Contributo unificato: la dichiarazione del difensore è irrilevante per la determinazione dell’effettivo valore della causa (Cass. n. 6765/2012)

Redazione 04/05/12
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Svolgimento del processo

Con ricorso L. n. 794 del 1942, ex artt. 28 e 29, l’Avv. C. F. esponeva che G.S.T.E. aveva omesso il pagamento della parcella, da lui inviata in data 18.6.09, in relazione a prestazioni professionali svolte innanzi al Tribunale di Milano, nelle cause riunite R.G. nn. 58374/06 e 60428/06, aventi ad oggetto questioni ereditarie tra vari eredi per la divisione del patrimonio ereditario relitto da S.P. (padre naturale della G.S.) e concluse con sentenza parziale del 22.5.09.

Chiedeva, pertanto, che fosse ordinato alla G.S. il pagamento della somma di Euro 650.886,00 oltre accessori di legge, considerato il raddoppio degli onorari massimi, D.M. n. 127 del 2004, ex art. 5, comma 2, avuto riguardo ai risultati del giudizio ed agli “indubbi vantaggi” conseguiti dalla propria assistita.

Assumeva che il valore della controversia era stato rapportato a quello dell’asse ereditario oggetto di detti giudizi, stimato in Euro 50.000,00, a fronte di un “valore effettivo” di Euro 100.000,00.

A proposito di dette cause l’Avv. C. esponeva che S. P. era deceduto senza testamento ed alla successione legittima erano stati chiamati, oltre alla figlia naturale, la moglie Sc. L., L. e G., nati dalla loro unione, nonchè le due figlie di primo letto, D. ed E..

La prima, in ordine di tempo, delle due cause riunite, era stata quella promossa dalle sorellastre, D. ed S.E. contro Sc.Lu. e S.L. ed era stata convenuta in giudizio anche G.S.T.,litisconsorte. Con tale causa le sorelle deducevano di essere state lese nei loro diritti di legittimarie per avere il padre lasciato, alla moglie ed ai figli maschi, L. e S.G., tramite una fondazione del Liechtenstein, denominata Fondazione (omissis), una tenuta agricola di 9.000 ettari, sita in Argentina. A sua volta G.S. T., con il patrocinio di esso avvocato C., con la seconda causa, aveva convenuto, innanzi al Tribunale di Milano, la Fondazione (omissis) del Liechtenstein, l’avvocato P.M., principale fiduciario di S.P., residente a (omissis), nonchè la Sig.ra Sc. ved. S. e S.L., svolgendo una domanda di petizione ereditaria relativamente alla suddetta tenuta agricola argentina, e comunque domanda di inclusione, ex art. 556 c.c., della tenuta argentina fra i beni ereditari. Tale causa era stata riunita alla precedente. La convenuta *********. D.A. si costituiva in entrambe le cause sostenendo che la tenuta argentina non poteva essere inclusa nei beni ereditari neppure ai fini della riunione fittizia perchè tali beni erano stati attribuiti a lei ed ai figli maschi, ancorchè maggiorenni, a titolo di mantenimento,in occasione della separazione dal marito. Inoltre, la Sig.ra Sc. chiedeva, in via rinconvenzionale, l’accertamento della lesione dei suoi diritti di legittimarla per effetto delle donazioni indirette, riconducibili al de cuius, effettuate tramite altre due fondazioni del Liechtenstein, la Fondazione Halloro e la Fondazione Pagan, il cui regolamento contemplava solo i figli maschi per il 18/30 e le figlie femmine per il 12/30, e, dunque, per 4/30 cadauna.

Chiedeva, quindi, che le sorelle S. fossero condannate a reintegrarla nella quota di legittima per la parte su di esse gravanti, ma con esclusione dei figli maschi nei cui confronti dichiarava di rinunciare a pretendere alcunchè.

