Corte di Cassazione Civile 25/11/2009 n. 24784; Pres. Sciarelli G.

Redazione 25/11/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 12.4 – 17.5.2005 la Corte di appello di Milano, pronunciando sull’impugnazione proposta da B.M. avverso la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede il 6.3.2003, dichiarava inammissibile la domanda proposta dal ricorrente per far accertare l’inesistenza dell’obbligo al versamento del contributo integrativo previsto dalla L. n. 576 del 1980, art. 11 e confermava, nel resto, la sentenza di primo grado, che aveva respinto il ricorso con il quale lo stesso aveva richiesto l’accertamento dell’inesistenza dell’obbligo di trasmissione delle comunicazioni prescritte dalla L. n. 576 del 1980, art. 17 con conseguente annullamento della cartella esattoriale notificata per conto della Cassa Nazionale Forense in riscossione della sanzione da quest’ultima irrogata.

Osservava in sintesi la corte territoriale che la domanda relativa al versamento del contributo integrativo L. n. 576 del 1980, ex art. 11 (che il ricorrente assumeva non dovuto, in quanto iscritto nell’albo degli avvocati tedeschi ed avendo optato per la relativa cassa professionale) era da ritenersi inammissibile, in quanto aggiuntiva (e,pertanto, nuova) rispetto a quella originariamente formulata nel ricorso introduttivo del processo, nel quale si lamentava per gli stessi motivi solo la insussistenza dell’obbligo di comunicazione L. n. 576 del 1980, ex art. 17 e si richiedeva l’annullamento della cartella opposta; che queste ultime domande risultavano, invece, precluse da precedente pronuncia, passata in giudicato, sulla stessa questione controversa.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso B.M. con sei motivi, illustrati con memoria, e chiedendo, altresì, la rimessione degli atti alla Corte di giustizia della Unione Europea ai sensi dell’art. 177 Trattato CEE, Resiste con controricorso la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente prospetta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, assumendo che il dispositivo della sentenza impugnata conteneva una statuizione di rigetto delle domande proposte ai fini dell’annullamento della cartella opposta con il conseguente accertamento negativo dell’obbligo di comunicazione L. n. 576 del 1980, ex art. 17 cit., senza che nella relativa motivazione risultasse alcuna trattazione sul merito delle questioni dedotte, con conseguente nullità della pronuncia per insanabile contrasto fra la parte motiva e quella dispositiva.

Con il secondo motivo, il ricorrente prospetta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, osservando che, con riferimento alle stesse domande, il dispositivo della sentenza impugnata conteneva una statuizione di rigetto delle richieste avanzate in primo grado, mentre nella relativa motivazione la corte territoriale, senza esaminare il merito, ne argomentava l’inammissibilità per la preclusione derivante da precedente giudicato.

Con il terzo motivo, il ricorrente prospetta, con riferimento ai motivi innanzi illustrati ed ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 vizio di motivazione riguardo alla asserito passaggio in giudicato di precedente decisione, in assenza di contenuto precettivo del relativo dispositivo.

Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata per errata applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la corte territoriale ritenuto coperto dal giudicato l’oggetto del giudizio, sebbene la sentenza della Corte di appello di Milano n. 760 del 20.12.2002 non contenesse alcun accertamento concreto sul merito della questioni controverse, anche alla luce dei principi di diritto comunitario richiamati.

Con ulteriore motivo (5 motivo) il ricorrente lamenta violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 osservando che la corte milanese aveva erroneamente trascurato di considerare che la necessità di tale nuova domanda era sorta dalla stessa sentenza di primo grado, nella quale il giudice, sebbene non richiesto, aveva esteso la propria cognizione all’obbligo di contribuzione L. n. 576 del 1980, ex art. 11 cit, e che, comunque, sussisteva un rapporto di strumentalità fra la comunicazione prevista dall’art. 17 della legge in questione e il dovere di contribuzione.

Con l’ultimo motivo, infine, si censura l’impugnata sentenza per omessa pronuncia sulla richiesta di rimessione degli atti alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 177 Trattato CE, che si reitera con riferimento alla violazione delle disposizioni del diritto comunitario in materia di libertà di stabilimento, divieto di discriminazioni basate sulla nazionalità, applicazione contestuale di più regimi previdenziali e contributivi.

