Corte di Cassazione Penale sez. VI 18/6/2009 n. 25537; Pres. Milo N.

Redazione 18/06/09
Scarica PDF Stampa
FATTO

Con sentenza in data 11 aprile 2007 il Tribunale di Livorno dichiarava G.V. colpevole di due delitti di abuso d’ufficio ex artt. 81 cpv. e 323 c.p., cosi modificata l’originaria imputazione ex art. 314 c.p., per avere, in qualità di Prefetto della Provincia di (omissis), con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, disposto e consentito l’utilizzo di autovetture e personale di servizio per scopi estranei ai compiti d’istituto, in particolare per accompagnamenti della moglie in vari viaggi a (omissis) (capo a) e qualche viaggio a (omissis) (capo e) e, concesse le attenuanti generiche la attenuante ex art. 323 bis c.p., le condannava atta pena di mesi sette di reclusione. Con la stessa sentenza il Tribunale lo assolveva invece dall’imputazione ex art. 314 c.p., per avere, nella qualità, disposto e consentito l’impiego di personale di servizio in lavori di rimessaggio del proprio natante (capo f).

Su appello del P.M. e dell’imputato, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 16 giugno 2008 dichiarava l’imputato colpevole anche del reato di cui al capo f), riqualificato sub specie di art. 323 c.p., rideterminando la pena inflitta in mesi nove di reclusione, confermando nel reste la pronuncia del Tribunale.

Propone ricorso per cassazione l’imputato, denunciando:

– violazione di legge e vizio di motivazione, per non avere la Corte di merito rilevato, in relazione alle ritenute ipotesi di abuso d’ufficio, l’insussistenza del reato e la genericità dei capi d’imputazione, per la mancata indicazione di precise norme di legge o regolamento violate, non bastando comunque all’uopo il riferimento ai R.D. 3 aprile 1926 recante il regolamento sull’uso delle autovetture di Stato;

– vizio di motivazione, in relazione alla mancata rilevazione dei presupposti per un proscioglimento ex art. 530 cpv. c.p.p., stante l’incertezza e insufficienza del quadro probatorio e l’irrilevanza economica e funzionale dei presunti sporadici utilizzi di autovetture e personale di servizio;

– vizio di motivazione, in relazione all’erronea valutazione delle risultanze processuali, inidonee a comprovare che il prevenuto abbia effettivamente disposto o consentito l’utilizzo di autovetture e personale di servizio da parte della moglie, essendo viceversa emerso che tanto è sporadicamente avvenuto in tempi non precisati, senza che il G. potesse neppure avvedersene, per autonoma iniziativa di della moglie, che si riteneva a tanto autorizzata nella veste di Presidente Onoraria della locale sezione femminile della Croce Rossa e che talora poneva in essere detto utilizzo per esigenze istituzionali dello stesso Ufficio del marito;

– violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’impropria valorizzazione della deposizione del teste A. nonostante il riconosciuto astio da lui nutrito nei confronti del prevenuto;

– vizio di motivazione, in relazione alla dedotta inidoneità, per il suo tenore e la natura delle fonti integrativo – attuative, del R.D. 3 aprile 1926 a integrare il presupposte della violazione di legge rilevante ai fini dell’abuso d’ufficio;

– violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’omessa rilevazione dell’assenza, emergente dal materiale probatorio, del dolo intenzionale richiesto dalla nuova formulazione del delitto di abuso d’ufficio;

– violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alle eccezioni di incompleta produzione di atti da parte del P.M. e conseguente violazione del diritto di difesa;

– vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta responsabilità per il capo f), frutto di una lettura erronea e travisata delle risultanze processuali;

– in via subordinata, l’intervenuta prescrizione dei reati ascritti.

DIRITTO

Palesemente infondata è la doglianza relativa alla genericità dei capi d’imputazione, stante il dettagliato tenore dei medesimi e l’ampiezza dell’esercizio delle facoltà di difesa che l’imputato ha dispiegato riguardo alle accuse ivi mosse.

Nè efficace in contrario e ai fini della pretesa inconfigurabilità del delitto di abuso d’ufficio appare la deduzione in ordine alla mancata indicazione di precise norme di legge o regolamento violate.

Sufficiente e pertinente allo scopo deve infatti il riferimento al R.D. 3 aprile 1926 recante il regolamento sull’uso delle autovetture di Stato, da attendersi all’evidenza come rivolte alle norme specificamente disciplinanti i limiti di legittimità di tale uso (v. in particolare gli artt. 1 e 2), certamente non ignote a un Prefetto e che ben sono state individuate dalla difesa.

Quanto alla dedotta irrilevanza economica e funzionale degli sporadici utilizzi di autovetture e personale di servizio, si osserva che, ai fini del delitto ex art. 323 c.p., non rilevano le disfunzioni o l’entità del danno in sè per la P.A. (su cui comunque la Corte di merito ha non illogicamente motivato), ma solo un (ingiusto) vantaggio patrimoniale procurato dall’agente a sè o a terzi, sulla cui sussistenza nella specie non possono nutrirsi dubbi, tenuto conto dell’oggettivo e non irrilevante valore economico (dal punto di vista del fruitore) del consumo di carburante, del costo di mercato dell’utilizzo del mezzo e delle ore di impegno del personale.