Il Tribunale di Milano aveva emesso una sentenza parziale, dopo la quale esso Avv. C. aveva rinunciato al mandato presentando la parcella per il lavoro svolto. Nel giudizio promosso dall’Avv. C. si costituiva ****** e, senza contestare le prestazioni indicate in detta parcella, assumeva:

che la causa doveva ritenersi di valore indeterminabile, sia perchè così dichiarato all’atto di iscrizione a ruolo della causa e sia per la complessità di valutare l’asse ereditario, tanto che il Tribunale, a tal fine, aveva nominato quattro esperti;

che l’importo della parcella era eccessivo, non ricorrendo, peraltro, i presupposti per il raddoppio del massimo dell’onorario, considerato che, con la sentenza parziale, erano state rigettate tutte le sue domande. Con ordinanza 6.7.2010, L. n. 794 del 1942, ex art. 29, comma 6, il Tribunale di Milano liquidava all’avv. C. F., per l’opera professionale prestata in favore della resistente, la somma complessiva di Euro 31.052,00 di cui Euro 2.930,00 per spese, Euro 6.977,00 per diritti ed Euro 21.145,00 per onorari, oltre accessori di legge; compensava interamente fra le parti le spese del procedimento. Rilevava il Tribunale che la causa era da ritenersi di valore indeterminabile, tenuto conto, soprattutto, dell’impossibilità di stimare, anche solo presuntivamente ex ante, il patrimonio relitto da S.P., stante la “compresenza e l’interazione nella causa…. di varie domande (proposte dai vari coeredi, figli legittimi e vedova del de cuius) di petizione ereditaria, di accertamento della natura donativa di atti dispositivi compiuti in vita dal de cuius e di conseguente loro riduzione per lesione della legittima nonchè di nullità ed inefficacia dei negozi costitutivi della Fondazione (omissis)”;

escludeva il raddoppio degli onorari essendo state rigettate tutte le domande proposte dalla G.S. nei confronti di detta Fondazione e considerato che nessuno degli avvocati delle altre parti processuali aveva proposto,nelle rispettive note spese,il raddoppio degli onorari. Avverso tale ordinanza l’Avv. C. propone ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost., comma 7, sulla base di un unico motivo illustrato da memoria.

Resiste con controricorso e successiva memoria G.S. T.E..

Motivi della decisione

Il ricorrente deduce, citando giurisprudenza di questa Corte a sostegno della sua tesi:

“violazione del D.M. 8 aprile 2004, artt. 4, 5 e 6 e dell’allegata tabella A e B, interpretati alla luce dell’art. 2033 c.c. e dell’art. 36 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa ed insufficiente motivazione su punti decisivi”;

in particolare, il Tribunale aveva erroneamente ritenuto la causa di valore indeterminabile, facendo riferimento, sopratutto, alla dichiarazione resa ai fini del pagamento del contributo unificato, dichiarazione che, in quanto indirizzata al funzionario di cancelleria, doveva considerarsi estranea alle conclusioni dell’atto di citazione cui si riferiva l’art. 163 c.p.c., n. 4;

il valore indeterminabile della causa non era, peraltro, desumibile dalla compresenza in giudizio di diverse domande confliggenti, dovendosi cumulare il valore delle domande proposte da ciascuna parte ed, in caso di domanda riconvenzionale di maggior valore, farsi riferimento al valore di questa (o della somma dei valori ove fossero state formulate più domande riconvenzionali dalla stessa parte);

