Corte di Cassazione Penale sez. I 29/4/2009 n. 17854; Pres. Silvestri G.

Redazione 29/04/09
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RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 3.10.08, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato l’istanza di riesame, proposta da D.P.R., P.A., R.L.M.M. e dalla s.r.l.

"GLOBAL MEDICAL SERVICE" avverso il provvedimento del G.I.P. presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 29.1.07, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo delle azioni della s.p.a.

"ATHENA", intestate alla s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE", in relazione al delitto di cui all’art. 2636 c.c. (determinazione di una nuova maggioranza assembleare mediante atti simulati).

Va rilevato che il medesimo Tribunale, con precedente ordinanza del 27.2.07, aveva accolto l’istanza di riesame proposta dai medesimi D. P.R., P.A., R.L.M.M. ed s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE" avverso U provvedimento del G.I.P. di cui sopra, ritenendo che gli atti compiuti fossero leciti, non essendo stata ravvisata in essi una simulazione per interposizione fittizia, ma una mera interposizione reale.

Il P.M. presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva proposto ricorso per cassazione avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame del 27.2.07, rilevando che gli atti simulati, indicati dall’art. 2636 c.c., non dovevano essere intesi in senso civilistico, in quanto il reato di cui all’art. 2636 c.c. poteva ben essere integrato con la sola elusione della legge e dello statuto, anche se effettuata con atti formalmente leciti.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 20.9 2007, aveva accolto il ricorso proposto dal P.M., ritenendo che la locuzione "atti simulati" contenuta nell’art. 2636 c.c. non andava intesa in senso civilistico, ma doveva essere inquadrata in una tipologia di comportamenti più ampia, come poteva desumersi dal riferimento, contenuto nella norma anzidetta, anche agli "atti fraudolenti" e che non era idonea ad escludere il reato di cui all’art. 2636 c.c. il fatto che nell’atto incriminato vi fosse stata un’interposizione reale, ovvero un "pactum fiduciae", in quanto l’operazione doveva essere esaminata nel suo complesso, onde verificare se con essa si fosse realizzato un artificioso stratagemma per conseguire un risultato non voluto dalla legge.

La Corte aveva quindi annullato il provvedimento, con rinvio al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per nuovo esame.

In esito a tale ulteriore esame, il Tribunale con ordinanza del 3.10.08 ha respinto il ricorso proposto da D.P.R., P.A., R.L.M.M. ed s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE", affermando che il reato di cui all’art. 2636 c.c. mirava ad impedire che le maggioranze assembleari si determinassero con simulazione o frode, da valutare non nella loro accezione civilistica, ma in modo autonomo, come qualsiasi attività ingannatoria idonea ad offrire, al momento della delibera assemblare, una falsa rappresentazione della realtà.

Nel caso in esame era stato accertato che R.L.M. M., socio della s.p.a. "ATHENA", aveva esercitato il diritto di opzione su 14.499 nuove azioni, emesse dalla società al valore nominale di Euro 5,00 ciascuna e sovrapprezzo di Euro 46,73; che il R. si era accordato con la s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE" e la s.r.l. "C.M.P." nel senso che avrebbe ricevuto da dette due società il corrispettivo chiesto per la sottoscrizione dell’aumento di capitale (Euro 749.826,35) e si sarebbe obbligato a cedere alla prima 7.247 nuove azioni ed alla seconda 7.248 azioni di nuova emissione;

che, in seguito, la s.r.l. "I.N.M. NEUROMED" si era surrogata ai diritti spettanti alla s.r.l. "C.M.P."; che tale D.P.R. aveva anticipato a R.L.o la somma di Euro 749.826,35, richiesta per sottoscrivere le azioni di nuova emissione della s.p.a.

"ATHENA", effettuando un finanziamento di pari importo alla s.r.l.

