SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
3 ottobre 2006 (*)
« Sesta direttiva IVA – Art. 33, n. 1 – Divieto di riscuotere altre imposte interne che abbiano natura di imposte sulla cifra d’affari – Nozione di “imposte sulla cifra d’affari” – Imposta regionale italiana sulle attività produttive »
Nel procedimento C‑475/03,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Commissione tributaria provinciale di Cremona, con ordinanza 9 ottobre 2003, pervenuta in cancelleria il 17 novembre 2003, nel procedimento
Banca popolare di Cremona Soc. coop. a r.l.
contro
Agenzia delle Entrate, Ufficio di Cremona,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. *******, C. W. *************, ********, ************, ************, presidenti di Sezione, dalla sig.ra *********** (relatore), dal sig. J. ******************, dalla sig.ra ******** de Lapuerta, dai sigg. ***********, P. Kūris, ******ász e **********, giudici,
avvocato generale: sig. ************; successivamente sig.ra *******-*****
cancelliere: sig.ra **********, amministratore; successivamente sig. H. von ********, cancelliere aggiunto, e sig.ra **********, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 16 novembre 2004,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Banca popolare di Cremona Soc. coop. a r.l., dall’avv. *********,
– per il governo italiano, dal sig. I. ************, in qualità di agente, assistito dal sig. ************, avvocato dello Stato,
– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. *********** e ****************, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale ******, presentate all’udienza del 17 marzo 2005,
vista l’ordinanza di riapertura della trattazione orale 21 ottobre 2005 e in seguito alla trattazione orale del 14 dicembre 2005,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Banca popolare di Cremona Soc. coop. a r.l., dagli avv.ti ********* e ***********,
– per il governo italiano, dal sig. I. ************, in qualità di agente, assistito dal sig. ************, avvocato dello Stato,
– per il governo belga, dal sig. *********, in qualità di agente,
– per il governo ceco, dal sig. *****ček, in qualità di agente,
– per il governo danese, dal sig. J. Molde, in qualità di agente,
– per il governo tedesco, dai sigg. ******** e ************, in qualità di agenti,
– per il governo spagnolo, dalla sig.ra ****íaz ****, in qualità di agente,
– per il governo francese, dal sig. *************, in qualità di agente,
– per l’Irlanda, dal sig. ****’******, SC, e dal sig. P. McCann, BL,
– per il governo ungherese, dalle sigg.re A. Müller e R. Somssich, in qualità di agenti,
– per il governo dei Paesi Bassi, dal sig. ***********, in qualità di agente,
– per il governo austriaco, dal sig. ********, in qualità di agente,
– per il governo portoghese, dai sigg. ******************, ******ça Neves e R. Lares, in qualità di agenti,
– per il governo finlandese, dalla sig.ra **********, in qualità di agente,
– per il governo svedese, dalla sig.ra ********* e dal sig. ********, in qualità di agenti,
– per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra ****’*****, in qualità di agente, assistita dal sig. ***********, QC, e dal sig. T. Ward, barrister,
– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. *********** e ****************, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale ****-*****, presentate all’udienza del 14 marzo 2006,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione dell’art. 33 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE (GU L 376, pag. 1) (in prosieguo: la «sesta direttiva»).
2 La domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la Banca popolare di Cremona Soc. coop. a r.l. (in prosieguo: la «Banca popolare») e l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Cremona relativamente alla riscossione di un’imposta regionale sulle attività produttive.
Contesto normativo
Diritto comunitario
3 L’art. 33, n. 1, della sesta direttiva così prevede:
«Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, in particolare quelle previste dalle vigenti disposizioni comunitarie relative al regime generale per la detenzione, la circolazione e i controlli dei prodotti soggetti ad accise, le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e, più in generale, qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere di imposta sulla cifra d’affari, sempreché tuttavia tale imposta, diritto e tassa non dia luogo, negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera».
