Confisca e sequestro preventivo (Cass. pen. n. 38392/2013)

Redazione 18/09/13
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Svolgimento del processo

1. Il GIP presso il Tribunale di Torino, con sentenza del 15 ottobre 2012, emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., ha applicato a *******, C.M., ****** e P. A. la pena concordata con il Pubblico Ministero.

E’ stata, altresì, disposta la confisca in solido, ai sensi dell’art. 322 ter c.p. e L. n. 245 del 2007, art. 1, comma 143 di beni in relazione ai capi Z4 (indicazione nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2007 delle s.p.a. ********* e ************ di elementi passivi fittizi) per complessivi Euro 4.207.500,00 e Z6 (indicazione nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2009 della s.r.l. ***************** di elementi passivi fittizi) per complessivi Euro 1.020.000,00 in entrambe le ipotesi per violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.

I reati ascritti consistevano nell’associazione a delinquere allo scopo di commettere violazioni finanziarie, bancarotte fraudolente, appropriazioni indebite, truffe e falsi.

In sostanza gli imputati, avendo nella loro totale disponibilità società di capitali, si associavano per la gestione delle suddette società nel settore dell’acquisizione, rivendita, ristrutturazione e frazionamento di beni immobili, operando in modo da strumentalizzare la disciplina delle imposte dirette e indirette o comunque commettendo illeciti di ulteriore natura al fine di commettere delitti di natura tributaria (dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture per operazioni inesistenti o con altri artifici, dichiarazioni infedeli, omesse dichiarazioni, emissione di fatture per operazioni inesistenti, D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 3, 4, 5 e 8) nonchè più reati fallimentari, appropriazioni indebite, truffe e falsi.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati, a mezzo dei propri difensori, lamentando:

P.A.:

a) una violazione di legge e un difetto di motivazione in merito alla mancata assoluzione per gli ascritti reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 3 e 8 (capi R, T, Z4, Z9, Z11, Z13, Z5), all’art. 416 c.p. (capo Z7) e agli art. 216, comma 1, nn. 1 e 2 e *******., art. 223, commi 1 e 2, (capi Z26, Z26bis, Z26ter).

Z.A.P.:

a) una erronea applicazione della legge penale e in particolare dell’art. 322 ter c.p. sul punto della ritenuta applicabilità nei reati plurisoggettivi a concorso eventuale della confisca per equivalente in capo a ciascuno dei concorrenti in solido tra loro e per un valore corrispondente all’intero importo del profitto derivante dal reato;

b) una erronea applicazione della legge penale e in particolare dell’art. 322 ter c.p. sul punto delle ritenuta applicabilità del provvedimento di confisca malgrado l’assenza di profitto conseguente al reato di cui al capo Z6 (indicazione nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2009 della s.r.l. ***************** di elementi passivi fittizi);

c) una motivazione illogica in punto di individuazione del vantaggio patrimoniale conseguito dal concorrente non qualificato nel reato tributario ai fini della determinazione del quantum di confisca per equivalente applicabile.

C.M.:

a) una erronea applicazione della legge penale e in particolare dell’art. 322 ter c.p. sul punto delle ritenuta applicabilità del provvedimento di confisca malgrado l’assenza di profitto;

b) una erronea applicazione della legge penale e in particolare dell’art. 322 ter c.p. sul punto della ritenuta applicabilità nei reati plurisoggettivi a concorso eventuale della confisca per equivalente in capo a ciascuno dei concorrenti in solido tra loro e per un valore corrispondente all’intero importo del profitto derivante dal reato;

c) una erronea applicazione della legge penale e in particolare dell’art. 322 ter c.p. per essere stata disposta la confisca dei beni dell’imputato senza previa ricerca del profitto nelle casse delle società della quale era amministratore.