Di carattere fattuale e inidonee a evidenziare vizi del percorso argomentativo dei giudici di merito apprezzabili in questa sede sono le censure in ordine alla pretesa incertezza e insufficienza del quadro probatorio circa l’effettività dei "viaggi" posti in essere dalla moglie del prevenuto per esigenze esulanti dai compiti d’ufficio e alla circostanza che il prevenuto abbia effettivamente disposto o consentito, col dolo intenzionale richiesto dalla nuova formulazione del delitto di abuso d’ufficio, il detto utilizzo di autovetture e personale di servizio da parte della moglie.

Al riguardo, oltre alla argomentata ricostruzione, già fatta dal primo giudice (e non adeguatamente contrastata da convalidate risultanze o utili deduzioni avverse), dei viaggi e della loro estraneità ad esigenze d’ufficio, con conseguenti inequivoche finalità di approfittamento privalo, vanno richiamati i rilievi della Corte di merito sulla conoscenza da parte del prevenuto, dei movimenti effettuati dalla moglie con la macchina di servizio da lui fatta predisporre e poi utilizzata dalla predetta. Tali rilievi sono basati non illogicamente sull’assenza di elementi indicativi di criticità del rapporto coniugale e sulla generale cognizione da parte del G. (per il ruolo rivestito, e indipendentemente da specifici momenti di rendicontazione) dei movimenti delle autovetture disponibili, e risultano decisivamente corroborati (anche ai fini della piena integrazione dell’elemento soggettivo) dall’attestazione di espliciti ordini, dati dal prevenuto, di accompagnare la consorte con l’autovettura di servizio, riveniente dalla richiamata deposizione del teste A., sulla cui non illogica valorizzazione da parte dei giudici di merito il ricorrente ha mosso rilievi di carattere fattuale e non apprezzabili in questa sede.

Infondata è la doglianza relativa alla dedotta inidoneità, per il suo tenore e la natura delle fonti integrativo – attuative, del R.D. 3 aprile 1926 a integrare il presupposto della violazione di legge rilevante ai fini dell’abuso d’ufficio. Le norme regolamentari che vengono in rilievo ai fini di causa (artt. 1 e 2) sono, invero, sufficientemente chiare nella loro portata inibitoria, tale da renderne oggettivamente rilevante la violazione agli effetti della fattispecie incriminatrice in discorso.

Nè la previsione, nell’art. 13 del cit. R.D., della responsabilità disciplinare per le violazioni delle norme regolamentari può certo considerarsi preclusiva di quella penale, ove di quest’ultima ricorrano gli estremi. Essa, infatti, non configura una specifica ipotesi di illecito amministrativo, alternativa alla perseguibilità penale, ma si limita a contemplare in modo generico la rilevanza disciplinare delle contravvenzioni al regolamento, nulla disponendo sulla loro parallela rilevanza, in presenza di tutti i presupposti di legge, agli effetti penali.

Sulle eccezioni di incompleta produzione di atti da parte del P.M. e conseguente violazione del diritto di difesa, si osserva che il ricorrente, richiamandosi a una serie di eccezioni processuali sollevate sin dal giudizio di primo grado, ha insistito sulla doglianza, lesiva a suo dire dei diritti di difesa, che non risultano mai prodotti in causa l’esposto – denunzia contenente la "norma criminis" e gli atti di proroga delle indagini preliminari.

Ora, da un lato è noto che l’omissione del deposito di atti dell’indagine preliminare da parte del P.M. comporta l’inutilizzabilità degli atti stessi, ma non la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il giudizio (v., fra le altre, Cass. 11.01.2007 n. 8049);

dall’altro, va rilevato che la rilevanza, ai fini della dedotta lesione dei diritti di difesa, delle denunciate omissioni, non è stata in alcun modo illustrata, con riferimenti e argomenti specifici, dal ricorrente.

Le censure in ordine alla dedotta lettura erronea e travisata delle risultanze processuali quanto al capo i) non sono tali da condurre a un immediato proscioglimento del prevenuto nel merito e risultano pertanto irrilevanti per quanto si dirà in ordine all’eccezione di prescrizione.

Il ricorrente ha dedotto l’intervenuta prescrizione dei reati ascritti. Tale eccezione è fondata per quanto concerne i reati di cui ai capi E) e F) della rubrica. Infatti, in relazione ad essi, la contestazione fa generico riferimento al periodo dal (omissis). Poichè nessuna ulteriore specificazione è intervenuta nel corso del giudizio, la regola del "favor rei" impone di collocare la commissione dei reati non dopo il (omissis), con conseguente maturazione del periodo massimo di prescrizione.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio limitatamente ai reati sub E) e F), perchè estinti per prescrizione, con eliminazione della relativa pena di mesi cinque di reclusione.

Diverso è invece il discorso per quanto concerne il reato di cui al capo A). Qui, infatti, la commissione dei fatti, secondo la argomentata ricostruzione effettuata dal primo giudice (v. p. 6 della sentenza di primo grado), idonea a superare anche le obiezioni difensive sollevate al riguardo, si colloca temporalmente fra l’ (omissis), onde non può ritenersi decorso il periodo prescrizionale di sette anni e mezzo.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e 620 c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati sub E) e F), perchè estinti per prescrizione, ed elimina la relativa pena di mesi cinque di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.

Redazione