4 Già la versione originaria della direttiva 77/388 conteneva un art. 33 sostanzialmente identico a quello citato.
Diritto nazionale
5 L’imposta regionale sulle attività produttive (in prosieguo: l’«IRAP») è stata istituita con il decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (supplemento ordinario alla GURI 23 dicembre 1997, n. 298; in prosieguo: il «decreto legislativo»).
6 Il testo degli artt. 1-4 di tale decreto è il seguente:
«Art. 1. Istituzione dell’imposta
1. È istituita l’imposta regionale sulle attività produttive esercitate nel territorio delle regioni.
2. L’imposta ha carattere reale e non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi.
Art. 2. Presupposto dell’imposta
1. Presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta.
Art. 3. Soggetti passivi
1. Soggetti passivi dell’imposta sono coloro che esercitano una o più delle attività di cui all’articolo 2. Pertanto sono soggetti all’imposta:
a) le società e gli enti di cui all’articolo 87, comma 1, lettere a) e b), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917;
b) le società in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate (…) nonché le persone fisiche esercenti attività commerciali di cui all’articolo 51 del medesimo testo unico;
c) le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate (…) esercenti arti e professioni di cui all’articolo 49, comma 1, del medesimo testo unico;
d) i produttori agricoli titolari di reddito agrario (…)
(…)
2. Non sono soggetti passivi dell’imposta:
a) i fondi comuni di investimento (…)
b) i fondi pensione (…)
c) i gruppi economici di interesse europeo (GEIE) (…)
Art. 4. Base imponibile
1. L’imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della regione.
(…)».
7 Gli artt. 5-12 del decreto legislativo contengono i criteri per determinare il citato «valore della produzione netta», i quali variano in base alle differenti attività economiche il cui esercizio costituisce il fatto generatore dell’IRAP.
8 L’art. 5 di tale decreto precisa che, per i soggetti di cui all’art. 3, primo comma, lett. a) e b) del decreto stesso non esercenti le attività delle banche, degli altri enti e società finanziari e delle imprese di assicurazione, la base imponibile è determinata dalla differenza tra la somma delle voci classificabili nel valore della produzione di cui al primo comma, lett. A), dell’art. 2425 del codice civile e la somma di quelle classificabili nei costi della produzione di cui alla lett. B) del medesimo comma, ad esclusione di alcune di esse, fra le quali le spese per il personale dipendente.
9 L’art. 2425 del codice civile, rubricato «Contenuto del conto economico», così prevede:
«Il conto economico deve essere redatto in conformità al seguente schema:
A) Valore della produzione:
1) ricavi delle vendite e delle prestazioni;
2) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti;
3) variazioni dei lavori in corso su ordinazione;
4) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni;
5) altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio.
Totale.
B) Costi della produzione:
6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci;
7) per servizi;
8) per godimento di beni di terzi;
9) per il personale:
a) salari e stipendi;
b) oneri sociali;
c) trattamento di fine rapporto;
d) trattamento di quiescenza e simili;
e) altri costi;
10) ammortamenti e svalutazioni:
a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali;
b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali;
c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni;
d) svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide;
11) variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci;
12) accantonamenti per rischi;
13) altri accantonamenti;
14) oneri diversi di gestione.
Totale.
Differenza tra valore e costi della produzione (A – B).
(…)».
10 Ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo, «l’imposta è dovuta per periodi di imposta a ciascuno dei quali corrisponde una obbligazione tributaria autonoma. Il periodo di imposta è determinato secondo i criteri stabiliti ai fini delle imposte sui redditi».
11 Ai sensi dell’art. 16 del decreto legislativo, in linea generale «l’imposta è determinata applicando al valore della produzione netta l’aliquota del 4,25 per cento». Tale aliquota è variabile secondo la regione in cui ha sede l’impresa.
Causa principale e questione pregiudiziale
12 La Banca popolare ha impugnato dinanzi al giudice del rinvio il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Cremona con il quale quest’ultima le ha rifiutato il rimborso dell’IRAP versata negli anni 1998 e 1999.
13 A giudizio della ricorrente nella causa principale sussiste un contrasto fra il decreto legislativo e l’art. 33 della sesta direttiva.