2. Il primo ed il secondo motivo, che, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Risulta dalla sentenza impugnata che la corte territoriale ha rigettato l’appello relativo alle domande formulate ai fini dell’accertamento (negativo) dell’obbligo dichiarativo L. n. 576 del 1980, ex art. 17 e dell’annullamento della connessa cartella esattoriale del (omissis) di Euro 269,10, mentre ha dichiarato inammissibile, in quanto nuova, la domanda formulata ai fini della dichiarazione di insussistenza dell’obbligo contributivo ai sensi dell’art. 11 della stessa legge.

Appare, dunque, evidente che la decisione censurata, lungi dal rigettare le prime due domande, ha rigettato, piuttosto, il relativo appello, confermando la sentenza di prime cure, seppur per motivi non inerenti al merito delle pretese, quanto all’esistenza di un giudicato esterno, rilevato (e rilevabile) dal giudice di merito d’ufficio (cfr. SU n. 226/2001; SU n. 13916/2006).

Nessun contrasto, pertanto, è dato apprezzare fra la motivazione e il dispositivo della decisione, data la coerenza esistente tra i due atti e le ragioni della decisione, le quali risultano preclusive dell’accoglimento dell’impugnazione, anche se per motivi diversi da una (pur implicita) trattazione del merito.

3. Infondato è anche il terzo motivo.

Deduce il ricorrente, con riferimento all’efficacia del giudicato formatosi sulla sentenza della Corte di appello di Milano n. 760 del 20,12.2002, relativa ad altre cartelle esattoriale emesse per gli stessi titoli, che il principio secondo cui la portata precettiva di una pronuncia giurisdizionale va individuata tenendo conto non solo del dispositivo, ma anche della motivazione trova applicazione solo per le decisioni di accertamento o di condanna, e non anche per le pronunce di rigetto della domanda.

Non si può, tuttavia, non rilevare che l’insegnamento giurisprudenziale richiamato (v. ad es. Cass. n. 242/2003; Cass. n. 2271/2003) non risulta, in realtà,correttamente applicabile al caso in esame, per essere riferibile, nella decisione in questione, la statuizione di rigetto alla richiesta di annullamento della cartella esattoriale, irrogativa della penalità conseguente all’accertamento della violazione, ma non anche al merito della controversia, avendo il ricorrente in quella sede introdotto un’opposizione estesa al merito della pretesa contributiva (v. D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24) e la corte territoriale confermato la statuizione di primo grado, che accertava la sussistenza degli obblighi dichiarativi e di contribuzione previsti dalla L. n. 576 del 1980. Per cui sotto questo aspetto almeno nessun ostacolo sarebbe rilevabile rispetto all’operatività del principio del giudicato, per effetto dell’influenza preclusiva della pronuncia indicata.

4. Meritevole di accoglimento, nei termini che saranno precisati, è, invece, il quarto motivo.

Ha ritenuto la corte milanese, a giustificazione del riconosciuto vincolo del giudicato, che, pur trattandosi (nel presente e nel precedente giudizio) di impugnazione di singole cartelle esattoriali riguardanti penalità irrogate a seguito della reiterata violazione di uno stesso (periodico) obbligo, il ricorrente aveva sempre richiesto un accertamento pieno, e non meramente incidentale, della pretesa, sicchè risultava applicabile il principio per cui nei rapporti di durata dai quali derivano obbligazioni periodiche, il giudicato che verte sul l’accertamento della situazione presupposto, ovvero sulla soluzione di questioni di fatto e di diritto comuni ad entrambi i giudizi non e soggetto a limiti cronologici, per cui estende i suoi effetti anche ai periodi successivi, salvo il mutamento della situazione di fatto.

Ha omesso, tuttavia, di accertare se l’interpretazione della L. n. 576 del 1980, art. 17 offerta dal giudice di primo grado, potesse determinare violazione dei principi posti dal diritto comunitario in materia di divieto di discriminazioni basate sulla nazionalità, libertà di stabilimento e applicazione di più regimi previdenziali e contributivi, per come anche nel presente giudizio prospettato dal professionista ricorrente, e quale influenza tale valutazione potesse, quindi, assumere rispetto ai caratteri, ai limiti e alla portata del giudicato formatosi sul precedente accertamento, alla luce della giurisprudenza del giudice nazionale e di quello comunitario.

