Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 26/3/2008 n. 7858; Pres. Sciarelli, G., Est. Cuoco, P.

Redazione 26/03/08
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La ritardata assunzione di colui che vi abbia per legge diritto dà luogo al risarcimento del danno, decorrente dalla domanda di assunzione. Il danno, di cui non è necessaria prova, è costituito dalla retribuzione che il richiedente avrebbe percepito, salva la dimostrazione del fatto che il lavoratore abbia avuto altra occupazione

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con rispettivi atti del 20 settembre 1983 e del 22 ottobre 1983 A.R. e M.L., a seguito della morte dei relativi coniugi, proposero all’AZIENDA AUTONOMA FERROVIE DELLO STATO (alle cui dipendenze i coniugi avevano lavorato) domanda di assunzione in servizio, ai sensi della L. 25 febbraio 1979, n. 42, art. 22.

L’AZIENDA respinse le domande. Avverso tale atto le istanti proposero ricorso gerarchico. Proposero quindi ricorso al Pretore di Palermo chiedendo che, accertata la dipendenza da causa di servizio della malattia che aveva causato il decesso dei rispettivi coniugi, dichiarasse il loro diritto all’assunzione ai sensi dell’indicata Legge.

Il Pretore respinse la domanda. Con sentenza del 22 giugno 1993 il Tribunale di Palermo, accogliendo l’appello, dichiarò che G. G. e **** erano decedute a seguito di malattia contratta per causa di servizio, e che le ricorrenti aveva diritto ad essere assunte alle dipendente dell’ENTE FERROVIE DELLO STATO, ai sensi della L. 25 febbraio 1979, n. 42, art. 22.

La sentenza divenne esecutiva il 25 febbraio 1993. E l’ENTE assunse l’A. e la M. a far data dal 19 settembre 1994.

Con separati ricorsi (poi riuniti) del 5 luglio 1995 le predette A. e M. chiesero che il Pretore di Palermo, accertato che il loro diritto (all’assunzione) decorreva dalla data della domanda, condannasse l’ENTE al risarcimento del danno.

Il Pretore respinse la domanda. Il Tribunale di Palermo respinse l’appello. Con sentenza 18 settembre 2003 n. 13833 la Corte di Cassazione annullò la sentenza del Tribunale di Palermo, e rinviò al giudice di merito per un nuovo esame, affermando il seguente principio: "Per effetto del giudicato costituito dalla sentenza n. 462 del 1993 del Tribunale di Palermo, fa stato fra le parti che l’obbligo di assunzione dell’ A. e della M. è sorto alle date di presentazione delle rispettive domande di assunzione".

Con sentenza del 30 giugno 2005 la Corte d’Appello di Caltanissetta, in sede di rinvio, condannò la RETE FERROVIARIA ITALIANA S.p.a. al risarcimento del danno, quantificato in Euro 415.621,86, a favore di D. e S.G. (quali eredi di A.R.) ed in Euro 539.546,65, a favore di M.L., nonchè al pagamento delle spese processuali relative ai giudizi di primo grado, di secondo grado, di cassazione e di riassunzione.

Per la cassazione di questa sentenza gli avvocati P.G., P.A. e P.G.M. propongono ricorso, articolato in sei motivi; la RETE FERROVIARIA ITALIANA resiste con controricorso e propone ricorso incidentale; ****, S.G. e M.L. resistono con controricorso avverso il ricorso incidentale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, denunciando per l’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione, i ricorrenti lamentano che il giudicante ha senza motivazione escluso dalla liquidazione delle spese giudiziali gli avvocati P.A. e P.G.M., pur essendo indicati sia nell’intestazione degli atti difensivi che nella procura a margine dell’atto di riassunzione, ed avendo essi collaborato con l’avv. P.G. nella stesura degli atti e nella discussione.

2. Con il secondo motivo, denunciando per l’art. 360 c.p.c., n. 3, nullità e falsa applicazione dell’art. 93 c.p.c., del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, della L. 14 ottobre 1957, n. 1203, i ricorrenti sostengono che;

2.a. la nota spese era conforme alle previsioni di tariffa ed alle prestazioni effettivamente svolte (nè erano state parcellare le prestazioni successive alla data della nota stessa): il giudicante avrebbe dovuto liquidare, per i diritti (che sono inderogabili), una somma non inferiore ad Euro 2.437,00;

2.b. pur essendo state per buona parte documentate, le spese non sono state liquidate con alcuna somma;

2.c. per gli onorari era da liquidare una somma di Euro 12.260,00;

2.d. alla somma dovuta per diritti ed onorari era da aggiungersi la maggiorazione per l’assistenza a più parti;

2.e. essendo da aggiungersi il rimborso delle spese generali, la somma complessiva da liquidare non era inferiore ad Euro 19.840,00. 3. Con il terzo motivo, denunciando per l’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., e della L. n. 794 del 1942, art. 24, nonchè omessa motivazione, i ricorrenti sostengono che, in presenza d’una nota specifica, il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti e degli onorari in misura inferiore a quella esposta: in considerazione dell’inderogabilità dei relativi minimi, ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione o della riduzione delle somme richieste, per consentire l’accertamento della conformità della liquidazione alle tariffe ed a quanto risulta dagli atti.