14 Il giudice del rinvio osserva quanto segue:
– in primo luogo, l’IRAP si applica, in modo generalizzato, a tutte le operazioni commerciali di produzione o di scambio aventi ad oggetto beni e servizi poste in essere nell’esercizio in modo abituale di un’attività svolta a tale fine, vale a dire nell’esercizio di imprese o di arti e professioni;
– in secondo luogo l’IRAP, sebbene sia calcolata con un procedimento diverso da quello utilizzato per l’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA»), colpisce il valore netto derivante dalle attività produttive, e più esattamente il valore netto «aggiunto» al prodotto dal produttore, cosicché l’IRAP sarebbe un’IVA;
– in terzo luogo, l’IRAP è riscossa in ogni fase del processo di produzione o di distribuzione;
– in quarto luogo, la somma delle IRAP riscosse nelle varie fasi del ciclo, dalla produzione alla immissione al consumo, è pari all’aliquota IRAP applicata al prezzo di vendita di beni e servizi praticato in sede di immissione al consumo.
15 Tale giudice si domanda però se le differenze esistenti tra l’IVA e l’IRAP riguardino le caratteristiche essenziali che determinano l’appartenenza o meno dell’una e dell’altra imposta alla medesima categoria di tributi.
16 Alla luce di quanto sopra, la Commissione tributaria provinciale di Cremona ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’art. 33 della [sesta direttiva] debba essere interpretato nel senso che esso vieti di assoggettare ad IRAP il valore della produzione netta derivante dall’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi».
Sulla questione pregiudiziale
17 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’art. 33 della sesta direttiva osti al mantenimento di un prelievo fiscale avente caratteristiche analoghe a quelle dell’imposta di cui si discute nella causa principale.
18 Per interpretare l’art. 33 della sesta direttiva è necessario collocare tale disposizione nell’ambito del suo contesto normativo. A tal fine è utile, come già fatto nella sentenza 8 giugno 1999, cause riunite C‑338/97, C‑344/97 e C‑390/97, ***** e a. (Racc. pag. I‑3319, punti 13-20) ricordare innanzitutto gli obiettivi perseguiti con la creazione di un sistema comune dell’IVA.
19 Risulta dai ‘considerando’ della prima direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/227/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra d’affari (GU 1967, n. 71, pag. 1301; in prosieguo: la «prima direttiva»), che l’armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d’affari deve consentire la creazione di un mercato comune nel quale vi sia una concorrenza non alterata e che abbia caratteristiche analoghe a quelle di un mercato interno, eliminando le differenze di oneri fiscali che possono alterare la concorrenza e ostacolare gli scambi.
20 L’istituzione di un sistema comune di IVA è stata realizzata con la seconda direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/228/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – Struttura e modalità d’applicazione del sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 1967, n. 71, pag. 1303; in prosieguo: la «seconda direttiva») e con la sesta direttiva.
21 Il principio del sistema comune dell’IVA consiste, ai sensi dell’art. 2 della prima direttiva, nell’applicare ai beni ed ai servizi, fino allo stadio del commercio al minuto, un’imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione.
22 Tuttavia, a ciascun passaggio, l’IVA si può esigere solo previa detrazione dell’IVA che ha gravato direttamente sul costo dei vari fattori che compongono il prezzo; il sistema delle detrazioni è disciplinato dall’art. 17, n. 2, della sesta direttiva, in modo che i soggetti passivi siano autorizzati a detrarre dall’IVA da essi dovuta gli importi di IVA che hanno già gravato sui beni o sui servizi a monte e che l’imposta colpisca ogni volta solo il valore aggiunto e vada, in definitiva, a carico del consumatore finale.
23 Per conseguire lo scopo dell’uguaglianza impositiva della stessa operazione, indipendentemente dallo Stato membro nel quale viene effettuata, il sistema comune dell’IVA doveva sostituire, secondo i ‘considerando’ della seconda direttiva, le imposte sulla cifra d’affari in vigore nei vari Stati membri.