5. Sotto il primo aspetto, ritiene la Corte che si deve ribadire, in conformità ad analogo precedente (v. Cass. n. 233/2006), che la L. n. 576 del 1980, art. 17 (che prevede che "tutti gli iscritti agli albi degli avvocati e dei procuratori, nonchè i praticanti procuratori iscritti alla Cassa devono comunicare alla Cassa con lettera raccomandata, da inviare entro trenta giorni dalla data prescritta per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, l’ammontare del reddito professionale di cui all’art. 10 dichiarato ai fini dell’IRPEF per l’anno precedente nonchè il volume complessivo d’affari di cui all’art. 11 dichiarato ai fini dell’IVA per il medesimo anno. Chi non ottempera all’obbligo di comunicazione di cui ai precedenti commi o effettua una comunicazione non conforme al vero, è tenuto a versare alla Cassa, per questo sol fatto, una penalità pari a metà del contributo soggettivo minimo previsto per l’anno solare in cui la comunicazione deve essere inviata…") deve essere interpretato nel senso che il presupposto dell’obbligo di comunicazione sia costituito non solo dalla iscrizione all’albo degli avvocati, ma anche dal concorrente requisito dell’iscrizione alla Cassa di previdenza, per essere tale requisito riferibile non solo ai praticanti procuratori, ma anche agli iscritti all’albo degli avvocati. Ed, in realtà, se la ratio dell’obbligo in questione, connesso all’iscrizione alla Cassa, può ravvisarsi nell’utilità per quest’ultima di conoscere i flussi di reddito professionale degli iscritti all’albo degli avvocati, destinatari o potenziali destinatari delle prestazioni previdenziali erogate dalla Cassa stessa ed, in ogni caso, soggetti all’obbligo del contributo soggettivo, la previsione di analogo obbligo risulterebbe irragionevole, e tale da ingenerare dubbi di costituzionalità, ove riferibile (come nel caso) a soggetti che, in quanto non iscritti alla Cassa, perchè esonerati dal relativo obbligo, non potrebbero essere destinatari delle relative prestazioni, nè soggetti ai previsti obblighi contributivi.

Di tale interpretazione (per come ha già osservato questa Suprema Corte con la sent. n. 233 cit.) danno conferma, peraltro, le stesse "istruzioni" impartite dalla Cassa per la compilazione dei modelli di dichiarazione, nelle quali si individua, quale ipotesi di fattispecie eccettuata dalla comunicazione, quella degli avvocati iscritti in altri albi professionali e nelle relative casse di previdenza, in coerenza – giova soggiungere – con quanto prescritto dal D.M. 22 maggio 1997 ("Regolamento per l’applicazione della L. 20 settembre 1980, n. 576, artt. 17 e 18 come modificati dalla L. 11 febbraio 1992, n. 141, artt. 9 e 10"), a mente del quale "Gli avvocati ed i procuratori iscritti anche in altri albi professionali e alle relative casse previdenziali, che abbiano esercitato l’opzione a favore di una di tali casse, se prevista, non hanno l’obbligo di inviare le prescritte comunicazioni. Essi devono provare l’avvenuto esercizio dell’opzione per escludere gli obblighi contributivi e dichiarativi". Ne discende, in perfetta aderenza alla ratio oltre che alla lettera della disciplina in esame, che anche l’avvocato di un paese dell’Unione europea iscritto all’albo del paese di provenienza, nonchè alla relativa cassa previdenziale estera deve ritenersi destinatario della situazione di esonero dall’obbligo dichiarativo, voluta dalla stessa Cassa, ed, al tempo stesso, che l’opposta interpretazione, in quanto ritroverebbe la sua esclusiva giustificazione nella nazionalità estera del professionista, ancorchè cittadino europeo, o, in altri termini, nel rilievo che verrebbe ad assumere solo l’iscrizione in albi nazionali, sarebbe idonea a determinare una discriminazione sulla base della nazionalità, ed un pregiudizio per la libertà di stabilimento, in violazione dei principi del Trattato (artt. 12, 43).