nella specie si era verificato che, alla domanda della G. S. (il cui valore era determinato per relationem dalla perizia di stima dei titoli azionari redatta dalla KPMG: doc.13 inserito nel falcone A allegato al ricorso L. n. 794 del 1942, ex art. 28), si erano contrapposte le domande riconvenzionali della Sig. Sc. di maggior valore, in relazione alle quali la prima domanda riconvenzionale (come del resto la domanda dell’attrice) era determinata nel valore, per effetto del richiamo alla perizia effettuata dalla KGMP, prodotta in causa dalle sorelle D. ed S.E. (allegata al ricorso di liquidazione dell’onorario sub doc. 13 inserita nel faldone A); per quanto atteneva al donatum, la *******., a pag. 23 della comparsa di risposta (faldone B sotto fascicolo “comparse di risposta”), dichiarava che la Fondazione Pagan, alla data della morte di S.P., aveva un patrimonio di 47 milioni di franchi svizzeri e di 20 milioni la Fondazione Halloro: valori che erano stati accettati da ****** che, all’uopo, aveva prodotto in causa gli attestati del Consiglio di Amministrazione delle due Fondazioni(sub doc. 44 e 45 del fascicolo della causa prodotto in copia con il ricorso, distinto con il n. 7 ed inserito nel faldone A);

parimente determinato era il valore dei beni relitti descritti nell’inventario redatto dal notaio ********, prodotto in causa da altre parti, menzionato dalla Sig.ra Sc. nella sua comparsa di risposta e allegato all’istanza di liquidazione del compenso sub doc. 14 nel faldone A; dal complesso di tali documenti risultavano i seguenti valori: la Fondazione (omissis) (47 milioni di USA Dollari);

la Fondazione Halloro (20 milioni di ****************) la Fondazione Pagan (47 milioni di ****************) oltre a 30.000.000 (beni inventario) = 116.913,761; ai sensi delle norme del codice di procedura civile, nelle cause ereditarie, il valore deve determinarsi in funzione del valore complessivo dell’asse qualora la contestazione riguardi l’intero asse e non una o più quote di esso;

le “oscillazioni” dell’Avv. C., sulla indicazione di diversi valori della causa, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza impugnata, erano inidonee a declassare “una causa del valore di oltre Euro 100 milioni ad un valore compreso tra 200.000 e 516.000 Euro”;

il Tribunale, nell’escludere il raddoppio dell’onorario massimo,non aveva considerato nè l’esito positivo della causa, “relativamente all’inclusione dei beni argentini nella riunione fittizia, statuizione passata in giudicato” nè che il capo della domanda, concernente la nullità della Fondazione (omissis), era stata oggetto di appello differito da parte di G.S.;

dalla ragionevole “previsione” della soccombenza della Sc. e del figlio L. nonchè della Fondazione (omissis) e dell’avv. P.M., conseguiva che il valore effettivo della causa, stante anche la sua “straordinaria importanza”, doveva rapportarsi ad un importo di oltre cento milioni di Euro, nè rilevava, ex art. 6 della tariffa professionale, l’onorario richiesto dagli altri difensori; la somma liquidata dal Tribunale, nell’importo di Euro 21.145,00, era inferiore ai minimi tabellari stabiliti dalla tariffa forense, sia pure considerando il valore della controversia in Euro 50.000,00; ne conseguiva la violazione del D.M. n. 127 del 2004, dell’art. 2233 c.c. e dell’art. 36 Cost. nonchè dell’art. 5, comma 4 della tariffa, trattandosi di causa contro quattro persone “ognuna delle quali con posizione differenziata”.

Osserva il Collegio che le eccezioni d’inammissibilità del ricorso, prospettate dalla controricorrente, sono infondate, rispondendo esso ai requisiti stabiliti dall’art. 360 bis c.p.c., secondo quanto risulterà dal suo esame. Il Tribunale ha ritenuto di valore indeterminabile la controversia relativa alla divisione di beni ereditari, con riferimento:

alla impossibilità di stimare, ex ante, il patrimonio relitto dal de cuius;

al carattere autonomo e configgente delle domande dei coeredi;

alla dichiarazione del difensore sul valore indeterminabile della causa, ai fini del pagamento del contributo unificato;

alle “oscillazioni” del valore della causa, secondo le indicazione dell’avv. C.F. (Cfr. nota 2 dell’ordinanza imp.).