24 In quest’ordine di idee, l’art. 33 della sesta direttiva consente il mantenimento o l’istituzione da parte di uno Stato membro di imposte, diritti e tasse gravanti sulle forniture di beni, sulle prestazioni di servizi o sulle importazioni solo se non hanno natura di imposte sulla cifra d’affari.
25 Per valutare se un’imposta, un diritto o una tassa abbiano la natura di imposta sulla cifra d’affari, ai sensi dell’art. 33 della sesta direttiva, occorre in particolare verificare se essi abbiano l’effetto di danneggiare il funzionamento del sistema comune dell’IVA, gravando sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpendo le transazioni commerciali in modo analogo all’IVA.
26 A tale proposito, la Corte ha precisato che in ogni caso devono essere considerati gravanti sulla circolazione dei beni e dei servizi allo stesso modo dell’IVA le imposte, i diritti e le tasse che presentano le caratteristiche essenziali dell’IVA, anche se non sono in tutto identici ad essa (sentenze 31 marzo 1992, causa C‑200/90, ************** e ***************, Racc. pag. I‑2217, punti 11 e 14, nonché 29 aprile 2004, causa C‑308/01, ************* e a., Racc. pag. I‑4777, punto 32).
27 Per contro, l’art. 33 della sesta direttiva non osta al mantenimento o all’introduzione di un’imposta che non presenti una delle caratteristiche essenziali dell’IVA (sentenze 17 settembre 1997, causa C‑130/96, Solisnor-Estaleiros Navais, Racc. pag. I‑5053, punti 19 e 20, nonché ************* e a., cit., punto 34).
28 La Corte ha precisato quali siano le caratteristiche essenziali dell’IVA. Nonostante alcune differenze redazionali, risulta dalla sua giurisprudenza che tali caratteristiche sono quattro: l’IVA si applica in modo generale alle operazioni aventi ad oggetto beni o servizi; è proporzionale al prezzo percepito dal soggetto passivo quale contropartita dei beni e servizi forniti; viene riscossa in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione, compresa quella della vendita al minuto, a prescindere dal numero di operazioni effettuate in precedenza; gli importi pagati in occasione delle precedenti fasi del processo sono detratti dall’imposta dovuta, cosicché il tributo si applica, in ciascuna fase, solo al valore aggiunto della fase stessa, e in definitiva il peso dell’imposta va a carico del consumatore finale (v., in particolare, sentenza Pelzl e a., cit., punto 21).
29 Al fine di evitare risultati discordanti rispetto all’obiettivo perseguito dal sistema comune dell’IVA, ricordato ai punti 20-26 della presente sentenza, ogni confronto delle caratteristiche di un’imposta come l’IRAP con quelle dell’IVA deve essere compiuto alla luce di tale obiettivo. In questo contesto deve essere riservata un’attenzione particolare alla necessità che sia sempre garantita la neutralità del sistema comune dell’IVA.
30 In questo caso, relativamente alla seconda caratteristica fondamentale dell’IVA, si deve innanzitutto rilevare che, mentre l’IVA è riscossa in ciascuna fase al momento della commercializzazione e il suo importo è proporzionale al prezzo dei beni o servizi forniti, l’IRAP è invece un’imposta calcolata sul valore netto della produzione dell’impresa nel corso di un certo periodo. La sua base imponibile è infatti uguale alla differenza che risulta, in base al conto economico, tra il «valore della produzione» e i «costi della produzione», come definiti dalla legislazione italiana. Essa comprende elementi come le variazioni delle rimanenze, gli ammortamenti e le svalutazioni, che non hanno un rapporto diretto con le forniture di beni o servizi in quanto tali. L’IRAP non deve pertanto essere considerata proporzionale al prezzo dei beni o dei servizi forniti.
31 Occorre poi osservare, relativamente alla quarta caratteristica fondamentale dell’IVA, che l’esistenza di differenze relativamente al metodo per calcolare la detrazione dell’imposta già pagata non può sottrarre un’imposta al divieto contenuto nell’art. 33 della sesta direttiva qualora tali differenze siano più che altro di natura tecnica, e non impediscano che tali imposta funzioni sostanzialmente nello stesso modo dell’IVA. Per contro, si può collocare all’esterno dell’ambito applicativo dell’art. 33 della sesta direttiva un’imposta la quale colpisca le attività produttive in modo tale che non sia certo che la stessa vada, in definitiva, a carico del consumatore finale, come avviene per un’imposta sul consumo come l’IVA.
