SEMINARIO SUL CONCETTO DI DIRITTO, LE FONTI DEL DIRITTO E LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE.  

Redazione 27/08/00
di A. Lordi

SOMMARIO: 1. Conflitti d’interesse, situazioni giuridiche soggettive e rapporto giuridico. – 2. Diritto  oggettivo: nozione. – 3. La norma: caratteri. – 4.L’istituto giuridico: nozione e metodo d’indagine. – 5. Civil law e common law: cenni.. – 6. Le fonti del diritto e il principio di gerarchia. – 7. La Costituzione e la Corte Costituzionale. – 8. Le altre fonti del diritto. – 9. Le norme comunitarie e gli orientamenti giurisprudenziali in tema di direttive self-executing. – 10. Le situazioni giuridiche soggettive: nozione, tipi e caratteri. – 11. La problematica degli interessi diffusi.

SCHEMA DI TRATTAZIONE:

 

  • l’interesse – il conflitto di interessi.

 

  • la qualificazione degli interessi fatta dall’ordinamento (diritto oggettivo) attraverso le situazioni giuridiche soggettive: la centralità del diritto soggettivo.

 

  • le fonti dalle quali promana il diritto oggettivo (e quindi la soluzione dei conflitti con la qualificazione degli interessi).

 

  • la disamina delle situazioni giuridiche soggettive.

 

 

  1. La nozione di interesse è stata identificata nel rapporto di tensione tra un soggetto ed un bene.[1]

Gli interessi, che si esprimono nei confronti dei beni della vita, o sono diretti a conservare determinati beni oppure sono diretti a conseguire beni di cui non si ha la disponibilità. Tali interessi se fanno capo a soggetti diversi possono entrare in conflitto tra loro, conflitto che il diritto si preoccupa da risolvere.

 

Esempio n1: poniamo che Tizio voglia impossessarsi dell’orologio di Caio, in tal caso l’interesse di Tizio a conservare il bene (orologio) entra in conflitto con quello di Caio a conseguire il bene. Il diritto interviene a regolare questo conflitto valutando come prevalente l’interesse di Tizio alla conservazione del bene e soccombente quello di Caio.

Ciò si esprime dicendo che io Tizio ha il diritto di proprietà (diritto soggettivo assoluto di natura reale) ex art. 832 e ss. c.c. sul bene e Caio (secondo la teoria tradizionale ma v. infra par. 10) un dovere di astensione ossia di rispettare quella situazione giuridica soggettiva.

Possiamo quindi identificare la nozione di situazione giuridica soggettiva  nella risultante della qualificazione giuridica di un interesse.[2]

In linea generale quando il diritto qualifica gli interessi può formulare tre tipi di valutazione: di indifferenza, di meritevolezza, di illiceità[3].

In particolare da una determinata qualificazione giuridica di un interesse fatta dall’ordinamento deriva una corrispondente disciplina giuridica. Ricollegandoci all’esempio, dalla qualificazione dell’interesse di Tizio a conservare il bene in termini di diritto di proprietà deriva un sistema di tutela che si manifesta:

  1. a) nelle azioni a difesa della proprietàex 948 c.c.;
  2. b) nelle azioni a difesa del possesso in quanto titolare delloius possidendi ex 1168 c.c.;
  3. c) nell’azione di risarcimento del danno, se ed in quanto si prova che il fatto ha cagionato dei danniex 2043 c.c.;
  4. d) nell’esecuzione forzataex 2930;

 

Quanto detto appartiene alla disciplina giuridica inerente al profilo conservativo dell’interesse, tuttavia il diritto detta anche la disciplina giuridica inerente al profilo attributivo dell’interesse. Sotto tale aspetto il legislatore riconosce ampi spazi all’autonomia privata lasciando liberi i soggetti divisare come meglio credono i loro interessi, ciò che i soggetti fanno mediante lo strumento del negozio giuridico. Figura quest’ultima comprensiva di qualsiasi atto di autoregolamento dei propri interessi: negozi familiari, patrimoniali, unilateali, bi e plurilaterali, inter vivos, mortis causa, onerosi gratuiti ecc[4].

Il legislatore italiano tuttavia disciplina in chiave generale solo la figura del contratto che è il negozio bi o plurilaterale a contenuto patrimoniale.

Il contratto infatti è stato da autorevole dottrina definito come “la risultante consensuale di un conflitto di interessi patrimoniali”.[5]

Da quanto detto si evince che sotto il profilo intersubbiettivo le situazioni giuridiche soggettive si esprimono in rapporti giuridici. Il rapporto giuridico viene definito infatti come la proporzione tra posizioni giuridiche soggettive[6]. Secondo la teoria personalistica dei diritti soggettivi le situazioni giuridiche soggettive andrebbero esaminate sotto il profilo del rapporto giuridico, nel senso che laddove vi è un diritto vi sarà anche un dovere. Tale concezione ha portato alla costruzione di alcune categorie dogmatiche (i diritti assoluti e i diritti relativi) e ad una nozione in chiave di rapporto giuridico dei diritti reali. Sicché tale teoria è stata criticata e si è proposta una ricostruzione più aderente ai dati positivi. Sul punto torneremo oltre quando esamineremo le singole situaz. giur. sogg. (v. par. 10).

 

 

  1. Il diritto oggettivo è stato definito da autorevole Autore[7]come “la manifestazione di volontà collettiva generale, diretta a regolare l’attività dei cittadini o degli organi pubblici. Lo scopo a cui mira tale volontà è duplice:
  2. a) provvedere alla conservazione dei soggetti giuridici, della loro organizzazione politica (Stato), e dei beni che si considerano loro propri;
  3. b) regolare l’attribuzione dei beni della vita ai singoli soggetti giuridici. Lo Stato può assumere a sé la distribuzione di questi beni, oppure limitarsi a riconoscere l’attività dell’individuo … e a tutelarne i risultati, restringendo corrispondentemente la libertà degli altri…

Fondandosi sulla volontà della legge il soggetto giuridico può aspirare alla conservazione o al conseguimento di quei beni anche in via di coazione.

Questa aspirazione costituisce ciò che dicesi diritto soggettivo, il quale può definirsi: l’aspettazione d’un bene della vita garantita dalla volontà della legge.”

 

In questa definizione è possibile isolare due concetti di cui uno è il fondamento dell’altro: il diritto oggettivo e il diritto soggettivo[8].

Il diritto oggettivo detto anche norma agendi è l’insieme delle regole astratte di condotta che disciplinano una determinata società, il diritto soggettivo (facultas agendi) indica il potere attribuito alla volontà del soggetto di agire per il soddisfacimento dei propri interessi (potere riconosciuto e garantito dal diritto oggettivo).