"GLOBAL MEDICAL SERVICE", si che il R. aveva sottoscritto tutte le nuove azioni emesse dalla s.p.a. "ATHENA", in tal modo conseguendo il controllo di tale ultima società, il che gli aveva consentito di nominare un nuovo consiglio di amministrazione, il quale aveva estromesso i soci fondatori ( F.M., nonchè tali G. e PI.); aveva azzerato il capitale per ripianare pregresse perdite; aveva rifinanziato il capitale sociale, conseguendo in tal modo il controllo della società.

La condotta del R. era stata quindi ritenuta fraudolenta, in quanto, con le manovre sopra descritte, egli, pur avendo agito quale mandatario senza rappresentanza, finanziato principalmente dalla s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE", aveva pur sempre aggirato la disciplina del diritto di opzione spettante ai soci, consentendo ad estranei ed in particolare alla s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE" di acquisire il controllo della società.

Sussisteva poi il cd. "periculum in mora", in quanto l’art. 2641 c.c. prevedeva la confisca del prodotto o del profitto del reato di cui all’art. 2636 c.c.; e nel caso in esame le azioni acquistate dal R. e poi cedute alla s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE" rappresentavano appunto il profitto del reato.

Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame D.P. R.; R.L.M.M.; P.A. e D. M.C., quale legale rappresentante della s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE" hanno proposto ricorso per cassazione per il tramite dei rispettivi difensori, che hanno dedotto i seguenti motivi di ricorso:

L’UNICO MOTIVO PROPOSTO DAL DIFENSORE DEL D.P. E DEL R.:

– violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 2636 c.c., nonchè in relazione all’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. a):

il G.I.P. con l’ordinanza impugnata aveva visto il ricorrente R. come un mero prestanome di D.P.R. e P.A., sì da realizzare una simulazione soggettiva, tale da far luogo al reato contestato.

Il Tribunale, in sede di primo riesame, aveva escluso la sussistenza di atti simulati o fraudolenti, in quanto il R. aveva agito come mandatario senza rappresentanza e le operazioni compiute rientravano in una normale dialettica societaria.

Questa Suprema Corte di Cassazione, adita dal P.M., aveva accolto il ricorso proposto da quest’ultimo avverso il provvedimento di accoglimento del Tribunale del riesame ed aveva rimesso gli atti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per nuovo esame, ritenendo che, per aversi il reato ipotizzato, non occorreva guardare tanto alla liceità dei singoli atti posti in essere, quanto al raggiungimento di un risultato che la legge o lo statuto non consentivano.

La complessa vicenda aveva generato un mostro giuridico, in quanto erano state adottate soluzioni giuridiche incomprensibili, irrazionali ed estranee sia alla logica che all’ordinamento giuridico.

Non era condivisibile che atti giuridicamente leciti potessero determinare conseguenze penalmente rilevanti, in quanto ciò che era civilisticamente lecito non poteva trasformarsi in illecito penale.

Il fine illecito non poteva consistere nell’acquisizione della maggioranza societaria; e nella specie non poteva parlarsi di condotta fraudolenta, in quanto non era stato indicato in cosa consistesse detta frode.

La Suprema Corte di Cassazione aveva affermato il principio di diritto secondo cui il reato ipotizzato poteva sussistere anche in presenza di atti leciti, si che occorreva individuare un risultato che la legge o lo statuto sociale non avrebbe altrimenti consentito.

Al contrario il Tribunale, in sede di seconda lettura, non aveva individuato la sussistenza di obiettivi illeciti, atteso che la sottoscrizione delle azioni da parte del R., socio di minoranza, era avvenuta nel disinteresse degli altri soci della s.p.a. "ATHENA" a sottoscrivere l’aumento del capitale sociale e con comportamenti pienamente trasparenti;

L’UNICO MOTIVO PROPOSTO DAL DIFENSORE DEL P.:

– erronea applicazione della legge penale l’art. 2636 c.c. in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b):

Il Tribunale del riesame, con la prima ordinanza del 27.2.07, aveva ritenuto pienamente lecita la condotta contestata ai ricorrenti.