Dovendosi rammentare come, sulla base dell’ampia nozione di restrizione al diritto di stabilimento vietata dall’art. 43 (nella sua portata specificativa del più generale divieto di trattamenti discriminatori), accreditata dalla Corte di giustizia, si configurano quali restrizioni fondate sulla nazionalità tutte quelle disposizioni previste negli ordinamenti nazionali "suscettibili di porre i cittadini di altri Stati membri in una situazione di fatto e di diritto sfavorevole" rispetto a quella di cui godono coloro che hanno la cittadinanza dello Stato ospitante (Corte Giust. CE 255/97), con la conseguenza che lo Stato di stabilimento deve astenersi dall’adottare o applicare misure che prevedono un regime differenziato sulla base della nazionalità, si traducano in discriminazioni dirette o palesi, ovvero simulate o indirette, allorchè l’applicazione di criteri neutri sul piano della nazionalità determini, comunque, un obiettivo svantaggio per i cittadini di altri Stati membri (cfr. Corte Giust. CE 22/80).

Principi – giova soggiungere – che risultano provvisti di effetto diretto, e cioè risultano direttamente attributivi di diritti suscettibili di tutela innanzi ai giudici nazionali, i quali sono tenuti a disapplicare qualsiasi disposizione di portata generale, posta da autorità statali o da organizzazioni professionali riconosciute dallo Stato, idonea a contrastarne la piena ed effettiva realizzazione (cfr. Corte Giust. CE 21.6.1974, 2/74; 28.1.1986, 270/83; 15.2.1977, C – 53/95).

6. Rilevato, pertanto, che l’accertamento dell’obbligo dichiarativo, affermato nella sentenza passata in giudicato, così come in quella di prime cure, si palesa incompatibile con fondamentali principi del diritto comunitario, doveva valutarsi – e tale valutazione è stata omessa nella sentenza impugnata – se le regole in tema di efficacia del giudicato richiamate impedissero la valutazione degli stessi principi nella presente controversia e con riferimento ad altro accertamento ancora non divenuto definitivo, alla luce dei criteri interpretativi progressivamente enucleati dai giudici europei per realizzare una adeguato coordinamento tra il principio del giudicato, posto a garanzia della stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, e le regole del diritto comunitario, tutelate dal principio di effettività, evitando un reciproco conflitto (cfr. Corte di Giust. 13.1.2004, C – 453/00; Corte di Giust. 7.1.2004, C – 201/2002; Corte di Giust. 28.6.2001, C – 118/00).

In particolare, viene qui in rilievo il principio, affermato più volte nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui in tema di giudicato, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza con autorità di cosa giudicata, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, e ciò anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il "petitum" del primo. Principio che si ritiene non trova deroga anche in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscono il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale, ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, sicchè l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione su quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale, pertanto, esplica la sua efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l’unico limite di una sopravvenienza di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (cfr. ad es. Cass. n. 16959/2003; Cass. n. 9685/2003; Cass. n. 19426/2003; Cass. n. 15931/2004 e da ultimo SU n. 13916/2006).

Resta, nondimeno, da verificare se tale interpretazione, ove venga prospettata la violazione di principi fondamentali del diritto comunitario, possa interferire con la realizzazione delle finalità di quest’ultimo e quale ne siano le conseguenze. Su questa problematica (e proprio con riferimento alla regola dell’ultrattività del giudicato in materia tributaria, affermata da SU n. 13916/2006) ha affermato di recente la Corte di Giustizia CE (sentenza 3.9.2009, C – 2/08) che l’abbandono del principio della frammentazione dei giudicati in favore dell’interpretazione per cui "la soluzione derivante da una sentenza pronunciata su una controversia, quando gli accertamenti che si riferiscono riguardano questioni analoghe, può essere utilmente invocata in un’altra controversia, benchè detta sentenza sia relativa ad un periodo di imposta diverso da quello che costituisce l’oggetto del procedimento in cui è stata invocata", fa sì che "detta interpretazione non solo impedisce di rimettere in questione la decisione giurisdizionale che abbia acquistato efficacia di giudicato, anche se tale decisione comporti una violazione del diritto comunitario, ma impedisce del pari di rimettere in questione, in occasione di un controllo giuridizionale relativo ad un’altra decisione dell’autorità fiscale competente concernente il medesimo contribuente o soggetto passivo, ma un esercizio fiscale diverso, qualsiasi accertamento vertente su un punto fondamentale comune contenuto in una decisione giurisdizionale che abbia acquistato efficacia di giudicato".