Il diritto soggettivo è quindi la situazione giuridica soggettiva più importante, ma ve ne sono anche altre che vedremo in seguito.

Ciò che si è voluto mettere in evidenza è il rapporto esistente tra diritto oggettivo e situazioni giuridiche soggettive,e in particolare il diritto soggettivo.

Nella definizione di diritto è possibile anche individuare una distinzione, un tempo piuttosto netta, che va rendendosi sempre più incerta e confusa: quella tra diritto pubblico e diritto privato. Tale distinzione attiene all’oggetto disciplinato da questi rami del diritto[9].

Il diritto privato disciplina le relazioni reciproche dei soggetti fissando presupposti e limiti agli interessi dei singoli. Il diritto pubblico regola sia l’organizzazione dello Stato e degli altri enti pubblici, e i loro rapporti reciproci, sia le reciproche relazioni tra Stato e cittadini. Il diritto privato comprende: il diritto civile, il diritto commerciale, il diritto privato del lavoro, il diritto privato della navigazione. Il diritto pubblico comprende: il diritto costituzionale, il diritto amministrativo, il diritto penale, il diritto processuale, il diritto pubblico del lavoro, il diritto ecclesiastico, il diritto finanziario, il diritto pubblico della navigazione. La distinzione tra diritto privato e diritto pubblico si va affievolendo in quanto da un lato abbiamo un fenomeno di “pubblicizzazione” della materia privatistica (espropriazione, influenza della materia penale), dall’altro abbiamo una “privatizzazione” del settore pubblico (la contrattualizzazione dell’attività amm.va).

 

 

 

 

  1. Ma qual’è la forma di linguaggio che utilizza il diritto per disciplinare i nostri rapporti?

Il diritto si esprime tramite delle norme, nelle quali ritroviamo un linguaggio prescrittivo (dover essere) a differenza di altre materie umanistiche (sociologia, storia, economia) in cui il linguaggio è descrittivo e talvolta valutativo[10].

I caratteri della norma sono: a) la generalità, b) l’astrattezza.

  1. a) generalità in quanto la norma si rivolge a tutti i consociati;
  2. b) astrattezza in quanto prende in considerazione casi astratti a cui dovranno ricondursi successivamente tutti i casi concreti che presentano gli stessi caratteri. Si distingue così fra fattispecie astratta che è la situazione tipizzata dalla norma e fatt. concreta che è quella che concretamente si realizza di volta in volta con sempre distinte modalità.

 

Esempio n. 2: il legislatore nel c.c. del 1942 all’art. 1470 disciplina la compravendita in via generale ed astratta, ciò significa che la vendita tra Tizio e Caio in quanto vendita ossia in quanto rientrante nello schema prefissato dal legislatore (tipo) sarà regolata da quelle norme. Appare chiaro, quindi che un ruolo di notevole importanza è quello dell’interprete (avvocato, giudice, giurista), il quale deve verificare se la fattispecie concreta (vendita tra Tizio e Caio) rientra o meno nello schema astratto della vendita. Se cioè l’eventuale conflitto che venga a sorgere tra Tizio e Caio ( ad es. in relazione a vizi della cosa venduta) debba essere disciplinato da quelle norme.

 

 

 

  1. Quando un complesso di norme disciplinano una stessa fattispecie si dice che siamo in presenza di un istituto giuridico. Ad es. non esiste una sola norma che disciplina la vendita, ma il legislatore ha preferito dettare una disciplina molto articolata al fine di prevenire il maggior numero di conflitti che si potrebbero verificare tra le parti.

 

Ma come si studia un istituto giuridico? Qual’è il suo metodo d’indagine?

 

Lo studio di un istituto giuridico comprende diverse “voci” tra loro collegate che vanno esaminate separatamente. Tali voci sono:

  • excursus storico
  • nozione
  • inquadramento sistematico
  • ratio
  • struttura
  • natura giuridica
  • regime o disciplina
  • l’ambito applicativo
  • distinzione con figure similari

 

Esempio n. 3: esaminiamo (senza approfondire), l’istituto della compravendita utilizzando il metodo segnalato.

  • excursus storico: la compravendita[11] fu storicamente preceduta dal baratto. Con il progredire della società nacque l’uso di una merce unica con il compito di misura del valore: il danaro che rappresentò il mezzo principale dello scambio. I Romani mantennero l’efficacia traslativa immediata del baratto e assegnarono alla vendita un efficacia solo obbligatoria. Prima del c.c. del 1942 avevamo due codici, il codice civile del 1865 in cui era regolata la vendita civile caratterizzata dallo scopo di consumo familiare, il codice del commercio del 1882 che contemplava la vendita commerciale caratterizzata dallo scopo mediato di lucro.
  • nozione: nell’esempio della vendita la nozione ci viene data dal legislatore all’art.1470, tuttavia se così non fosse sarebbe necessario prima esaminare le altre voci e al termine dell’indagine proporre  una nozione che sia compatibile con l’analisi effettuata.
  • inquadramento sistematico: la vendita si inquadra nell’ambito dei singoli contratti tipici, più in particolare nei contratti di scambio del tipo do ut des.
  • ratio: con tale voce si suole indicare lo scopo tenuto di mira dal legislatore nel dettare una determinata norma, ad es. la ratio dell’art. 1474 c.c. è quello di integrare il contenuto contrattuale al fine di mantenere in piedi il rapporto contrattuale. Oppure i termini previsti dall’art. 1495 c.c. sono ispirati dall’esigenza di risolvere in tempi brevi i rapporti tra le parti, in particolare viene in rilievo l’interesse del venditore per permettergli sia di rimediare prontamente sia di far valere le proprie ragioni verso il proprio venditore fino a giungere al primo venditore, normalmente il fabbricante. Da quanto detto appare chiaro che la voce ratio deve essere esaminata soprattutto quando sorgono dei dubbi ermeneutici o laddove si tratta di stabilire l’ambito applicativo di una particolare disciplina.
  • struttura: tale voce si sviluppa in elementi strutturali soggettivi e in elementi strutturali oggettivi. Ad es. nella vendita gli elementi strutt. sogg. sono le parti contrattuali, rispettivamente il venditore e il compratore, gli elementi strutt. ogg. sono il diritto trasferito contro il prezzo.
  • natura giuridica: con tale voce si indicano le categorie concettuali, sviluppate dalla scienza del diritto, nelle quali rientra una  determinata fattispecie. L’importanza della configurazione categoriale sta nelle conseguenze che ne discendono in termini di disciplina giuridica. Ad es. la vendita può essere qualificata come un contratto consensuale (profilo perfezionativo), con effetti reali (profilo dell’efficacia), con attribuzioni corrispettive (profilo causale).
  • regime o disciplina: si veda tutta la disciplina contenuta negli artt. 1470 e ss. c.c. Se mancasse una disciplina espressa sarebbe necessario effettuare una ricerca ermeneutica utilizzando gli strumenti della interpretazione estensiva e della interpretazione analogica al fine di verificare la disciplina applicabile, e in tal caso saremmo noi a dare la veste di istituto giuridico a una determinata fattispecie. Infatti come abbiamo detto, può parlarsi di istituto giuridico solo laddove v’è un complesso di norme regolante una fattispecie.
  • l’ambito applicativo: nell’esempio fatto si tratta di verificare se la disciplina della vendita sia estensibile anche ad altre fattispecie concrete. Ad es. recentemente si è ritenuto applicabile l’art. 1526 c.c. al leasing cd. traslativo che sarebbe caratterizzato da una funzione di scambio in quanto il bene oggetto del leasing, avuto riguardo alla sua natura, all’uso programmato, alla durata del rapporto, è destinato a conservare alla scadenza del contratto un valore residuo particolarmente apprezzabile per l’utilizzatore, in quanto notevolmente superiore al prezzo di opzione
  • distinzione con figure similari: nell’esempio della vendita diviene importante distinguere ad es. la vendita a consegne ripartite dal contratto di somministrazione. In tal caso il criterio di distinzione sta nell’oggetto dei due contratti: mentre nella vendita l’oggetto rimane costituito da un’unica prestazione, nella somministrazione abbiamo un pluralità di prestazioni.

