Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 25/5/2010 n. 12746

Redazione 25/05/10
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Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 10.7.2003 avanti al Tribunale di Brindisi, P.M. convenne in giudizio l’Inps, per sentir dichiarare il proprio diritto alla restituzione della somma già anticipatagli a titolo di indennità di mobilità (L. n. 223 del 1991, ex art. 7, comma 5), non restituita e, a suo dire, indebitamente trattenutagli dall’Istituto. Il Giudice adito accolse la domanda e la Corte d’Appello di Lecce, con sentenza del 20.1 – 28.3.2006, rigettò l’impugnazione proposta dall’Inps, osservando quanto segue:
– la L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 5 stabilisce l’obbligo della restituzione esclusivamente nel caso in cui chi ha ricevuto l’anticipazione "assuma una occupazione alle altrui dipendenze nel settore privato o in quello pubblico", – tale ipotesi non si era verificata (se non per tre mesi, per i quali, correttamente, era stata disposta ed eseguita la restituzione), perchè il P. era divenuto socio – e non dipendente – di una cooperativa;
– non rilevava il tenore testuale del D.M. n. 142 del 1993, perchè tale fonte normativa non è altro che il provvedimento attuativo della L. n. 223 del 1991, che parla specificamente di occupazione alle altrui dipendenze.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, l’Inps ha proposto ricorso per Cassazione fondato su due motivi. L’intimato P.M. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo l’Istituto ricorrente denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 7 e del D.M. n. 142 del 1993, art. 3 osservando che, in base al tenore testuale delle norme invocate e alla loro ratio, la rioccupazione del lavoratore che abbia beneficiato dell’anticipazione dell’indennità di mobilità, ancorchè limitata ad un periodo trimestrale, comporta, se intervenuta nel biennio dalla liquidazione dell’anticipazione stessa, la restituzione dell’anticipazione stessa.
Con il secondo motivo l’Istituto ricorrente denuncia vizio di motivazione, assumendo l’erronea valutazione, da parte della Corte territoriale, delle risultanze dell’estratto contributivo depositato in prime cure, dal quale risultava l’avvenuto espletamento di plurimi periodi di attività lavorativa alle dipendenze di cooperative e di società commerciali.
2. La L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 5 per quanto qui specificamente rileva, prevede che "i lavoratori in mobilità che ne facciano richiesta per intraprendere un’attività autonoma o per associarsi in cooperativa in conformità alle norme vigenti possono ottenere la corresponsione anticipata dell’indennità nelle misure indicate nei commi 1 e 2, detraendone il numero di mensilità già godute. … Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sono determinate le modalità e le condizioni per la corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità, le modalità per la restituzione nel caso in cui il lavoratore, nei ventiquattro mesi successivi a quello della corresponsione, assuma una occupazione alle altrui dipendenze nel settore privato o in quello pubblico …". 2.1 Alla stregua del fondamentale criterio ermeneutico di cui all’art. 12 preleggi risulta dunque palese che l’obbligo della restituzione delle somme anticipate ricorre alla sola condizione che il beneficiario, nei ventiquattro mesi successivi a quello della corresponsione, assuma una occupazione alle altrui dipendenze nel settore privato o in quello pubblico, e non già che tale restituzione debba avvenire limitatamente al numero di mensilità per le quali la rioccupazione alle dipendenze altrui si sia verificata.
In conformità a quanto previsto dalla norma anzidetta, il D.M. n. 142 del 1993, art. 3, comma 2 (Regolamento di attuazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 5 in materia di corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità), prevede che "In tutti i casi di rioccupazione intervenuta nel suddetto periodo ossia entro i ventiquattro mesi successivi a quello della corresponsione delle somme, l’INPS provvede al recupero delle somme liquidate a titolo di anticipazione. La somma da recuperare deve essere restituita in un’unica soluzione ovvero, a domanda, in non più di dodici rate mensili. In caso di omissione ovvero di ritardo nella comunicazione della intervenuta rioccupazione da parte del lavoratore, la somma da recuperare deve essere restituita, in ogni caso, in un’unica soluzione maggiorata degli interessi legali, decorrenti dal momento in cui è sorto l’obbligo della restituzione". 2.2 La testè indicata interpretazione della normativa di riferimento trova inoltre conforto nella ratio legis.