La Corte di Cassazione, nell’annullare con rinvio detta ordinanza, aveva ritenuto che la locuzione "atti simulati" contenuta nell’art. 2636 c.c. non doveva essere intesa in senso meramente civilistico, sì da ricomprendere ogni comportamento idoneo a creare una falsa rappresentazione della realtà, dalla quale fosse derivata un’alterazione della maggioranza assembleare.

Pertanto il Tribunale del riesame, in sede di rinvio, avrebbe dovuto verificare se l’attività contrattuale posta in essere dal R. avesse in qualche modo eluso la legge o lo statuto sociale, per conseguire un risultato finale (nella specie il controllo della società da parte della s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE").

Tale risultato finale non era invero impedito dalla legge o dallo statuto sociale, in quanto la procedura di collocazione delle azioni di nuova emissione non era stata influenzata da interventi fraudolenti del socio R., che si era limitato ad esercitare il proprio diritto di opzione senza incidere sull’autonoma volontà degli altri soci di non aderire all’iniziativa; e la successiva promessa di vendita delle azioni da parte del R., socio sottoscrittore, era un post factum penalmente irrilevante;

I TRE MOTIVI PROPOSTI DAL LEGALE RAPPRESENTANTE DELLA S.R.L. "GLOBAL MEDICAL SERVICE":

1) – violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento all’art. 649 c.p.p. (cd. giudicato cautelare):

da un’attenta lettura degli atti processuali era desumibile che il P.M. aveva proposto ricorso per cassazione solo con riferimento alla posizione di D.P.R., P.A. e R.L. M.M.; pertanto il provvedimento del Tribunale del riesame del 27.2.07 era diventato definitivo con riferimento alla s.r.l.

"GLOBAL MEDICAL SERVICE"; si era pertanto formato nei confronti di essa società il giudicato cautelare; e non era condivisibile quanto sostenuto dal Tribunale con il provvedimento impugnato, secondo cui il ricorso del P.M. in cassazione aveva avuto ad oggetto tutto intero il precedente provvedimento del Tribunale datato 27.2.07.

Si era pertanto verificata un’assoluta carenza di motivazione sul punto;

all’art. 178 c.p.p., lett. c), art. 179 c.p.p., comma 1 e art. 627 c.p.p., comma 4:

la s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE" non era stata comunque messa condizione di esercitare le proprie difese innanzi alla Corte di Cassazione e la motivazione adotta sul punto dal Tribunale del riesame era contraddittoria, perchè, se pure da un lato aveva ammesso che il procedimento innanzi alla Corte di Cassazione era affetto da nullità assoluta, per omessa notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza di trattazione ad essa ricorrente, dall’altra aveva ritenuto che si trattasse di nullità non rilevabile ex art. 627 c.p.p. nel giudizio di rinvio; tuttavia tale ultima norma non escludeva l’eccezione di nullità verificatesi nel corso del giudizio di Cassazione; e rimaneva il fatto che essa società ricorrente non aveva potuto esplicare in modo completo il proprio diritto di difesa.

Sussisteva quindi sia violazione di legge, sia una palese contraddittorietà della motivazione;

3) violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 2636 c.c., nonchè in relazione all’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. a):

il G.I.P. aveva ritenuto che, nella specie, l’operazione societaria posta in essere dal R. dovesse essere configurata come un’illecita scalata societaria, cui si sarebbe pervenuti con modalità scorrette, ravvisando il reato di cui all’art. 2636 c.c..

Il Tribunale, col provvedimento impugnato, aveva ritenuto che le condotte realizzate, pur lecite sotto il profilo civilistico, erano penalmente rilevanti perchè fraudolente, in quanto avrebbero permesso di raggiungere un risultato che la legge non avrebbe consentito.