 

 

  1. Il nostro ordinamento è un ordinamento dicivil lawin cui cioè le posizioni di interesse sono ritenute meritevoli di tutela se ed in quanto una norma le contempli. Così nell’esempio n. 1 Tizio potrà agire per la manutenzione o per la restituzione del suo orologio in quanto v’è una norma di diritto oggettivo che gli attribuisce un diritto soggettivo assoluto di natura reale chiamato diritto di proprietà. Ciò si esprime nel brocardo ubi ius ibi rimedium.[12], ossia dove vi è un diritto riconosciuto e garantito dalla legge lì vi sarà una tutela giuridica. Nei sistemi di civil law, quindi, il giudizio di rilevanza degli interessi viene espresso dal legislatore.

Nel passato (nel diritto romano) e in altri ordinamenti (di matrice anglosassone) detti di common law la situazione è diversa, in quanto è il giudice che di volta in volta stabilisce se una determinata fattispecie concreta sia meritevole di tutela, ciò si esprime nella massima ubi rimedium ibi ius, ossia  il giudizio di rilevanza degli interessi che si intendono proteggere è dato dai giudici e ciò in occasione della concessione del rimedio.

 

 

 

  1. Il passaggio dallo Stato Assoluto allo Stato di Diritto[13]ha comportato l’emersione di due principi fondamentali: il principio di legalità e il principio della divisione dei poteri.

Nello Stato Assoluto il Sovrano poteva ogni cosa nei confronti dei sudditi, con lo Stato di Diritto il potere per essere esercitato deve trovare il suo fondamento nella legge che è espressione della volontà collettiva. Inoltre il potere non è più nelle mani di una persona sola, ma viene diviso in tre settori specifici: potere legislativo, esecutivo, giudiziario. Il potere legislativo fa le leggi, il p. esecutivo esegue le leggi ossia gli da pratica attuazione, il p. giudiziario applica la legge nel caso concreto quando viene violata. Ai tre poteri corrispondono tre tipi di atti: la legge, il provvedimento amm.vo, la sentenza[14]. In realtà nei moderni Stati Costituzionali come il nostro, la distinzione tra i tre poteri non è così netta: il p. legislativo talvolta fa leggi-provvedimento, il p. esecutivo in particolari circostanze può fare atti avente forza di legge, il potere giudiziario non sempre dirime controversie come nel caso della volontaria giurisdizione.

Il sistema delle fonti è dominato dal principio di gerarchia per il quale solo una fonte di grado superiore o di pari grado può derogare, modificare o abrogare rispettivamente una fonte di grado inferiore o una di pari grado. Le fonti si distinguono in fonti di cognizione e in fonti di produzione. Per fonte di produzione si intende il procedimento mediante il quale il diritto viene in vita. Per fonte di cognizione si intende il risultato di tale procedimento. Il sistema delle fonti attuale si presenta nel seguente modo:

  • costituzione e leggi costituzionali
  • leggi ordinarie e atti equiparati
  • leggi regionali nelle materie dell’art. 117 Cost.
  • regolamenti
  • usi

Inoltre bisogna tener presente la tematica delle norme comunitarie che pur prevalendo sulla legge ordinaria, secondo la Corte Costituzionale non rientrano nel sistema delle fonti del diritto interno.

Il sistema descritto si rinviene nei seguenti dati positivi:

  • r.d. n. 262/1942 ( Disposizioni sulla legge in generale)
  • Costituzione della Repubblica Italiana entrata in vigore il 1/1/1948
  • L. 14/10/1957 n.1203 che ratifica il Trattato istitutivo della CEE

Quindi il sistema delle fonti cambia con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948, ma con la Costituzione cambia anche tutta l’organizzazione dello Stato Italiano.

 

 

  1. La Cost. è composta da 139 artt. e da 18 disp. trans.
  • i primi 12 artt. stabiliscono i principi fondamentali
  • nella parte I (artt. 13-54) ritroviamo i diritti e doveri dei cittadini (rapporti civili, etico-sociali, economici, politici)
  • nella parte II (artt. 55-139) ritroviamo l’ordinamento della repubblica (parlamento, presidente della repubblica, governo, magistratura, enti territoriali, corte cost.).

 

Il parlamento fa le leggi che vengono promulgate dal Presidente della Repubblica. Le Regioni fanno le leggi regionali nei limiti dell’art. 117 Cost. Il Governo fa i regolamenti che sono atti formalmente amm.vi, ma sostanzialmente normativi. Il Governo può altresì fare atti aventi forza di legge: Dlgs. e D.L.

Il sistema piramidale delle fonti del diritto caratterizzato dalla rigidità della nostra Carta Cost. fa sì che la legge ordinaria o gli atti ad essa equiparati o le leggi regionali non possano mai essere in contrasto con la Costituzione. Se sorge il contrasto cosa accade? L’organo preposto a dirimere tali contrasti (rectius: antinomie) è la Corte Costituzionale detta anche il giudice delle leggi. Sollevata la questione di incostituzionalità se la C. Cost. accerta la non conformità della legge alla Cost. la dichiara costituzionalmente illegittima, determinando sul piano descrittivo la stessa situazione concreta che consegue all’abrogazione.

 

 

 

  1. La legge ordinaria è la legge fatta dal parlamento formato dai rappresentanti del popolo. Equiparata alla legge sono i Dlgs. e i D.L.(artt. 76 e 77 Cost.) che sono fatti dal governo che di regola fa atti esecutivi della legge (gli atti amm.vi nei quali si inquadrano i regolamenti).