La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo più volte di precisare che la previsione della L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 5 risponde alla finalità di indirizzare il più possibile il disoccupato in mobilità verso attività autonome, al fine precipuo di ridurre la pressione sul mercato del lavoro subordinato, così perdendo la sua connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale e configurandosi non già come funzionale a sopperire ad uno stato di bisogno, ma come un contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali di un’attività che il lavoratore in mobilità svolgerà in proprio (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 19338/2007; 13562/2004; 1587/2004; 13272/2003; 9007/2002; 5951/2001).
Come è stato osservato, nel perseguire tale obiettivo il legislatore si è altresì preoccupato che lo scopo della norma non venisse vanificato nell’ipotesi di lavoratori che, successivamente alla corresponsione anticipata dell’indennità, si fossero nuovamente occupati alle dipendenze altrui, senza quindi ricollocarsi in fattispecie negoziali diverse da quelle del rapporto di lavoro subordinato, ma, dovendo tenersi conto dei casi in cui i lavoratori, pur avendo tentato seriamente di intraprendere un’attività lavorativa autonoma, siano stati costretti successivamente a tornare ad occupazioni di lavoro subordinato, ha ritenuto di contemperare tali contrapposte esigenze prevedendo, da un lato che, in caso di rioccupazione alle altrui dipendenze entro 24 mesi dalla corresponsione delle somme in parola, il lavoratore che abbia usufruito dell’anticipazione debba restituirla, e, dall’altro, stabilendo che tale obbligo non sussiste più una volta decorso tale lasso di tempo, reputando, evidentemente, che il decorso di 24 mesi fosse indicativo della serietà del tentativo del lavoratore stesso di intraprendere un’attività di lavoro autonomo (cfr, Cass., n. 19338/2007, cit., in motivazione).
2.3 Se dunque l’erogazione in un’unica soluzione ed in via anticipata dei vari ratei dell’indennità non è più funzionale al sostegno dello stato di bisogno che nasce dalla disoccupazione, cosicchè l’indennità perde la connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale, per assumere la natura di contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali di un’attività che il lavoratore in mobilità svolgerà in proprio (cfr, ex plurimis, Cass., n. 9007/2002, cit.), risulterebbe contraddittorio con la ratio legis (oltrechè, come detto, contrario alla lettera della legge) ritenere che, in ipotesi di temporanea intervenuta rioccupazione quale lavoratore subordinato durante i 24 mesi successivi alla erogazione dell’anticipazione, le somme percepite debbano essere restituite non già per intero, ma solo in proporzione alla durata di tale rioccupazione.
Poichè, giusta l’accertamento reso dalla Corte territoriale, l’odierno intimato, dopo avere ottenuto l’anticipazione, ha lavorato alle dipendenze di terzi per un periodo di tre mesi, il motivo all’esame risulta fondato, restando conseguentemente assorbita la disamina del secondo.
3. Per l’effetto il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta e, non essendo necessari ulteriori accertamenti fattuali, la controversia può essere decisa con il rigetto delle domande svolte dall’odierno intimato. Non applicandosi il nuovo testo dell’art. 152 disp. att. c.p.c. di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 11, comma 2 convertito in L. n. 326 del 2003, ai procedimenti incardinati prima dell’entrata in vigore del relativo provvedimento legislativo (cfr, ex plurimis, Cass., n. 4165/2004) e dovendosi escludere la manifesta infondatezza e temerarietà della pretesa, non è luogo a provvedere sulle spese di lite relative all’intero processo.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta le domande svolte da P.M.;
nulla per le spese dell’intero processo.

Redazione