dei suoi redditi, la mancata allegazione e dimostrazione di fatti, comportamenti, pratiche di vita all’interno del periodo di convivenza rivelatori del dato presupposto per la concessione e la quantificazione dell’assegno; b) se la valutazione del tenore di vita e la reciproca redditività debba esser fatto con esclusivo riferimento al periodo di convivenza matrimoniale; c) se, ai fini della determinazione dell’assegno divorzile siano utilizzabili anche in punto di quantificazione gli accordi raggiunti dalle parti in sede di separazione consensuale e se il raffronto quantitativo tra assegno di mantenimento e assegno divorzile debba essere fatto con riferimento alla data dell’accordo di separazione e a quella della pronuncia di divorzio; d) se possano ritenersi pacifiche circostanze mai contestate o dedotte in giudizio e se da tale prima deduzione possa trarsene una ulteriore di inattendibilità di un fatto contrario documentato dalla parte resistente.

9. Il motivo è inammissibile quanto alla deduzione di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia che non è stato affatto indicato dal ricorrente come invece richiede l’art. 366 bis, applicabile ratione temporis alla controversia.

10. Vanno quindi esaminati i quattro quesiti di diritto in relazione alle indicate violazioni di legge di cui si assume inficiata la sentenza della corte di appello.

10.1. Il primo quesito da per scontata la mancata produzione della dichiarazione dei redditi da parte della D. che quest’ultima invece contesta affermando di avervi provveduto in sede di deposito della memoria istruttoria del 23 maggio 2000. Parimenti la D. contesta di non aver indicato su quali voci del patrimonio del D. C. si fondasse la sua richiesta di determinazione dell’assegno divorzile e fa riferimento alla citata memoria del 23 maggio 2000 nella quale era stato inserito un dettagliato prospetto relativo alla situazione patrimoniale del D.C. ed erano stati evidenziati una serie di elementi relativi alle sue disponibilità finanziarie e al suo tenore di vita in costanza di matrimonio e nel periodo successivo alla separazione. Va inoltre ribadito quanto già in precedenza chiarito da questa Corte con riferimento alla norma di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 9, nel testo novellato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, che, in tema di riconoscimento e determinazione dell’assegno divorzile, stabilisce che “in caso di contestazioni, il Tribunale dispone indagini sui redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”. L’esercizio di tale potere di disporre indagini patrimoniali con l’ausilio della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e non può essere considerato anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche; tale discrezionalità, tuttavia, incontra un limite nella circostanza che il giudice, potendosi avvalere di siffatto potere, non può rigettare le istanze delle parti relative al riconoscimento e alla determinazione dell’assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano, giacchè in tal caso il giudice ha l’obbligo di disporre accertamenti d’ufficio (avvalendosi anche della polizia tributaria). Nella specie tali indagini sono state disposte e da tali indagini il Tribunale e la Corte di appello hanno desunto la disponibilità in capo al D.C. di risorse patrimoniali e finanziarie, menzionate nella motivazione della sentenza impugnata, tali da giustificare la imposizione di un assegno divorzile determinato in 8.000 Euro mensili. Le violazioni di legge cui fa riferimento il quesito sono pertanto insussistenti.

10.2. Il secondo quesito pone una questione non conferente rispetto alla decisione impugnata in quanto la determinazione del tenore di vita e delle potenzialità reddituali presuppone necessariamente un confronto in cui i due termini da prendere in considerazione sono il tenore di vita goduto dai coniugi nel corso del matrimonio e l’effetto dello scioglimento del matrimonio sulle condizioni reddituali ed economiche individuali di ognuno di essi. Tale accertamento è stato compiuto dai giudici di merito che hanno potuto affermare come i coniugi godessero di un tenore di vita elevatissimo nel corso della loro vita matrimoniale e come per effetto dello scioglimento del matrimonio tale condizione è destinata a permanere senza mutamenti per quanto riguarda il D.C. mentre è invece destinata a mutarsi nel suo opposto per quanto riguarda la D. se non viene riequilibrata da un consistente assegno divorzile tale da consentirle di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. Nel fare ciò i giudici del merito hanno adottato una decisione conforme al criterio fondamentale indicato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sezione 1^, n. 4764 del 28 febbraio 2007 e n. 15611 del 12 luglio 2007) secondo cui:

a) l’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto; b) a tal fine, il tenore di vita precedente deve desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali.

10.3 Il terzo quesito pone anch’esso una questione non direttamente conferente rispetto alla decisione impugnata che si è attenuta anche in questo caso al criterio indicato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la determinazione dell’assegno di divorzio, alla stregua della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, costituendo effetto diretto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che l’assetto economico stabilito all’atto della pregressa separazione personale costituisce solo un elemento utile di valutazione nel contesto degli ulteriori dati presuntivi emersi, suscettibili di essere apprezzati in favore della parte richiedente l’assegno, per il principio di acquisizione presente nel vigente ordinamento processuale – in base al quale le risultanze istruttorie comunque ottenute concorrono alla formazione del convincimento del giudice -, anche in assenza della prova da parte del richiedente stesso della sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per l’attribuzione dell’assegno in questione (Cass. civ., sezione 1^, n. 15278 del 27 luglio 2005).