32 In questo caso, mentre l’IVA, attraverso il sistema della detrazione dell’imposta previsto dagli artt. 17-20 della sesta direttiva, grava unicamente sul consumatore finale ed è perfettamente neutrale nei confronti dei soggetti passivi che intervengono nel processo di produzione e di distribuzione che precede la fase di imposizione finale, indipendentemente dal numero di operazioni avvenute (sentenze 24 ottobre 1996, causa C‑317/94, ***********, Racc. pag. I‑5339, punti 19, 22 e 23, nonché 15 ottobre 2002, causa C‑427/98, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑8315, punto 29), lo stesso non vale per quanto riguarda l’IRAP.
33 Da un lato, infatti, un soggetto passivo non può determinare con precisione l’importo dell’IRAP già compreso nel prezzo di acquisto dei beni e dei servizi. Dall’altro, se un soggetto passivo potesse includere tale costo nel prezzo di vendita, al fine di ripercuotere l’importo dell’imposta dovuta per le sue attività sulla fase successiva del processo di distribuzione o di consumo, la base imponibile dell’IRAP comprenderebbe di conseguenza non solo il valore aggiunto, ma anche l’imposta stessa, cosicché l’IRAP sarebbe calcolata su un importo determinato a partire da un prezzo di vendita comprendente, in anticipo, l’imposta da pagare.
34 In ogni caso, anche se si può supporre che un soggetto passivo IRAP che effettua la vendita al consumatore finale tenga conto, nel determinare il suo prezzo, dell’importo dell’imposta incorporato nelle sue spese generali, non tutti i soggetti passivi si trovano nella condizione di poter così ripercuotere il carico dell’imposta, o di poterlo ripercuotere nella sua interezza (v., in tal senso, sentenza Pelzl e a., cit., punto 24).
35 Risulta da tutte queste considerazioni che, in base alla disciplina dell’IRAP, tale imposta non è stata concepita per ripercuotersi sul consumatore finale nel modo tipico dell’IVA.
36 È vero che la Corte ha dichiarato incompatibile con il sistema armonizzato dell’IVA un’imposta che era riscossa come una percentuale dell’importo totale delle vendite realizzate e dei servizi forniti da un’impresa nel corso di un determinato periodo di tempo, detratto l’importo degli acquisti di beni e servizi effettuati nel corso dello stesso periodo dalla medesima impresa. La Corte ha osservato che il tributo in questione era accostabile nei suoi elementi fondamentali all’IVA e che, nonostante le differenze, esso conservava il suo carattere di imposta sulla cifra d’affari (v., in tal senso, sentenza Dansk Denkavit e ***************, cit., punto 14).
37 Qui però l’IRAP si distingue dal tributo oggetto di tale sentenza in quanto quest’ultimo era destinato a ripercuotersi sul consumatore finale, come risulta dal punto 3 della detta sentenza. Tale tributo era dunque calcolato a partire da una base imponibile identica a quella utilizzata per l’IVA, ed era riscosso parallelamente all’IVA.
38 Risulta dalle considerazioni svolte che un’imposta con le caratteristiche dell’IRAP si distingue dall’IVA in modo tale da non poter essere considerata un’imposta sulla cifra d’affari, ai sensi dell’art. 33, n. 1, della sesta direttiva.
39 Alla luce di quanto sopra, la questione pregiudiziale va risolta dichiarando che l’art. 33 della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso non osta al mantenimento di un prelievo fiscale avente le caratteristiche dell’imposta di cui si discute nella causa principale.
Sulle spese
40 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’art. 33 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE, deve essere interpretato nel senso che esso non osta al mantenimento di un prelievo fiscale avente le caratteristiche dell’imposta di cui si discute nella causa principale.
Firme
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