4. Con il quarto motivo, denunciando per l’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 26 ottobre 1972, n. 633, i ricorrenti sostengono che, in contrasto con quanto previsto dalla predetta Legge (che prevede l’assoggettamento ad I.V.A. dei compensi dovuti per servizi prestati dai professionisti), il giudicante non aveva previsto sugli importi dovuti l’aggiunta dell’I.V.A. nella misura vigente (20 %).

5. Con il quinto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. 20 settembre 1980 n. 576, i ricorrenti sostengono che sull’importo soggetto ad I.V.A. è dovuto un contributo integrativo del 2%, che il giudicante aveva omesso di liquidare.

6. Con il sesto motivo, denunciando per l’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 14,i ricorrenti sostengono che sulla liquidazione delle competenze e degli onorari deve essere calcolato a titolo di rimborso delle spese generali una percentuale del 12,50%, che il giudicante aveva omesso di liquidare.

7. Con il ricorso incidentale, denunciando violazione dell’art. 414 c.p.c., e art. 2697 c.c., nonchè omessa motivazione, la ricorrente sostiene che 7.a. con la sentenza di cassazione era stato fissato il seguente principio di diritto: "Per effetto del giudicato costituito dalla sentenza del Tribunale di Palermo, fa stato fra le parti che l’obbligo di assunzione delle A. e M. è sorto dalle date di presentazione delle rispettive domande di assunzione;

7.b. il giudice del rinvio, chiamato a decidere sulla domanda risarcitoria delle ricorrenti, avrebbe dovuto accertare preliminarmente la sussistenza del danno derivato alle lavoratrici per la ritardata assunzione; omettendo di motivare su questa sussistenza, si è limitato a quantificare il danno;

7.c. in assenza della prestazione lavorativa, il diritto alle somme arretrate sussiste solo nell’ipotesi di restituito in integrum per illegittima interruzione d’un preesistente rapporto di lavoro, in corso;

7.d. e le lavoratrici non hanno dedotto nè fornito (in tutto il corso del giudizio: anche in sede di riassunzione) alcuna prova della sussistenza del danno (spese, perdite di occasioni di lavoro), nè del rapporto di causalità fra il danno e l’inadempimento della ******à; nè hanno spiegato i motivi per i quali il danno avrebbe dovuto essere calcolato con riferimento alle retribuzioni che esse avrebbero percepito dalla data di presentazione delle domande di assunzione.

8. I ricorsi, soggettivamente ed oggettivamente interconnessi, devono essere preliminarmente riuniti.

9. Il ricorso incidentale, che, coinvolgendo il merito della controversia, deve essere esaminato preliminarmente, è ammissibile.

Ed invero, poichè il ricorso è stato notificato l’il ottobre 2005, il controricorso con ricorso incidentale, che è stato notificato il 17 novembre 2005, è tempestivo.

10. Il ricorso incidentale è infondato. Il diritto all’assunzione è diritto alla costituzione del rapporto; e dal relativo inadempimento discende il diritto del lavoratore al risarcimento del danno.

11. Dalla situazione dell’illegittima ritardata assunzione differisce indubbiamente la situazione di colui che, illegittimamente licenziato, sia giudizialmente reintegrato.

In entrambe le ipotesi vi è un periodo di tempo in cui sussiste un diritto cui è data ritardata attuazione: nella prima ipotesi è il tempo che intercorre dal sorgere del diritto all’assunzione alla materiale costituzione del rapporto di lavoro, e nella seconda è il tempo che intercorre dal licenziamento alla materiale reintegrazione.

In entrambe le ipotesi vi è un inadempimento (la mancata assunzione e l’illegittimo licenziamento); e vi è il conseguente diritto (di colui che l’inadempimento ha subito) al risarcimento del danno.

Ed in entrambe le ipotesi il danno è costituito dal mancato conseguimento della generale utilità che il rapporto conferisce al lavoratore: la retribuzione.

Come nell’ipotesi di licenziamento illegittimo, anche nell’ipotesi di inadempimento dell’obbligo di assunzione sussiste un danno presunto:

una presunzione juris tantum, che riguarda le retribuzioni che il lavoratore avrebbe potuto conseguire (ove fosse stato tempestivamente assunto; ovvero non ove fosse stato illegittimamente licenziato).

L’ipotesi del licenziamento illegittimo (prevista dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18) differisce in quanto è caratterizzata da una misura minima di danno che è presunto juris et de jure (che ha fondamento nella preesistenza d’un effettivo rapporto di lavoro).

In entrambe le ipotesi, ed in relazione al danno presunto juris tantum, la prova dell’inesistenza del danno è onere di colui che vi abbia interesse.