Quanto al riferimento alla dichiarazione del difensore sul valore indeterminabile della causa, ai fini del contributo unificato, va osservato che la decisione impugnata è errata, ponendosi innanzitutto in contrasto con il principio secondo il quale la dichiarazione del difensore attinente alla determinazione del contributo unificato è indirizzata al funzionario di cancelleria al quale compete il relativo controllo ed è ininfluente sul valore della domanda (Cass. n. 4994/2008; n. 5714/2007). Nè assumono alcun valore le “oscillazioni” del valore della causa ravvisabili nelle prospettazioni dell’avv. C. anteriormente alla proposizione della domanda. Quanto al carattere autonomo e confliggente delle domande, contrariamente a quanto affermato nel provvedimento impugnato, esso non comporta il valore indeterminabile delle cause.

Deve considerarsi in proposito che, secondo la regola stabilita dal D.M. n. 127 del 2004, art. 6, comma 1, espressamente enunciata per gli onorari a carico del soccombente, ma espressione di un principio generale valido anche per la liquidazione a carico del cliente, di regola la determinazione del valore della causa va rapportata ai criterì stabiliti dal codice di procedura civile, con la particolarità che, per la liquidazione degli onorari a carico del cliente, deve farsi riferimento anche alla statuizione dell’art. 6, comma 2, a norma del quale “può aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando risulti manifestamente diverso” nonchè dell’art. 6, comma 4, a norma del quale “per la determinazione del valore effettivo della controversia deve farsi riferimento al valore dei diversi interessi perseguiti dalle parti”. Va ancora considerato:

ai sensi dell’art. 15 c.p.c., u.c., per la cause relative a beni immobili, ove non risultino i valori catastali, la causa va ritenuta di valore indeterminato solo ove il valore non emerga dagli atti;

l’art. 10 c.p.c. prevede la determinazione del valore della causa in base alla domanda e, tuttavia, qualora il convenuto abbia proposto una domanda riconvenzionale, occorre fare riferimento a quest’ultima se di valore superiore(Cass. n. 10758/2008) senza procedersi al cumulo con le altre domande(Cass. n. 19065/2006; n. 7239/2005; n. 1202/2003), nè di queste fra loro, in caso di riunione di procedimenti se provenienti da soggetti diversi (Cass. n. 11150/2003; n. 6236/1983). Nell’ambito di ciascuna domanda i capi che non siano alternativi o subordinati vanno, invece, sommati fra loro, se proposti contro la medesima parte, attribuendo al capo (o ai capi) di domanda di valore indeterminabile il valore secondo quanto prescritto dall’art. 6, comma 5 del suddetto D.M. e applicando lo scaglione tabellare corrispondente alla somma fra lo stesso e quello degli altri capi sommati secondo quanto sopra specificato (Cass. n. 10758/2008).

La diversa tesi, secondo la quale, ove un capo di domanda sia di valore indeterminabile l’intera causa, ai fini della liquidazione del compenso professionale, deve ritenersi di valore indeterminabile, si pone infatti in contrasto con il principio ispiratore della tariffa forense, secondo il quale i compensi debbono essere proporzionati al lavoro ed all’impegno che la causa nel suo complesso richiede, così da non potersi interpretare la relativa disciplina in modo tale da poter comportare, in caso di cumulo di una domanda di valore indeterminabile con una domanda di valore determinato di grandissimo valore, la liquidazione di un onorario inferiore a quello liquidabile in relazione a quest’ultima.