La complessa vicenda aveva generato un mostro giuridico, in quanto erano state adottate soluzioni giuridiche incomprensibili, irrazionali ed estranee sia alla logica che all’ordinamento giuridico.

Non era condivisibile che atti giuridicamente leciti potessero determinare conseguenze penalmente rilevanti, in quanto ciò che era civilisticamente lecito non poteva trasformarsi in illecito penale.

Il fine illecito non poteva consistere nell’acquisizione della maggioranza societaria; e nella specie non poteva parlarsi di condotta fraudolenta, in quanto non era stato indicato in cosa consistesse detta frode.

La Suprema Corte di Cassazione aveva affermato il principio di diritto secondo cui il reato ipotizzato poteva sussistere anche in presenza di atti leciti, si che occorreva individuare un risultato che la legge o lo statuto sociale non avrebbe altrimenti consentito.

Al contrario il Tribunale, in sede di seconda lettura, non aveva motivato in ordine alla sussistenza di obiettivi illeciti, atteso che la sottoscrizione delle azioni da parte del R., socio di minoranza, era avvenuta nel disinteresse degli altri soci della s.p.a. "ATHENA" a sottoscrivere l’aumento del capitale sociale e con comportamenti pienamente trasparenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Deve premettersi che non sussiste l’effetto preclusivo che la s.r.l. Global Medicai Service ha fatto derivare da un supposto giudicato cautelare per l’evidente ragione che il ricorso del P.M. ha investito la decisione del Tribunale del riesame nella sua globalità, sicchè la pronuncia di annullamento ha tenuto fermo il vincolo cautelare nei confronti di tutti i soggetti titolari di diritti sulle azioni assoggettate alla misura cautelare del sequestro preventivo. Ciò posto, il tema di indagine del presente giudizio di legittimità consiste nell’accertare se il giudice di rinvio abbia o non osservato la regola dettata dall’art. 627 c.p.p., comma 3, ("il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa") e dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2 ("nel caso di annullamento con rinvio, la sentenza enuncia specificamente il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi").

Al riguardo mette conto osservare che il principio di diritto è vincolante non solo per il giudice di rinvio, ma anche per la stessa Corte di cassazione investita del ricorso ex art. 628 c.p.p., comma 2, con cui venga denunciata l’inosservanza della disposizione di cui all’art. 627 c.p.p., comma 3, consistendo l’oggetto del secondo giudizio di legittimità nel controllo dell’esatto adempimento dell’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi al dictum contenuto nella sentenza di annullamento: ditalchè, qualora ciò non si sia verificato, la Corte di legittimità dovrebbe comunque pronunciare un nuovo annullamento, ancorchè, in ipotesi, dovesse ritenere errato il principio di diritto non osservato nel giudizio di rinvio.

2. – L’art. 2636 c.c. denominato "illecita influenza sull’assemblea", introdotto dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, art. 1, comma 1, dispone che "chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea allo scopo di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni".

Esso si differenzia sia sotto il profilo della condotta che sotto il profilo dell’elemento soggettivo dalla precedente analoga ipotesi criminosa, prevista dall’art. 2630 c.c., comma 1, n. 3, abrogato dal citato D.Lgs. n. 61 del 2002, anche se il reato ipotizzato dall’art. 2636 c.c., in quanto ricompreso nella più ampia previsione criminosa di cui all’abrogato art. 2630 è da ritenere in relazione di continuità normativa con quest’ultima norma (cfr. Cass. 5A, 20.2.2004 n. 1242, P.M. in proc. Barella ed altri, rv. 227748).

Il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice è identificabile nel corretto funzionamento dell’organo assembleare, assicurato dal rispetto del principio maggioritario, attraverso cui si esprime la volontà assembleare e si attua l’interesse sociale: in sostanza, la disposizione mira a tutelare la trasparenza e la regolarità del processo formativo della volontà dell’assemblea.