Sotto la legge e gli atti equiparati vi sono i regolamenti che quindi non solo non possono essere in contrasto con la Cost., ma non possono neanche essere in contrasto con la legge. Nel caso in cui avvenga tale contrasto il giudice che può annullarli è il G.A. e non la Corte Costituzionale (v. art. 113 Cost.).

Infine troviamo gli usi. Si tratta di una fonte non scritta caratterizzata da due elementi:

  • oggettivo: che il comportamento sia generalizzato e continuato nel tempo;
  • soggettivo: cd. opinio iuris ac necessitatis ossia la convinzione della sua giuridica necessità, di tenere un comportamento vincolante.

L’uso non può mai essere contra legem, può invece essere secundum legem (v. art. 8 disp. prel.), oppure praeter legem in materie non disciplinate dalla legge o dai regolamenti. Un riferimento agli usi fonti del diritto lo ritroviamo nell’art. 1374 c.c., mentre non sono fonti del diritto gli usi negoziali (v. 1340 c.c.) tra i quali rientrano gli usi interpretativi (v. 1368 c.c.). Esempi di usi normativi[15]: usi di banca, di borsa, secondo alcuni anche la mancia al croupier.

  1. In questo paragrafo si tratterà di verificare:

1) in che cosa consiste l’Unione Europea;

2) se ed in che termini le norme comunitarie si pongono nell’ambito delle nostre fonti    del diritto.

La storia dell’U.E. inizia nel 1957 quando anche l’Italia sottoscrive il Trattato istitutivo della C.E.E. (v. art. 2).

L’unità europea  nasce con connotazioni prettamente economiche, tuttavia nel tempo il discorso è cambiato sino ad arrivare al Trattato di Maastricht ratificato con L. 3/11/92 con il quale si sono poste le basi per un passaggio “dall’Europa dei mercanti all’Europa dei cittadini”[16]. Si passa così da un discorso economico ad uno sociale, politico, giuridico, ecc.

Cosa cambia nell’ambito del Diritto Privato?

L’integrazione europea porta alla formazione di un Diritto Privato Europeo che è vero e proprio diritto interno per i paesi membri, cioè si passa da un sistema a sovranità chiusa ad un sistema a sovranità aperta. Il problema del diritto privato europeo è quello del suo rapporto con il diritto nazionale o interno, in particolare bisogna raffrontare l’art. 11 Cost. con l’art. 189 Tr. CEE Tale raffronto è stato operato dalla C.Cost. (sent. n. 170/1984), la quale ha enunciato il principio secondo cui i due ordinamenti Comunitario e Statale sono distinti, ma al tempo stesso coordinati cosicché le norme del primo in forza dell’art. 11 Cost., ricevono diretta applicazione in quest’ultimo pur rimanendo estranee al  sistema delle fonti statali. Ciò significa che il giudice nazionale in caso di contrasto tra norma interna e norma comunitaria deve non applicare la norma interna e applicare quella comunitaria senza che ciò dia luogo a un fenomeno abrogativo. Insomma il Diritto Comunitario si pone tra la Cost. e la legge ordinaria, ma non entra a far parte della “piramide” in quanto è qualitativamente diverso appartenendo ad altro ordinamento. Il limite generale della normativa comunitaria è dato dai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e dai diritti inalienabili della persona[17].

La sent. n. 170/1984 si riferiva ai Regolamenti Comunitari, tuttavia l’ambito applicativo della massima è stato esteso da successive pronunce sia alle sentenze interpretative della Corte di Giustizia delle CE (v. art. 177 CEE), sia alle direttive cd. self-executing ossia quando presentano determinati requisiti.

Le direttive comunitarie si dicono self-executing in deroga all’art. 189 del trattato CEE quando sono:

  1. incondizionate tali cioè da non lasciare discrezionalità agli Stati membri per la loro attuazione;
  2. sufficientemente precise la fattispecie astratta dev’essere determinata con completezza;
  3. e se c’è stata inadempienza dello Stato destinatario.

Quando ricorrono questi requisiti la direttiva avrà immediata applicazione, l’accertamento dei requisiti può essere fatta o dal giudice nazionale a quo oppure quest’ultimo può chiedere che sia la Corte di Giustizia CEE a pronunciarsi.

Rebus sic stantibus si è aperto un contrasto interpretativo circa “l’efficacia orizzontale” o “verticale” delle direttive self-executing.

Ossia ci si è chiesti se le direttive self-executing abbiano efficacia solo nei confronti dello Stato membro (efficacia verticale), oppure abbiano anche efficacia diretta nei rapporti interprivatistici (efficacia orizzontale).

Tesi dell’efficacia verticale: secondo tale orientamento le dirett. s.e. non recepite implicherebbero due conseguenze. In primo luogo il cittadino potrebbe agire nei confronti dello Stato Italiano inadempiente, se ed in quanto tale inadempienza gli abbia cagionato dei danni patrimonialmente valutabili. In secondo luogo il giudice italiano quando deve applicare il diritto interno in un ambito disciplinato da una dirett. non recepita, è tenuto ad interpretare il diritto interno alla luce della lettera e dello scopo della direttiva medesima. Così ad es. nel caso della dir. CEE n. 85/577 (recepita poi in D.lgs. n.50/1992) che attribuisce al consumatore il diritto di recesso, si è affermato[18] che “l’anticipazione …del diritto di recesso…è in armonia con i principi fondamentali dell’ordinamento…, essendo l’istituto destinato a riequilibrare una situazione di svantaggio, in cui il privato consumatore si sia trovato, prima che il contratto abbia avuto esecuzione.”

In altri termini pur negandosi l’efficacia orizzontale della dirett. non recepita, si offre al consumatore quella stessa tutela interpretando l’art.1373 c.c. alla luce della dirett. medesima.

Tesi dell’efficacia orizzontale: secondo tale orientamento la limitazione dell’efficacia diretta ai soli casi attinenti ai rapporti tra i privati e l’amm.ne statale configurerebbe una disparità di trattamento tra i cittadini a seconda della natura pubblica o privata della controparte e non appare fondata su sostanziali differenze strutturali, onde il principio dell’efficacia immediata delle direttive self-executing va applicato indipendentemente dalla natura pubblica o privata dei soggetti tra i quali verte il rapporto giuridico disciplinato dalla direttiva comunitaria.[19]

 

 

 

 

  1. Schema n. 1[20]:

 

 

  • nozione di situazione di vantaggio: quella tendente ad assicurare al titolare un risultato favorevole.

 

  • nozione di situazione di svantaggio: quella funzionalmente coordinata al conseguimento del risultato favorevole per il titolare di una situazione di vantaggio e per ciò imponente un sacrificio al suo titolare.