Quanto al profilo del ricorso, secondo il quale il valore della causa al quale andrebbero ragguagliati gli onorari, sarebbe quello dell’asse, trattandosi di cause ereditarie cui si applica, ai fini della determinazione del valore, l’art. 12 c.p.c., comma 2, in tema di divisioni, salvo quanto appresso si dirà in ordine alla individuazione e determinazione delle domande che il giudice del rinvio dovrà compiere, l’assunto non può essere condiviso. Deve, infatti, ritenersi, contrariamente a quanto affermato nelle decisioni menzionate dal ricorrente, che, ai fini degli onorari, il valore delle cause di divisione non vada stabilito a norma dell’art. 12 c.p.c., u.c., per il riferimento fatto in via generale dal D.M. n. 127 del 2004, art. 6, comma 1 a detto codice per la determinazione del valore della causa, tenuto conto che lo stesso art. 6, comma 1, deroga espressamente al suddetto rinvio in materia di giudizi divisori, in relazione ai quali stabilisce, con statuizione avente valore di principio ed applicabile anche agli onorari dovuti dal cliente, che in tali giudizi il valore va determinato in relazione al valore della “quota o dei supplementi di quota in contestazione” (in tal senso Cass. n. 3657/1975; n. 616/1980).

Tale interpretazione è aderente alla lettera ed alla ratio della norma, posto che l’opposta interpretazione viene a disancorare, irragionevolmente, il valore della causa da quella dell’interesse in concreto perseguito dalla parte.

Va rammentato, poi, con specifico riferimento alla fattispecie in esame, che l’azione di riduzione è azione diversa e prodromica rispetto all’azione di divisione, essendo la prima diretta a ricostituire l’asse ereditario, di regola attraverso la dichiarazione d’inefficacia di determinati atti (disposizioni testamentarie o donazioni) mentre la seconda è diretta allo scioglimento della comunione ereditaria.

Tuttavia, in mancanza di normativa espressa sul modo di determinare il valore della causa in relazione a detta azione, ai fini della liquidazione degli onorari, deve ritenersi applicabile, per analogia, la disciplina relativa alle cause di divisione.

In ordine, poi, alla violazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 5 da cui sarebbe inficiato il decreto impugnato, va considerato che detto articolo prevede (commi 2 e 3) la possibilità di una maggiorazione, da correlarsi ad una valutazione, del tutto facoltativa e discrezionale, di congruità dell’onorario, liquidabile in base al comma 1, in relazione ai vantaggi conseguiti nonchè alla particolare o straordinaria importanza della causa. Ai riguardo va considerato che, in ordine alla particolare importanza della causa ed ai risultati e vantaggi derivatine alla cliente, negati dal provvedimento impugnato – da ritenersi nell’impostazione complessiva del motivo censurato anche sotto il profilo motivazionale – il Tribunale ha escluso l’applicabilità del D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 2, con riferimento al rigetto delle domande della G. S. inerenti alla nullità della fondazione (omissis), non motivando su altri possibili vantaggi conseguiti dalla stessa, rapportati dal ricorrente alla inclusione dei beni argentini nella riunione fittizia, omettendo,inoltre, di prendere in esame, in relazione al disposto dell’art. 5, comma 3, le numerose questioni giuridiche trattate (indicate alle pagg. 9-11 del ricorso L. n. 794 del 1942, ex art. 28 e 29 ed a pag. 21 del ricorso in esame), con conseguente vizio motivazionale.

In particolare,del tutto genericamente il Tribunale ha affermato che trattatasi di una “comune causa ereditaria” e che i difensori delle altre parti non avevano chiesto il raddoppio dell’onorario nelle rispettive note spese, riconoscendo, tuttavia, contraddittoriamente, che la cause riunite erano “complesse”, che l’avvocato aveva “profuso notevole impegno professionale”.

Dalle considerazioni che precedono deriva l’accoglimento del ricorso, nei limiti in cui i motivi prospettati risultano accolti, essendo la motivazione del Tribunale errata nei sensi sopra indicati, laddove ha omesso di verificare, previa compiuta individuazione e qualificazione delle domande, se dalla documentazione in atti emergesse la determinabilità del valore alla stregua dei suddetti principi, potendo la causa essere ritenuta di valore indeterminabile solo ove la determinabilità stessa non risultasse possibile.

Consegue la cassazione del provvedimento impugnato ed il rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Milano in diversa composizione, il quale farà applicazione dei suddetti principi di diritto.

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Milano in diversa composizione.

Redazione