E’ concorde l’opinione che qualifica il delitto in esame come reato di evento, che si perfeziona con l’effettiva determinazione di una maggioranza assembleare non genuina in conseguenza di atti simulati o fraudolenti. Questa particolare connotazione della condotta criminosa giustifica la classificazione nella categoria dei reati a forma vincolata, in quanto l’evento deve essere il risultato di atti simulati o fraudolenti, tali, cioè, da palesare una realtà difforme da quella effettiva, ovvero idonei a trarre in inganno e a provocare la deviazione della volontà assembleare verso deliberazioni divergenti da quelle che sarebbero state adottate in assenza della simulazione o della frode.

Sotto il profilo psicologico il reato in esame è caratterizzato dal dolo specifico, in quanto l’agente, oltre ad avere la consapevolezza di determinare la maggioranza assembleare mediante atti simulati o fraudolenti, deve agire al fine di perseguire per sè o per altri un ingiusto profitto, che può essere anche di natura non patrimoniale.

E nella giurisprudenza di questa Corte sono stati ravvisati gli estremi del delitto ex art. 2636 c.c. nel comportamento dell’amministratore unico di una società che, per aggirare il divieto di voto per conflitto di interessi, sancito dall’art. 2373 c.c., abbia simulato la vendita della proprio quota a due dipendenti, per consentire l’esercizio di voto legato a tale quota, impedendo, tramite il voto contrario espresso dagli apparenti acquirenti, l’adozione di una delibera per il promovimento dell’azione di responsabilità nei suoi confronti (cfr. Cass. 5A, 19.1.2004 n. 7317, ******* e altro, rv. 228080).

3. – Nell’analisi ricostruttiva della struttura della fattispecie ex art. 2636 c.c. occorre tenere presente la segnalata relazione di continuità normativa esistente con la figura di reato delineata dal previgente art. 2630 c.c., comma 1, n. 3, a norma del quale il reato poteva essere commesso con tre distinte modalità di condotta, vale a dire o valendosi di azioni o di quote non collocate, o facendo esercitare sotto altro modo il diritto di voto spettante alle azioni o quote intestate agli amministratori o, infine, utilizzando altri mezzi illeciti. Le diverse modalità di esternazione della condotta sono state sostituite nell’art. 2636 c.c. dal compimento di atti simulati o fraudolenti al dichiarato fine di superare le interpretazioni divergenti affiorate nel vigore della precedente normativa, anche se il testo dell’innovazione legislativa non è riuscito a dissolvere tutte le ambiguità ermeneutiche e se una parte della dottrina ha considerato la nuova formulazione – per la sua elasticità – non pienamente rispondente al principio di legalità della legge penale a causa di un deficit di determinatezza e di tassatività.

Tra i commentatori della legislazione di riforma del diritto societario ha vasto seguito l’opinione secondo cui le nozioni di simulazione e di frode, che figurano nell’art. 2636 c.c., non coincidono con le definizioni normative proprie del diritto civile, dovendo essere interpretate in modo autonomo per designare qualsiasi condotta che, producendo l’effetto della immutatio veri, risulti idonea ad offrire una falsa rappresentazione della realtà e ad ingenerare l’inganno, ponendosi quale fattore di turbativa del regolare processo di formazione della volontà dell’assemblea.

A questa linea di pensiero ha aderito la sentenza di annullamento del 20.9.2007 allorchè ha ritenuto che la locuzione "atti simulati" abbia una portata più ampia dell’accezione civilistica, per la ragione che essa non evoca soltanto l’istituto della simulazione regolato dagli artt. 1414 c.c. e ss., ma include qualsiasi operazione che artificiosamente permetta di alterare la formazione delle maggioranze richieste per l’approvazione delle deliberazioni assembleari e di conseguire, così, risultati vietati dalla legge o dallo statuto della società.