Pe.Ri.:

a) una erronea applicazione della legge penale e in particolare dell’art. 322 ter c.p. sul punto della ritenuta applicabilità nei reati plurisoggettivi a concorso eventuale della confisca per equivalente in capo a ciascuno dei concorrenti in solido tra loro e per un valore corrispondente all’intero importo del profitto derivante dal reato;

b) una motivazione illogica in punto di individuazione del vantaggio patrimoniale conseguito dal concorrente non qualificato nel reato tributario ai fini della determinazione del quantum di confisca per equivalente applicabile;

c) una erronea applicazione della legge penale e in particolare dell’art. 322 ter c.p. per essere stata disposta la confisca per equivalente sui beni dell’imputato senza alcuna previa verifica in ordine alla possibilità di disporre la confisca diretta presso i soggetti contributivi individuati nei capi d’imputazione Z4 e Z6.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso P. e per il rigetto dei ricorsi C., Pe. e Z..

4. Risultano, infine, pervenute memorie nell’interesse dei ricorrenti Pe. (una a firma avvocato ****** e una a firma avvocato **********), Z. e C. con le quali si pone replica alle conclusioni del Procuratore Generale.

Motivi della decisione

1. Il ricorso P. è inammissibile.

2. In diritto si afferma pacificamente come nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti (artt. 444 c.p.p. e seg.), (queste) non possono prospettare con il ricorso per cassazione questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento formulata per il fatto contestato e per la relativa qualificazione giuridica risultante dalla contestazione, in quanto l’accusa come giuridicamente qualificata non può essere rimessa in discussione.

L’applicazione concordata della pena, infatti, presuppone la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento e al consenso a essa prestato.

Cosicchè, in questa prospettiva, l’obbligo di motivazione del Giudice è assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e positiva valutazione dei termini dell’accordo intervenuto tra le parti e dell’effettuato controllo degli elementi di cui all’art. 129 c.p.p. conformemente ai criteri di legge (v. Cass., Sez. 2, 14 gennaio 2009, n. 5240 e di recente, Sez. 5, 25 marzo 2010 n. 21287).

Nella specie, questa volta in fatto, il GIP presso il Tribunale ha dato conto del controllo effettuato circa la sussistenza dei fatti e la loro qualificazione giuridica e, quindi, dell’impossibilità di addivenire ad una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p..

3. Quanto agli altri ricorsi Z., Pe. e C., che hanno concordemente ad oggetto la sola sanzione della confisca giova premettere, con discorso di natura generale, come l’ambito di applicazione della confisca per equivalente, inizialmente prevista per alcuni reati del codice penale, sia stato esteso anche ai reati tributati dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, (Finanziaria 2008), secondo il quale “nei casi di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), 4 (Dichiarazione infedele), 5 (Omessa dichiarazione), 8 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), 10-bis (Omesso versamento di ritenute certificate), 10-ter (Omesso versamento di ***), 10-quater (Indebita compensazione) e 11 (Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte), si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art. 322-ter c.p.”.

Come è noto, la confisca per equivalente può riguardare (a differenza dell’ordinaria confisca prevista dall’art. 240 c.p., che può avere ad oggetto soltanto cose direttamente riferibili al fatto illecito) beni che, oltre a non avere nessun rapporto con la pericolosità individuale dell’agente o della cosa in sè, non hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato: difatti, tale provvedimento non ricade direttamente sui beni costituenti il profitto del reato, ma ha per oggetto il controvalore di essi.

Il fondamento della citata L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, è stato individuato nell’opportunità di consentire l’applicazione di misure ablative patrimoniali anche a quelle fattispecie di reato inequivocabilmente caratterizzate dal conseguimento di un profitto o vantaggio economico realizzato attraverso un “risparmio” di spesa in grado di diminuire o pregiudicare il flusso delle entrate tributarie.

Attraverso la confisca si è inteso privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume i tratti distintivi di una vera e propria sanzione in quanto non è commisurata alla colpevolezza dell’autore del reato nè alla gravità della condotta.

Al fine di rafforzare gli strumenti di contrasto all’evasione fiscale è stata introdotta una “misura sanzionatoria” che si affianca alla pena detentiva per le violazioni più gravi delle norme tributarie.

E’ evidente, quindi, come il nesso eziologico tra i beni oggetto di confisca e il fatto-reato dimostri una tendenza ad allentarsi fino a scomparire, in quanto la misura colpisce i beni indipendentemente dal loro collegamento, diretto o mediato, con il reato: la provenienza dei beni da reato non rappresenta più oggetto di prova, dal momento che scompare ogni relazione di tipo causale (v. Cass. Sez. 6, 6 dicembre 2012 n. 18799).