 

  • nozione di situazione attiva: quella caratterizzata da un poter agire.

 

  • nozione di situazione inattiva: quella caratterizzata da un non poter agire.

 

 

Schema n. 2[21]

 

SITUAZIONI  DI  VANTAGGIO

 

 

ATTIVE: il diritto soggettivo

distinzione in generale:

  • diritti assoluti e relativi
  • diritti patrimoniali e non patrimoniali
  • diritti disponibili e indisponibili

distinzione in particolare:

  • Situazioni Patrimoniali: diritti realidiritti di creditodiritti personali di godimentodiritti potestativi.
  • Situazioni Non patrimoniali: diritti della personalità.

   

    INATTIVE:

  • aspettativapossessointeresse legittimo.

 

 

SITUAZIONI  DI  SVANTAGGIO

 

    ATTIVE:

  • l’obbligo, la potestà.

 

    INATTIVE:

  • la soggezione.

 

 

Le situazioni giuridiche soggettive possono essere definite come la risultante della qualificazione giuridica di un interesse. Nell’esempio n. 1 fatto al paragrafo n. 1 abbiamo visto che l’interesse a conservare il bene orologio viene qualificato dall’ordinamento diritto di proprietà, ora si tratta di verificare quali sono tutte le qualificazioni giuridiche degli interessi, sia degli interessi a conservare beni, sia degli interessi a conseguire beni.

Seguendo lo schema n. 2, si può osservare come tutte LE SITUAZIONI DI VANTAGGIO ATTIVE siano riconducibili alla figura del diritto soggettivo. Infatti si può ritenere[22] che esso, pur nelle sue diverse tipizzazioni, esaurisca il quadro delle situazioni di vantaggio attive, sì da costituire la sola situazione di vantaggio attiva.

Il diritto soggettivo può essere definito come la facoltà di agire per la realizzazione di un interesse. Tuttavia ciò non significa riconoscimento e difesa incondizionati di tale interesse, in quanto il diritto soggettivo va inquadrato nella dimensione sociale. Ciò tecnicamente si esprime dicendo che esistono dei limiti interni al diritto soggettivo, che nascono con lo stesso diritto sogg. e che segnano il confine oltrepassato il quale il potere cessa e si apre la zona dell’impossibilità giuridica. In proposito a titolo di esempio possono segnalarsi i limiti dell’utilità e della funzione sociale (artt. 41 e 42 Cost:) concernenti rispettivamente l’iniziativa economica e la proprietà privata, oppure il divieto degli atti di emulazione previsto dall’art. 833 c.c. E’ stato affermato da autorevole Autore[23] che “la subordinazione di un interesse all’altro interesse concreto è consentita fin dove essa non urti contro il principio di solidarietà…Della solidarietà costituiscono espressioni , col dovere di correttezza, il dovere di buona fede e il rispetto dell’affidamento.

I limiti interni che circoscrivono sin dall’inizio il diritto sogg. vanno distinti dai limiti esterni che intervengono dal di fuori sul diritto nel momento del suo esercizio. La presenza dei limiti esterni, a differenza dei limiti interni, è soltanto occasionale. Esempi di limiti esterni sono: i diritti reali minori, i cd. limiti legali alla proprietà (art. 873 c.c.).

Essendo il diritto soggettivo facultas agendi ossia una situazione di possibilità il suo contenuto sarà formato da facoltà. Le facoltà costituiscono l’espressione della situazione dinamica diritto sogg. nel suo potenziale farsi ed in quanto tali appartengono al suo contenuto. Sotto tale profilo si può osservare come a seconda dei diritti soggettivi che ci troviamo di fronte avremo facoltà differenti: es. il diritto di proprietà comprende la facoltà di disposizione e la facoltà di godere la cosa, nel diritto di credito alla facoltà di disposizione non si unisce la facoltà di godere (che è inconcepibile in colui che non ha attualmente il bene, ma al quale il bene spetta), bensì la facoltà di pretendere (cd. pretesa) dal debitore l’esatta esecuzione della prestazione dovuta. Del tutto peculiare è poi la facoltà che caratterizza i diritti potestativi che non è né di godimento né di disposizione, ma è la facoltà di provocare unilateralmente una modificazione nella sfera giuridica altrui (facoltà cd. di formazione). Da quanto detto appare chiaro come all’interno della categoria diritto soggettivo è possibile individuare diversi tipi di diritti soggettivi caratterizzati da contenuti e facoltà differenti che passiamo ad esaminare.

In generale possiamo operare tre gruppi di distinzioni: dir. assoluti e relativi, dir. patrimoniali e non patrimoniali, dir. disponibili e indisponibili.

I diritti assoluti sono quelli attribuiti al soggetto verso la generalità dei consociati, sicché sono efficaci erga omnes ossia capaci di imporre a tutti i terzi un dovere o obbligo generale di astensione  da turbative ( cd. dovere aspecifico).

I diritti relativi sono quelli spettanti verso uno o più soggetti determinati ( o determinabili) e, pertanto, caratterizzati da un’efficacia soggettivamente limitata e dall’esistenza di una specifica situazione di svantaggio (obbligo) a carico di quei soggetti (cd. dovere specifico o obbligo in senso tecnico). La distinzione posta in questi termini è stata criticata. Ciò che si imputa a tale teoria è un errore di prospettiva, così dicendo infatti, si finisce col configurare la sfera dell’attività legittima dei soggetti come la risultante del rispetto di un dovere su di essi incombente e non come la conseguenza di un esercizio delle prerogative individuali conforme al contenuto ed ai limiti ad esse imposte dal diritto.[24]

In tale ottica una distinzione tra dir. assoluti e dir. relativi sarebbe prospettabile  solo se con essa si volesse evidenziare l’autosufficienza dei primi che prescindono da una intermediazione del comportamento di un altro soggetto (v. dir. reali-dir. credito). Né la distinzione assoluto-relativo acquista rilevanza se si guarda al profilo patologico del rapporto, in quanto la tutelabilità erga omnes è una caratteristica di tutte le situazioni di vantaggio (v. la tutela esterna del credito).

La seconda distinzione è quella tra diritti patrimoniali e diritti non patrimoniali e si basa sulla qualità dell’interesse-presupposto.

Nell’ambito dei diritti patrimoniali ritroviamo la distinzione tra diritti reali e diritti di credito (tuttavia v. l’art. 1174 c.c., dove si afferma che la non patrimonialità apparterrebbe alla sfera dei motivi).

Nell’ambito dei diritti non patrimoniali ritroviamo la distinzione tra i diritti personalissimi (v. art. 143 2° comma c.c.) e diritti della personalità (su cui v. infra).