In una siffatta prospettiva sono state indicate quali situazioni riconducibili nella fattispecie di reato prefigurata dall’art. 2636 c.c.:

– il comportamento del socio, che si avvalga di azioni o quote non collocate, intendendo per tali quelle non vendute, ovvero quelle per le quali il socio non abbia effettuato, nei termini prescritti, il versamento di quanto dovuto;

– il comportamento del socio che, occultando la mora nei versamenti, che gli precluderebbe il diritto di voto, tragga in inganno l’assemblea, facendosi apparire come portatore di un diritto di voto, del quale in realtà non è titolare;

– le dichiarazioni mendaci o reticenti, provenienti dagli amministratori o dai terzi, con le quali l’assemblea od i singoli soci vengano tratti in inganno sulla portata o convenienza di una delibera;

– l’incetta di deleghe fraudolentemente realizzata in violazione dei limiti posti dall’art. 2372 c.c.;

– la maliziosa convocazione di un’assemblea in tempi o luoghi tali da precludere un’effettiva partecipazione dei soci;

– i possibili abusi funzionali della presidenza dell’assemblea, a qualsiasi soggetto affidata ex art. 2371 c.c., quali l’artificiosa o fraudolenta esclusione dal voto di soggetti aventi diritto o, all’inverso, l’ammissione al voto di soggetti non legittimati;

– la falsificazione della documentazione relativa all’assemblea dei soci.

In tutte le situazioni teste elencate è possibile individuare ipotesi di "illecita influenza sull’assemblea" in quanto la illiceità della condotta è connotata dalla presenza di atti simulati o fraudolenti che hanno avuto efficacia determinante per l’adozione di deliberazioni assembleati assunte in violazione di divieti legali o statutari. Di conseguenza, non è ipotizzabile illecita influenza sull’assemblea nè può parlarsi di atti simulati o fraudolenti al cospetto di attività negoziali che, nell’ambito dell’autonomia riconosciuta ai privati dall’ordinamento, consentono di perseguire interessi meritevoli di tutela senza infrangere le prescrizioni poste dalla legge o dallo statuto per regolare la vita della società. 4. – Fatte tali premesse di carattere sistematico, deve ora accertarsi se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto enunciato dalla sentenza di annullamento con il ritenere configurabile nel caso di specie il fumus del reato di cui all’art. 2636 c.c. addotto quale base giustificativa del sequestro preventivo delle azioni della s.p.a. Athena. In proposito è importante rilevare che la Corte di Cassazione, con la sentenza 20.9 2007, ha stabilito che la nozione di "atti simulati" contenuta nell’art. 2636 c.c. non deve essere intesa in senso civilistico, ma deve essere inquadrata in una tipologia di comportamenti più ampia, in cui sono compresi anche gli "atti fraudolenti", e che il reato non può ritenersi escluso per il solo motivo che nel caso di specie manca una simulazione vera e propria, nei termini regolari dal codice civile. Secondo la statuizione della sentenza di annullamento con rinvio, per integrare la fattispecie criminosa ex art. 2636 c.c. può assumere rilevanza – in presenza degli ulteriori elementi costitutivi – anche una interposizione reale, e non fittizia, come pure un eventuale "pactum fiduciae", dovendo esaminarsi le condotte in una prospettiva unitaria e globale al fine di verificare se sia stata realizzata una situazione fittizia o fraudolenta che, influendo sulla volontà dell’assemblea, ha reso possibile il conseguimento di risultati non vietati dalla legge e non consentiti dallo statuto della società. Il tribunale, quale giudice di rinvio, ha ritenuto configurabile nei confronti dei ricorrenti il fumus del reato di cui all’art. 2636 c.c., rilevando:

– che R.L.M.M., socio della s.p.a. "ATHENA", aveva esercitato il diritto di opzione su 14.499 nuove azioni, emesse dalla società al valore nominale di Euro 5,00 ciascuna e sovrapprezzo di Euro 46,73;

– che il R. si era accordato con la s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE" e la s.r.l. "C.M.P." nel senso di ricevere da dette due società il corrispettivo chiesto per la sottoscrizione dell’aumento di capitale (Euro 749.826,35), obbligandosi a cedere alla prima 7.247 nuove azioni ed alla seconda 7.248 azioni di nuova emissione;