Una siffatta interpretazione del principio del giudicato, ad avviso della Corte, determinerebbe, in definitiva, la conseguenza che, laddove la decisione giurisdizionale divenuta irrevocabile sia fondata su un’interpretazione contrastante con il diritto comunitario, "la non corretta applicazione di tali regole si riprodurrebbe con riferimento a ciascun nuovo esercizio fiscale, senza che sa possibile correggere tale erronea interpretazione".

Sicchè, in definitiva, deve ritenersi, ad avviso della Corte di giustizia, che, seppur, in assenza di una normativa comunitaria in materia, le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrino nell’ordinamento giuridico interno degli stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di cui gli stessi godono, nondimeno le stesse "non possono essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività)".

7. Ne deriva, sulla base di tali criteri interpretativi, che, nel caso in esame, in presenza del carattere periodico dell’obbligo dichiarativo e dell’imposizione di una nuova penalità in conseguenza della ritenuta violazione dell’obbligo stesso, la decisione definitiva in precedenza intervenuta con riferimento ad altro periodo di imposizione, non poteva esimere il giudice di merito dal valutare e decidere la situazione controversa alla luce della corretta interpretazione delle regole comunitarie prospettate dalla parte ricorrente, e di verificare, in particolare, se il positivo accertamento del credito fatto valere dalla Cassa determinasse, alla stregua dell’interpretazione della L. n. 576 del 1980, art. 17 offerta dal giudice di primo grado, un’erronea interpretazione delle prime.

In relazione a tali ragioni, la sentenza impugnata va, pertanto, cassata e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (per essere incontroverso che il ricorrente, iscritto alla Cassa di previdenza tedesca, non era iscritto a quella italiana, nè era in tal senso obbligato), decisa nel merito, in conformità all’interpretazione delle norme in materia rilevanti già valutata come legittima e conforme ai principi del diritto comunitario (v. punto 5).

Deve, quindi, dichiararsi che il ricorrente è esentato dall’obbligo della comunicazione di cui alla L. n. 576 del 1980, art. 17 e per l’effetto annullarsi la cartella la cartella di pagamento del 29.4.2002 di Euro 269,10, opposta col ricorso introduttivo.

8. Il quinto motivo è infondato.

Ha, infatti, correttamente ritenuto la sentenza impugnata che la terza domanda formulata con l’atto di appello (relativa all’insussistenza dell’obbligo di versamento del contributo integrativo previsto dalla L. n. 576 del 1980, art. 11) non era stata formulata, nè trattata nel giudizio di primo grado, per cui doveva apprezzarsi come nuova, e,quindi, inammissibile.

Rileva il ricorrente che la rubrica della sentenza di primo grado (del seguente tenore: "accertamento insussistenza obbligo invio comunicazioni L. n. 576 del 1980, art. 17 e versamento contributo integrativo") indicava quale oggetto della decisione anche il versamento del contributo integrativo, ma non si può non osservare che l’oggetto della decisione va individuato sulla base delle domande prospettate e delle questioni decise: fra le quali non risulta affatto dimostrato (ed anzi il tenore stesso delle censure lo esclude) che fosse ricompreso l’accertamento dell’obbligo contributivo.

9. L’accoglimento del quarto motivo del ricorso assorbe gli ulteriori motivi relativi alla omessa pronuncia sulla richiesta di rimessione degli atti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

10. Quanto alle spese, sussistono giusti motivi per compensarle con riferimento all’intero giudizio, tenuto conto della peculiarità e novità delle questioni trattate.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo, accoglie il quarto, dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara che il ricorrente non è tenuto alla comunicazione di cui alla L. n. 576 del 1980, art. 17 ed annulla la cartella del (omissis) di Euro 269,10, impugnata col ricorso introduttivo; compensa le spese dell’intero giudizio.

Redazione