Un’ulteriore distinzione è quella tra diritti disponibili e diritti indisponibili.

I diritti indisponibili sono: 1) inalienabili inter vivos, 2) intrasmissibili mortis causa, 3) irrinunciabili, 4) impignorabili, 5) inusucapibili, 6) imprescrittibili.

Circa l’imprescrittibilità (v. art. 2934 c.c.), bisogna osservare che la disponibilità di un diritto non comporta necessariamente la sua prescrittibilità: v. art. 948 c.c. I diritti indisponibili sono o naturalmente indisponibili così i cd. diritti della personalità oppure giuridicamente indisponibili così il credito alimentare v. art. 433 c.c.

In particolare possiamo distinguere le situazioni non patrimoniali, ossia i diritti della personalità, dalle situazioni  patrimoniali nelle quali rientrano: i diritti reali, i diritti di credito, i diritti personali di godimento, i diritti potestativi.

I diritti della personalità sono quei diritti in cui il bene, cui tende l’interesse presupposto, non si trova all’esterno, ma inerisce alla persona: concerne attributi essenziali di questa ed esigenze di carattere esistenziale legate all’uomo come tale.  Così si parla di un diritto al nome (artt. 6 e 7 c.c. e art. 22 Cost.), un diritto allo pseudonimo (art. 9 c.c.), un diritto all’integrità fisica (art. 5 c.c. e 32 Cost.) ecc. Tuttavia il vero problema dei diritti della personalità è che si evidenziano sempre nuove istanze concernenti la personalità dei soggetti non previste né prevedibili dal legislatore costituzionale o ordinario, sicché tali interessi vengono visti come una categoria aperta che troverebbe la propria base nell’art. 2 della Cost. e si è definita la persona come valore normativo, escludendo che la sua tutela debba esprimersi attraverso situazioni giuridiche soggettive (discorso quest’ultimo che rimane in piedi per gli interessi tendenti a beni esterni alla persona). Si è quindi parlato di un diritto alla riservatezza, di un diritto all’identità personale ecc.

Il diritto reale è un diritto su una cosa (res). Nell’ambito dei diritti reali ritroviamo: la proprietà, i diritti reali di godimento (superficie, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione, servitù prediali), i diritti reali di garanzia (pegno, ipoteca, nonché come taluno ritiene i privilegi speciali). Come già abbiamo visto parlando dei diritti assoluti, è stata superata la teoria personalistica dei diritti soggettivi che cioè esamina i diritti soggettivi in termini di rapporto giuridico. Sicché nel diritto reale può ravvisarsi il riconoscimento normativo di un interesse, alla base del quale sta la relazione soggetto-cosa e quindi l’utilità che la cosa può fornire al soggetto. Si profila dunque un fenomeno in cui i terzi si collocano in posizione di totale estraneità, ossia i terzi non si presentano come portatori di un dovere. In altre parole ciò che assume valore decisivo è la situazione di potere assegnata al portatore dell’interesse, potere che si profila come del tutto autosufficiente perché ex se idoneo a consentire il soddisfacimento dell’interesse-presupposto. La realizzazione del risultato utile avviene immediatamente e senza il concorso di un diverso soggetto investito da una situazione di necessità (come nei diritti di credito). In tale ottica il comportamento dei terzi può acquistare una rilevanza negativa sub specie iuris soltanto nel momento in cui un terzo, senza esservi in alcun modo autorizzato o eccedendo i limiti del suo diritto, impedisca, ostacoli, contesti o altrimenti disturbi l’esercizio del diritto altrui, così assumendo un comportamento lesivo.

Innanzitutto occorre vedere il rapporto esistente tra la proprietà e i diritti reali di godimento. Tale rapporto è : 1) di derivazione, in quanto i diritti reali di godimento presuppongono una situazione di proprietà dalla quale derivano. 2) di prevalenza dei dir. r. di god. che limitano dall’esterno la proprietà sotto il profilo della facoltà di godimento, da ciò si parla di elasticità dei diritti reali per indicare la possibilità che il loro esercizio riprenda in pieno al venir meno del limite incidente.

Vediamo ora quali sono i caratteri della realità. Oltre alla elasticità v’è l’inerenza cioè l’insistenza del diritto sul bene che dà luogo all’opponibilità erga omnes di esso. Dall’inerenza derivano quindi i seguenti corollari:

  1. intrinseca idoneità del diritto ad imporsi ai terzi, che si esprime anche nel cd. ius sequelae.
  2. immediatezza, ossia la possibilità di trarre dal bene l’utilità senza che sia necessario l’intervento di un soggetto tenuto ad intermediare o a rendere possibile quella attività. Sicché si parla dei diritti reali come situazioni autosufficienti.

Circa invece i diritti reali di garanzia la loro funzione è quella di assicurare al creditore, se il debitore risulti inadempiente, il conseguimento per equivalente di quanto gli era dovuto, tramite la vendita forzata del bene sottoposto a pegno o a ipoteca (cd. ius distra hendi art. 2796 c.c.) e la conseguente possibilità di soddisfarsi sul ricavato della vendita  con preferenza (cd. ius praelationis art. 2787 c.c.) rispetto agli altri creditori non assistiti da garanzia reale. La differenza dei diritti reali di garanzia rispetto ai diritti reali di godimento starebbe da un lato nella funzione, dall’altro nell’effetto-limite che nei diritti reali di garanzia ha ad oggetto la facoltà di disposizione.

Mentre per i diritti reali di garanzia il codice civile espressamente stabilisce la loro tipicità e il loro numero chiuso (v. art. 2741 c.c.), per i diritti reali di godimento il problema è aperto. Generalmente si ritiene che tali diritti siano a numero chiuso (impossibilità per i privati di crearne altri oltre quelli tassativamente previsti) e tipici (impossibilità di incidere sul contenuto di tali situazioni). Tale opinione viene giustificata con le seguenti argomentazioni: la prima di carattere storico risiede nell’esaltazione della proprietà privata quale diritto sacro e inviolabile che quindi può essere limitato solo in determinate circostanze e a date condizioni, la seconda di carattere economico-giuridico rileva come  lasciare liberi i privati di creare figure del tutto nuove o adattare vecchie figure tipiche, significherebbe porre in mano dei soggetti più forti efficaci strumenti di sopraffazione dei soggetti più deboli.

Il diritto di credito si manifesta non come potere su una cosa, ma come pretesa ad una cosa, sicché si è detto che mentre nelle situazioni in re la cosa appartiene al titolare, nel credito il bene (cosa o utilità) spetta al creditore. Viene in primo piano la posizione del debitore il quale è tenuto ad intermediare il soddisfacimento dell’interesse che sta alla base del credito.