Per contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale è apparsa, dunque, ragionevole e condivisibile la scelta politico-criminale di rendere obbligatoria l’ablazione del profitto del reato, o dell’equivalente, anche per i reati tributari a causa della sostanziale inoperatività della confisca ordinaria.

L’oggetto della misura ablativa è rappresentato dai beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a quelli costituenti il prezzo o il profitto del reato, che sia stato realmente lucrato dall’indagato (v. Cass. Sez. 6, 5 ottobre 2012 n. 42530).

Nei reati tributari, più in particolare, il profitto del reato, generalmente coincidente con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato, si identifica con l’ammontare delle ritenute (v. Cass. Sez. 3, 8 novembre 2012 n. 45735) o dell’imposta sottratta al fisco, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita, anche se consistente in un risparmio di spesa (v. Cass. Sez. 3, 26 maggio 2010 n. 25890; Sez. 3, 12 ottobre 2011 n. 1893; Sez. 3, 7 luglio 2010 n. 35807 e Sez. 3, 4 luglio 2012 n. 3439).

In tale contesto si è ulteriormente sostenuto che l’ammontare della imposta evasa costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale, direttamente derivante dalla condotta illecita e, come tale, certamente riconducibile alla nozione di “profitto del reato”, in quanto sostanzialmente si traduce in un risparmio economico da cui consegue la effettiva sottrazione degli importi non versati in conformità alla loro destinazione fiscale, dei quali direttamente beneficia l’autore (v. Cass. Sez. 3, 2 dicembre 2011 n. 1199).

Sono confiscabili e, quindi, suscettibili di sequestro preventivo anche i beni immobili appartenenti al soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alienati per far venir meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, in quanto costituiscono lo strumento a mezzo del quale viene commesso il reato, a nulla rilevando la loro qualificazione quale prezzo o profitto di tale delitto (v. Cass. Sez. 3, 4 giugno 2009 n. 34798).

Il profitto, dunque, quale risparmio del contribuente, non può che essere calcolato con riferimento alla totalità del credito vantato dall’erario (comprensivo degli interessi e delle sanzioni), essendo del tutto indifferente la natura delle voci che lo compongono, dato che la condotta illecita è finalizzata ad evitare complessivamente il pagamento delle imposte (v. Cass. Sez. 5, 10 novembre 2011 n. 1843), che non esclude il conseguimento di vantaggi ulteriori riflessi per il soggetto evasore (v. Cass. Sez. 3, 4 luglio 2012 n. 11836).

La nozione di profitto elaborata dalle Sezioni semplici nella materia tributaria è stata, poi, integralmente recepita da un recente pronunciamento delle Sezioni Unite, secondo cui “il profitto confiscabile può essere costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguente alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi e sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario” (v. Cass. Sez. Un. 31 gennaio 2013 n. 18374).

E’ stato osservato che “la pretesa tributaria” non ha precisi confini per l’operatività di alcuni meccanismi di deflazione del contenzioso fiscale: l’obbligazione tributaria sorta in base alla legge si modula diversamente nella dinamica impositiva anche in relazione ad una serie di istituti che hanno sempre più accentuato la determinazione concordata dell’imposta (il riferimento è alla mediazione tributaria introdotta dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 9), ovvero l’adempimento spontaneo della pretesa a definizione del rapporto tributario (D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, disposizioni in materia di accertamento per adesione e di conciliazione giudiziale), per cui la debenza tributaria conclusiva spesso diverge dalla pretesa originaria; ma se nel diritto tributario è ormai chiara l’apertura verso una vera e propria negoziabilità della pretesa fiscale, deve essere ribadita la piena autonomia del procedimento penale per l’accertamento dei reati tributari rispetto al processo tributario e all’accertamento fiscale (v. Cass. Sez. 3, 19 settembre 2012 n. 1256).

In riferimento al reato commesso da una pluralità di indagati, la giurisprudenza ha affrontato la problematica relativa alla possibilità di disporre la misura per intero o “prò quota” sui beni delle persone sottoposte ad indagini.