10.4. Il quarto quesito è formulato in modo del tutto generico tale da renderlo inammissibile. In ogni caso va rilevato come la decisione della Corte di appello si basi sulle acquisizioni conseguite attraverso le indagini svolte nel giudizio di primo grado che a giudizio della Corte territoriale attestano un macroscopico squilibrio fra le posizioni economiche dei due ex coniugi.

11. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., nonchè omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Il ricorrente pone alla Corte i seguenti quesiti di diritto: a) se, intervenuta tra i coniugi la separazione consensuale, possano nel successivo giudizio di divorzio, ritenersi privi di alcun rilievo, ai fini dell’indagine sulla responsabilità del fallimento dell’unione, circostanze e comportamenti dei coniugi antecedenti alla separazione e che di questa furono causa; b) se possa negarsi ingresso alla prova avente ad oggetto i comportamenti contrari alla morale della famiglia tenuti da un coniuge prima e dopo la separazione consensuale, nel giudizio in cui si controverte della debenza e della misura dell’assegno divorzile; c) se al coniuge resosi responsabile di comportamenti contrari all’ordine e alla morale della famiglia (plurime relazioni adulterine, abuso di alcol e psicofarmaci) possa e debba essere riconosciuto l’assegno divorzile e in misura non diversa da quella spettante al coniuge incolpevole.

12. Il motivo di ricorso deve considerarsi inammissibile in quanto tende a riproporre un accertamento sulla responsabilità della separazione che è precluso dall’omologazione della separazione consensuale intervenuta a suo tempo fra il D.C. e la D.. In questo senso deve essere interpretata, come correttamente ha fatto la Corte di appello, la giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di assegno di divorzio, il criterio delle “ragioni della decisione” previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, se per un verso postula una indagine sulla responsabilità del fallimento del matrimonio in una prospettiva comprendente l’intero periodo della vita coniugale, e quindi in una valutazione che attenga non soltanto alle cause determinative della separazione, ma anche al successivo comportamento dei coniugi che abbia concretamente costituito un impedimento al ripristino della comunione spirituale e materiale ed alla ricostituzione del consorzio familiare, per altro verso deve essere inteso nel senso che il comportamento dei coniugi anteriore alla separazione resta pur sempre separato ed assorbito dalla valutazione effettuata al riguardo dal giudice della separazione (Cass. civ., sezione 1^, n. 15055 del 22 novembre 2000 che ha confermato una decisione con la quale il giudice di merito, preso atto della pronuncia senza addebito della separazione, non aveva attribuito rilievo, ai fini dell’assegno di divorzio, alla pregressa relazione extraconiugale di uno dei coniugi). Per quanto riguarda il comportamento successivo alla separazione esso può avere rilevanza solo se ha impedito o concorso a impedire la ricostituzione del consorzio familiare e ciò evidentemente presuppone che sussistesse una volontà in tal senso dell’altro coniuge. Nella specie non solo non risulta che il D. C. abbia dedotto una tale volontà ma la Corte ha potuto riscontrare che nel giudizio di divorzio le parti si sono addebitate reciprocamente “plurime condotte infedeli”. Lo stesso giudizio di separazione, conclusosi con la omologazione della separazione è stato introdotto dal D.C.. Sulla base di tutti questi elementi la Corte di appello ha ritenuto irrilevanti le richieste istruttorie del D.C. sul comportamento della D. successivo alla separazione.

13. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., e la omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. Il ricorrente pone alla Corte i seguenti quesiti di diritto: a) se possa il giudice del merito, nella complessiva valutazione degli elementi di quantificazione dell’assegno divorzile, quali enunciati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, prescindere del tutto dal contributo dato alla formazione del patrimonio familiare da parte del coniuge richiedente l’assegno, eludendo sul punto la risposta da darsi a specifico motivo di gravame; b) se, in ipotesi di patrimonio costituito esclusivamente da cespiti rinvenienti da successione ereditaria ed in mancanza di incrementi, possa immaginarsi un contributo alla formazione di tale patrimonio da parte del coniuge richiedente l’assegno.

14. Il motivo è infondato. Non è condivisibile l’affermazione del ricorrente per cui il giudice di appello non avrebbe considerato fra i criteri per la determinazione dell’assegno il contributo dato dal coniuge richiedente al patrimonio familiare. La Corte di appello ha invece dato atto dell’abbandono dell’insegnamento da parte della D., subito dopo il matrimonio, e ha ritenuto provata la motivazione addotta dalla D. secondo cui fu proprio il marito a richiederle di dedicarsi alla cura dei figli, al lavoro domestico e alle relazioni sociali della famiglia. Evidentemente il giudice di merito ha ritenuto tale criterio non idoneo a influire negativamente sulla determinazione dell’assegno divorzile.

15. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 5.200 di cui 200 per spese.

Redazione