Taluno[25] ha dubitato che il diritto di credito sia un diritto soggettivo perfetto e ha preferito parlare di aspettativa di diritto, e ciò in quanto il creditore si troverebbe investito in una situazione di vantaggio inattiva, dipendendo la realizzazione del credito dal fatto, futuro e incerto, che il debitore esegua la prestazione. Ma questa ricostruzione viene criticata in quanto si afferma[26] che anche nel diritto di credito, così come nel diritto reale, il soddisfacimento dell’interesse-presupposto dipende dal comportamento del suo titolare (creditore), mediante l’esercizio della pretesa, mentre l’attività del debitore rappresenta soltanto lo strumento materiale di quel soddisfacimento. La legge, infatti, non dà al debitore alcuna possibilità di scelta in ordine al se dell’adempimento, né ad essa condiziona il soddisfacimento del diritto del creditore: all’esercizio della pretesa non può che corrispondere l’adempimento, che deve seguire alla richiesta del creditore. Se infatti il debitore non assuma (dolosamente o colposamente) il comportamento dovuto avremo l’inadempimento dell’obbligo e la conseguente responsabilità del debitore (v. 1218 c.c.).

Il diritto di credito oltre ad avere una tutela “interna” che cioè attiene al solo rapporto creditore-debitore ha anche una tutela “esterna” (a cui già abbiamo accennato: v. p. 23-24) del credito contro i fatti lesivi provenienti dai terzi (resp. extracontr. ex  2043 c.c.).

L’ipotesi è quella del terzo che, uccidendo il debitore di una prestazione di fare infungibile (tale, cioè da non poter essere eseguita da persona diversa dal debitore) renda con ciò impossibile il soddisfacimento del credito[27].

I diritti personali di godimento si presentano come situazioni “miste” dotate di talune caratteristiche dei diritti reali e di altre dei diritti di credito. In tali diritti è possibile evidenziare due fasi distinte: la prima caratterizzata da una pretesa creditoria che l’avente diritto al godimento (es. conduttore) vanta nei confronti del concedente obbligato alla consegna della cosa oggetto del diritto, la seconda costituita da un diritto, avente a contenuto una facoltà di godimento, che si esplica immediatamente sul bene. Tuttavia in tale seconda fase l’opponibilità a determinati terzi non riguarda il diritto in sé come nei diritti reali, ma il titolo dal quale esso deriva: sicché si tratta di opponibilità dell’atto non del diritto (cfr. artt. 1376 e 1380 c.c.).

Il diritto potestativo consente al proprio titolare di ottenere con il proprio comportamento unilaterale un risultato favorevole tramite l’esercizio di una facoltà cd. di formazione capace di provocare una modificazione nella sfera giuridica di un altro soggetto, impossibilitato ad opporsi a essa e perciò trovantesi in una situazione di svantaggio inattiva di soggezione. Esempi v. 1454, 1456, 1500 c.c. Si è detto che le caratteristiche dei diritti potestativi sarebbero la loro insindacabilità e la loro inviolabilità (impossibilità di essere lesi).

Circa il profilo della insindacabilità essa consisterebbe nella impossibilità di effettuare indagini sull’esrcizio del diritto potestativo e quindi sull’atto nel quale si estrinseca. Ma questa concezione è stata criticata ponendo l’accento sull’interesse della controparte che potrebbe qualificarsi come situazione di vantaggio inattiva di interesse legittimo, capace di porsi come fattore incidente sulle modalità di esercizio del diritto ossia come limite al poter agire del titolare.

Circa l’impossibilità di lesione si è notato come ciò non sia sempre vero e si è fatto l’esempio della distruzione della cosa oggetto di un diritto di riscatto ex art. 1500c.c., anche se occorre rilevare che la tutela sarebbe di tipo extracontrattuale (2043), ponendosi il fatto lesivo fuori dal piano del rapporto diritto potestativo (venditore) – soggezione (acquirente); (vedi infra:la soggezione).

Continuando nella disamina dello schema n. 2 ritroviamo LE SITUAZIONI DI VANTAGGIO INATTIVE che seppure tendenti ad assicurare al titolare un risultato favorevole sono caratterizzate da un non poter agire. Esse sono l’aspettativa nella quale viene anche inquadrato il possesso, e l’interesse legittimo.

L’aspettativa  si caratterizza come posizione di interesse iniziale (in fieri) giuridicamente riconosciuto come tale, ma in vista di un suo ulteriore evolversi in una situazione finale (diritto soggettivo). L’inattività di tale situazione si manifesta nel fatto che, a differenza del diritto soggettivo, il titolare non può realizzare l’interesse presupposto attraverso un proprio comportamento (esclusivo nei diritti reali, intermediato da un comportamento altrui nei diritti di credito), in quanto il suo soddisfacimento dipende da un evento (futuro ed eventualmente incerto nell’an e/o nel quando) che – consista in un fatto naturale o umano – costituisce pur sempre un fattore esterno rispetto alla struttura interna della situazione.[28]

Il paradigma di tale situazione giuridica soggettiva è rappresentato dal negozio sub condicione in cui il soggetto vanta un’aspettattiva all’acquisto. prima di diventare titolare del diritto. In pendenza della condizione l’aspettativa viene tutelata da una serie di norme: v. artt. 1358, 1359, 1356 1°co.

La nozione di possesso la ritroviamo nell’art. 1140 del c.c.Circa la struttura è composto da un elemento materiale (il cd. corpus possessionis la materiale apprensione del bene) e da un elemento spirituale (il cd. animus rem sibi habendi l’intenzione di tenere la cosa come propria). Circa la ratio dell’istituto esso si giustifica al fine di garantire certezza e stabilità ai rapporti sociali esprimentesi nella massima ne cives ad arma veniant e nell’offrire rapida ed adeguata tutela a chi si trovi nella situazione  di effettiva disponibilità di un bene.

Problemi, invece sono sorti nello stabilire quale sia la natura giuridica del possesso. In proposito è stata fatta la distinzione tra ius possessionis e ius possidendi. Nel primo anche detto possesso non titolato, il soggetto si comporta come se fosse titolare della proprietà o di altro diritto reale senza tuttavia esserlo; nel secondo detto anche possesso titolato il possessore e anche titolare del bene. Sicché il problema della natura giuridica attiene al primo, in quanto il ius possidendi rimane assorbito nel diritto cui si riferisce.

Così al ius possessionis è stata assegnata la veste di aspettativa rilevando che caratterizza la situazione è l’interesse del possessore a continuare a possedere in vista dell’evoluzione della sua attuale posizione in una situazione finale di diritto reale: di quel diritto che il possessore può acquistare attraverso l’usucapione art. 1158 c.c.