La questione riguarda, nel caso di corresponsabilità nella commissione dell’illecito, l’imposizione del sequestro preventivo fino a coprire l’intero importo del profitto del reato sui beni di ciascuno o le modalità di ripartizione interna della cautela reale qualora sia possibile stabilire l’entità dell’arricchimento individuale.

Le Sezioni Unite, con riferimento alla responsabilità da reato degli enti – ma il principio ha una validità più generale – hanno chiarito che nel caso di illecito plurisoggettivo, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, ma l’espropriazione non può comunque eccedere nel “quantum” l’ammontare complessivo dello stesso (v. Cass. Sez. Un. 27 marzo 2008 n. 26654; negli stessi termini anche la successiva giurisprudenza a Sezioni semplici, tra cui Sez. 5, 10 gennaio 2012 n. 13562; Sez. 5, 24 gennaio 2011 n. 13277; Sez. 2, 16 novembre 2012 n. 8740; Sez. 6, 6 marzo 2009 n. 18536 e Sez. 5, 3 febbraio 2010 n. 10810).

Tale regola fa applicazione del principio solidaristico, che informa la disciplina del concorso di persone nel reato, in ragione del quale è consentita l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente, nonostante le somme illecite siano state incamerate in tutto o in parte agendo sul patrimonio degli altri coindagati.

Tuttavia, secondo la giurisprudenza sopra indicata il principio solidaristico non può certo giustificare, neppure a livello cautelare, che il vincolo d’indisponibilità ecceda il valore stesso del profitto, addirittura determinando ingiustificate duplicazioni (v. Cass. Sez. 6, 25 gennaio 2013 n. 21222).

In altri termini, si ammette che il sequestro preventivo possa essere applicato nei confronti di ciascun concorrente del reato anche per l’intera entità del valore accertato come profitto o prezzo, con il limite di non poter eccedere, con riferimento alla globalità dei concorrenti, l’ammontare complessivo del valore del prezzo o del profitto.

Non appare sostenibile una regola diversa, dovendo escludersi che il sequestro preventivo possa avere un ambito di applicazione più vasto della confisca, nel senso che il divieto di eccedere o di duplicare il valore relativo al profitto o al prezzo del reato, in presenza di una pluralità di concorrenti, scatti solo con il provvedimento definitivo di confisca, al quale viene riconosciuta natura sanzionatoria.

Per la funzione strumentale del sequestro preventivo e per i principi generali del diritto processuale, con il provvedimento cautelare non è possibile ottenere più di quello che potrebbe essere conseguito con il provvedimento definitivo, in quanto uno degli aspetti che il Giudice deve valutare ai fini dell’emissione della misura cautelare è costituito proprio dalla corrispondenza tra il valore dei beni oggetto della futura ablazione e l’entità del profitto o del prezzo del reato (v. Cass. Sez. 6, 26 marzo 2013 n. 28264).

4. Con riferimento ai motivi di ricorso sub a) per Z. e Pe. e sub b) per C., in ordine alla proporzione del valore di quanto in sequestro e di poi in confisca con la quota di prezzo o prodotto illecito imputabile a ciascun concorrente, è sufficiente osservare come, allo stato, non sia accettabile – nè risulti accertata – la quota di illecito profitto del reato riferibile agli imputati, astrattamente tenuti all’intero per il principio della solidarietà, in mancanza di successiva quantificazione.

In tal senso, va ribadito il principio di diritto enunciato da questa stessa Sezione e dianzi specificato, secondo cui il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente e, conseguentemente la successiva confisca, possano interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, anche se poi l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l’ammontare complessivo dello stesso profitto.

In linea di diritto si osserva, infatti, come ai fini della ripartizione interna tra correi della cautela reale, il sequestro preventivo abbia natura provvisoria, essendo strumentale alla futura esecuzione della confisca, e possa pertanto essere disposto, per l’intero (e, cioè, fino all’entità del profitto complessivo), nei confronti di ciascuno degli indagati, diversamente dalla confisca, istituto di natura sanzionatoria che non può in alcun caso eccedere l’ammontare del prezzo o del profitto del reato ed è arresto ormai consolidato che, in caso di pluralità di indagati quali concorrenti in un medesimo reato compreso tra quelli per i quali, ai sensi dell’art. 322 ter c.p., possa disporsi la confisca “per equivalente” di beni per un importo corrispondente al prezzo o al profitto del reato, il sequestro preventivo funzionale alla futura adozione di detta misura possa interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, anche se l’espropriazione non possa essere duplicata o comunque eccedere nel “quantum” l’ammontare complessivo dello stesso.