– che, in seguito, tale s.r.l. "I.N.M. NEUROMED" si era surrogata ai diritti spettanti alla s.r.l. "C.M.P.", mentre tale D.P. R. aveva anticipato a R.L. la somma di Euro 749.826,35, richiesta per sottoscrivere le azioni di nuova emissione della s.p.a. "ATHENA", effettuando un finanziamento di pari importo alla s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE";

– che il R. aveva sottoscritto tutte le nuove azioni emesse dalla s.p.a. "ATHENA", in tal modo conseguendo il controllo di tale ultima società, il che gli aveva consentito di nominare un nuovo consiglio di amministrazione, il quale aveva estromesso i soci fondatori ( F.M., nonchè tali G. e PI.);

aveva azzerato il capitale sociale per ripianare pregresse perdite e lo aveva poi rifinanziato, si da conseguire il controllo della società.

Sulla base di tali dati fattuali la condotta del R. è stata fatta rientrare nella categoria degli "atti simulati o fraudolenti" sull’assunto che, a mezzo delle manovre sopra descritte, lo stesso R., avendo agito quale mandatario senza rappresentanza finanziato principalmente dalla s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE", aveva aggirato la disciplina del diritto di opzione spettante ai soci e aveva consentito ad estranei, ed in particolare alla s.r.l. "GLOBAL MEDICAL SERVICE", di acquisire il controllo della società. 5. – Questa Corte ritiene che la motivazione addotta dal giudice di rinvio non sia idonea a fare emergere la corrispondenza del caso di specie alla figura di reato di cui all’art. 2636 c.c., sicchè il discorso giustificativo della decisione impugnata appare inquinato dal vizio di violazione di legge.

In primo luogo, deve sottolinearsi che non è stato adeguatamente sviluppato il profilo attinente alla prospettata lesione del diritto di opzione spettante agli altri soci. Invero, il tribunale non ha sufficientemente chiarito le ragioni della dedotta violazione nè i riflessi di questa sul regolare funzionamento dell’organo assembleare, in quanto dall’ordinanza e dalle univoche deduzioni dei ricorrenti sembra risultare che la collocazione delle azioni della soc. Athena è avvenuta nel disinteresse degli altri soci, i quali, sol che lo avessero voluto, avrebbero potuto esercitare il diritto di opzione e concorrere alla sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale.

Inoltre, l’inosservanza del principio di diritto enunciato nella fase rescindente del presente procedimento incidentale appare non dubbia e di concludente inequivocità quando si considera che, pur tenendo conto dell’accezione allargata della nozione di atti simulati, era indispensabile valutare globalmente tutte le operazioni poste in essere dalle parti al fine di verificarne la riconducibilità nell’ambito della simulazione o della frode e di stabilirne la determinante influenza illecita sulle deliberazioni dell’assemblea.

Invece, il tribunale ha del tutto omesso di valutare se il collegamento attuato tra dette operazioni costituisca o non legittima esplicazione dell’autonomia negoziale privata ai sensi dell’art. 1322 c.c., ovvero se le stesse operazioni abbiano avuto l’effetto di creare una situazione artificiosa o fraudolenta funzionalmente strumentale al conseguimento di risultati che, costituendo violazione di previsioni legali o statutarie, siano connotati dal crisma della illiceità e, di riflesso, si presentino come il frutto di indebite interferenze sulla regolare formazione delle deliberazioni assembleari.

In conclusione, poichè le riscontrate carenze argomentative integrano il vizio di violazione di legge di cui all’art. 325 c.p.p., comma 1, deve pronunciarsi l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Santa ********************, che, nel nuovo esame, dovrà rivalutare la situazione accertata applicando i principi di diritto precedentemente esposti.

P.Q.M.

la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

Redazione