12. Per quanto attiene in particolare all’obbligo di assunzione, questo costituisce ex lege un rapporto contrattuale, e conferisce natura contrattuale (come nell’ipotesi di illegittimo licenziamento) alla relativa responsabilità per inadempimento (Cass. 9 novembre 1995 n. 11681; affermano la natura contrattuale della responsabilità: Cass. 28 gennaio 1985 n. 465; Cass. 16 gennaio 1987 n. 345; Cass. 5 marzo 1987 n. 2353; Cass. 16 marzo 1988 n. 2465;

Cass. 11 giugno 1991 n. 6590; Cass. 11 luglio 1992 n. 8425; Cass. 27 novembre 1992 n. 12677; Cass. 2 luglio 1001 n. 8894; Cass. 9 febbraio 2004 n. 2402; Cass. 19 aprile 2006 n. 9049).

Dalla natura contrattuale della responsabilità discende l’obbligo datorile del risarcimento del danno.

Nell’ipotesi di licenziamento illegittimo (Cass. 9 febbraio 2004 n. 2402), il danno può essere determinato, senza bisogno d’una specifica prova del lavoratore, sulla base del complesso delle utilità (stipendi) che il lavoratore avrebbe potuto conseguire, ove tempestivamente assunto.

Anche nell’ipotesi di inadempimento dell’obbligo legale di assunzione, la sussistenza del danno non esige alcuna prova. Ed invero, il diritto alla costituzione del rapporto di lavoro è anche diritto ai vantaggi economici che discendono direttamente dal rapporto, nella misura in cui tali vantaggi non esigono ulteriori presupposti connessi al fatto dello stesso lavoratore o ad eventi esterni.

E tale non è la prestazione lavorativa: con la propria domanda il potenziale lavoratore ha offerto la propria collaborazione (ed è solo l’inadempimento datorile che ne preclude lo svolgimento).

Nè lo è l’iscrizione nelle liste di collocamento (Cass. 17 dicembre 2003 n. 19355).

La negazione del diritto al risarcimento del danno (e, in generale, il limite di questo danno) potrebbe discendere da altra attività lavorativa (quale aliunde perceptum); l’onere della relativa prova è tuttavia, per l’art. 2697 c.c., comma 2, di colui che tale fatto deduca (Cass. 9 febbraio 2004 n. 2402).

13. E’ pertanto da affermare quanto segue:

"La ritardata assunzione di colui che abbia per legge diritto all’assunzione determina il diritto al risarcimento del danno, decorrente dalla domanda di assunzione; ed il danno, di cui non è necessaria prova, è costituito dalla retribuzione che il richiedente avrebbe percepito, salva la dimostrazione del fatto (onere di colui che il fatto deduca) che il lavoratore abbia avuto altra attività lavorativa".

14. Il primo motivo del ricorso principale è infondato. La parte non può stare in giudizio se non con il ministero e con l’assistenza d’un difensore (art. 82 c.p.c..).

Questa necessità costituisce il fondamento del corrispondente obbligo (con i limiti previsti dagli artT. 91 e 92 c.p.c., in materia di condanna e di compensazione) della parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio.

La predetta necessità, in quanto limitata alla presenza d’un difensore, pur non escludendo il diritto della parte (poi vittoriosa) di farsi assistere da una pluralità di difensori, esclude un obbligo della parte soccombente al pagamento d’una pluralità di spese giudiziali.

Ed invero, come affermato da questa Corte, in caso di pluralità di avvocati, ciascuno di essi ha diritto di richiedere al cliente il compenso per l’intera opera prestata (a ciascuno di essi potranno essere tuttavia attribuiti soltanto gli onorari relativi agli atti personalmente compiuti: Cass. 20 gennaio 1976 n. 168); dalla parte soccombente è dovuto il compenso per un solo avvocato (Cass. 31 marzo 1956 n. 955).

15. Il terzo motivo del ricorso principale, che (coinvolgendo, per la sua generalità, gli altri motivi) deve essere esaminato preliminarmente, è fondato.

Come affermato da questa Corte, il giudice di merito, in presenza d’una nota specifica relativa alle spese, ai diritti di procuratore ed agli onorari di avvocato, ove non liquidi in conformità della nota medesima, deve indicare sia le voci per le quali non ritiene dovuti i diritti o gli onorari, ovvero li ritiene dovuti in misura minore, sia gli esborsi che considera ingiustificati od eccessivi, in modo da rendere possibile, attraverso il riscontro di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione agli atti ed alle tariffe (Cass. 28 maggio 1975 n. 1929; Cass. 27 ottobre 1994 n. 8872).

Nel caso in esame, il giudicante non ha dato ragione della difformità fra quanto richiesto e quanto in minor misura liquidato.

16. Il ricorso incidentale ed il primo motivo del ricorso principale devono essere respinti. Deve essere accolto il terzo motivo del ricorso principale. Ed in tale accoglimento resta assorbita la necessità dell’esame degli altri motivi del ricorso principale.

Con la cassazione, nei limiti della censura accolta, della sentenza impugnata, la causa deve essere rinviata a contiguo giudice di merito, che applicherà quanto precedentemente indicato (sub "15.") nel contempo provvedendo alla disciplina delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

Riunisce i ricorsi; respinge il ricorso incidentale ed il primo motivo del ricorso principale; accoglie il terzo motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti i restanti motivi del medesimo ricorso; cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata;

e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo per un nuovo esame del punto e per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Redazione