Infatti, si tratta dell’applicazione del principio solidaristico, che informa la disciplina del concorso di persone nel reato, in ragione del quale è consentita l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente, nonostante le somme illecite siano state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati.

A nulla rileva poi la mancata quantificazione, in relazione al reato plurisoggettivo di violazione delle norme tributarie di cui ai contestati D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 110 e 2 del singolo profitto, dal momento che nell’ipotesi di illecito commesso da una pluralità di soggetti, deve applicarsi il principio solidaristico che informa la disciplina del concorso delle persone nel reato, implicando l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente, per cui, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (v. Cass. Sez. 5, 16 gennaio 2004 n. 15445 e Sez. F. 28 luglio 2009 n. 33409), una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti per l’intera entità del profitto, non essendo esso ricollegato all’arricchimento personale di ciascuno dei correi, ma alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito.

Nella specie, inoltre, nessuna duplicazione dell’importo confiscato nè eccesso alcuno rispetto all’ammontare complessivo in merito alla disposta confisca si ravvisa o appare aliunde evidenziato.

5. Con riferimento al motivo sub b) per Z. e sub a) per C. e cioè all’applicazione della sanzione della confisca al reato di cui al capo Z6 (art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2) pur in assenza di profitto, a cagione della mancata stipula del contratto definitivo in conseguenza del contratto preliminare nel quale si era realizzata l’accertata evasione dell’IVA basta osservare come la dedotta evasione costituisca illecito profitto.

Invero, in tema di reati tributari come già dianzi evidenziato, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, dei reati tributari, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (v. le citate Sez. 3, 2 dicembre 2011 n. 1199 e Sez. 3, 17 gennaio 2013 n. 9578 nonchè Sez. 5, 10 novembre 2011 n. 1843 e Sez. Un. 31 gennaio 2103 n. 18374, queste ultime riferite alla fattispecie di cui al D.Lgs. 74 del 2000, art. 11 ma con principio di diritto applicabile a tutte le fattispecie penali tributarie di cui al medesimo d.lgs. 74/2000).

6. Con riferimento al motivo sub c) per Z. e sub b) per Pe., relativi all’individuazione del vantaggio patrimoniale conseguito dal concorrente estraneo alla società si osserva come del tutto logiche siano le argomentazione del provvedimento impugnato allorquando affermano che è sulla base delle generali norme sul concorso di persone nel reato che possa consentirsi la confisca anche nei confronti di soggetti che non abbiano direttamente partecipato ai fatti di evasione tributaria ma che purtuttavia si siano avvantaggiati del profitto del reato come dianzi specificato.

7. Con riferimento ai motivi sub c) per C. e Pe. essi sono ai limiti dell’inammissibilità, in quanto del tutto genericamente assumono la violazione del principio di “sussidiarietà” di cui all’art. 322 ter c.p..

Conformemente alla prevalente giurisprudenza, si osserva che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato, così come la definitiva apprensione dello stesso, possa incidere contemporaneamente od indifferentemente sui beni dell’ente che dal medesimo reato abbia tratto vantaggio e su quelli della persona fisica che lo abbia, viceversa, commesso con l’unico limite, come dianzi espresso, per cui il vincolo cautelare non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto (v. Cass. Sez. 3, 9 maggio 2012 n. 38740).

8. Ne consegue, in definitiva, l’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente P. al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, che appare equo determinare in Euro 1.500,00 trattandosi di impugnazione di una sentenza di patteggiamento.

I ricorsi Z., C. e Pe., di converso, devono essere rigettati e i ricorrenti condannati ciascuno al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso proposto da P. A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Rigetta i ricorsi proposti da Z., **. e C. che condanna ciascuno al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2013.

Redazione