La figura dell’interesse legittimo è stata studiata dalla scienza del diritto amm.vo, in quanto in tale campo assume un preciso valore pratico indicando il giudice competente nelle controversie tra privati e P.A.(diritto soggettivo-A.G.O., interesse legittimo-A.G.A. v. art. 113 Cost.). Tuttavia si è notato come la figura in esame potrebbe assumere una funzione importante anche nel diritto civile, in particolare si tratterebbe di una funzione di indagine nel merito dell’atto di esercizio di situazioni del tutto libere (diritto di credito, diritto potestativo) o necessitate nell’an (potestà).

Nel campo del diritto amm.vo l’interesse legittimo fu definito[29] come l’interesse indirettamente o occasionalmente protetto, in quanto “strettamente connesso con un interesse pubblico e protetto dall’ordinamento giuridico attraverso la tutela giuridica di quest’ultimo”. Tale tesi, criticata soprattutto perché trascura l’autonomia della situazione soggettiva, è stata succeduta da altre teorie sino a giungere alla tesi che ravvisa nell’interesse legittimo “una posizione soggettiva di vantaggio, qualificata dall’ordinamento, che viene in evidenza in occasione dell’esercizio della potestà pubblica, generando nel suo titolare una serie di poteri che egli può attivare sia nel procedimento che nel processo.[30]”

Da questa definizione si evince come esso sia un interesse direttamente protetto, in quanto situazione di vantaggio volta al conseguimento di un risultato favorevole consistente nella conservazione o nella modificazione di una certa realtà. Sicché la differenza tra diritti soggettivi e interessi legittimi non riguarda l’interesse materiale del privato, ma il modo e la forma di protezione che con l’interesse legittimo si sostanzia nella possibilità di ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo, nella possibilità di intervento nel procedimento ecc. Si tratta di forme di tutela che tendono a rispettare le regole di coesistenza tra interesse privato e interesse pubblico. In altre parole mentre il diritto soggettivo rispecchia la tutela di situazioni di prevalenza e quindi viene disciplinato da regole di prevalenza, l’interesse legittimo si inquadra e viene disciplinato da regole di coesistenza.[31]

Come abbiamo accennato si è tentato di riportare anche nel diritto civile l’istituto dell’interesse legittimo. Ciò è stato fatto ravvisando in esso una situazione di vantaggio inattiva in cui il soddisfacimento dell’interesse-presupposto non dipende dal comportamento del soggetto che vi aspira ma da quello di un soggetto diverso titolare di una situazione di diritto o di dovere (potestà). Così si invoca l’art. 1206 c.c. (“..senza motivo legittimo..”) dove al diritto di credito si contrapporrebbe la posizione di interesse legittimo del debitore, e per le situazioni necessitate nell’an  ci si richiama all’art. 147 c.c. dove le scelte dei genitori sono conformate dalla necessaria considerazione “delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.”

Venendo alle SITUAZIONI DI SVANTAGGIO ATTIVE (p. 19) si tratta di esaminare l’obbligo e la potestà[32].

L’obbligo si manifesta attraverso un comportamento specificamente diretto alla realizzazione di un interesse altrui che può avere sia un contenuto patrimoniale sia un contenuto non patrimoniale (art. 143 c.c.). Quando l’interesse da realizzare è patrimoniale si evidenzia il concetto di prestazione quale contenuto dell’obbligo correlativo ad un diritto di credito. In tal caso certa dottrina preferisce parlare di obbligazione che esprime la posizione complessiva del debitore nell’ambito del rapporto obbligatorio.

Tradizionalmente la potestà viene definita come un potere attribuito al singolo per il soddisfacimento di interessi che non sono direttamente suoi, di talchè tale potere al tempo stesso si presenta come dovere (potere-dovere es. art. 316 c.c. potestà dei genitori).[33]Tale ricostruzione, peraltro mutuata dalla dottrina giuspubblicistica, è stata criticata ponendo in rilievo come le potestà sono espressione di situazioni necessitate sebbene dotate di discrezionalità in ordine al quomodo, ossia di funzioni.

Sicchè si è affermato[34] che la potestà esprime la particolare funzione che certi soggetti investiti in un ufficio sono chiamati a svolgere in vista del fine del conseguimento di un fine prefissato dalla norma (es. cura degli incapaci o v. art. 147 c.c.), funzione che assume il carattere della necessità , ferma restando la discrezionalità nel quomodo. Sicchè non si tratta di un potere-dovere come si sosteneva in precedenza, ma di un dovere discrezionale. E’ una situazione di svantaggio in quanto coordinata funzionalmente al conseguimento di un risultato favorevole per un altro soggetto.

Circa LE SITUAZIONI DI SVANTAGGIO INATTIVE occorre esaminare la figura della soggezione.

La soggezione è la posizione di chi nell’ambito di un rapporto viene a trovarsi di fronte ad un altrui diritto potestativo. Sicché il titolare di essa subisce l’esercizio del diritto altrui, non solo senza prestarvi collaborazione alcuna, ma senza neanche potersi opporre o impedirne gli effetti. In tal senso essa è una situazione inattiva. Ciò significa che a differenza dell’obbligo non è per essa prospettabile un comportamento contrario al suo contenuto (si tratta di un non potere non rispettare). Da ciò si evince che l’eventuale comportamento lesivo dell’interesse del titolare del diritto, si porrà fuori dal rapporto (vedi supra: diritto potestativo p. 29) sanzionabile come tale a norma dell’art. 2043 c.c.

Dobbiamo ora esaminare due figure che tradizionalmente (dai Manuali) vengono inquadrate nell’ambito delle situazioni giuridiche soggettive: l’onere e lo status.

L’onere viene definito come un comportamento necessitato per la realizzazione di un interesse proprio del titolare, sicché il suo inadempimento renderebbe impossibile il soddisfacimento di tale interesse, ma non ledendo interessi altrui non sarebbe fonte di responsabilità verso alcuno, es. art. 2697c.c.

Lo status viene definito come la qualità giuridica connessa alla tendenzialmente stabile  posizione dell’individuo in una determinata collettività e alla quale sarebbero da ricondurre alcuni doveri e alcuni diritti del soggetto, es. dallo status di cittadino derivano diritti (art. 48 Cost.) e doveri (art. 52 Cost.).

Ma questa tesi tradizionale è stata criticata, in quanto si è notato che né l’onere né lo status costituiscono situazioni giuridiche soggettive, infatti in nessuna delle due figure è possibile riscontrare la risultante della qualificazione giuridica di un interesse.

In particolare l’onere si configura come “limite normativo all’esercizio di un diritto, di cui determina formalmente le modalità”: così l’onere della prova indica al soggetto il modo in cui il suo diritto può essere esercitato in vista del soddisfacimento dell’interesse che ne sta alla base.

Lo status invece esprime la condizione personale del soggetto in quanto inserito in una societas più o meno estesa (Stato, famiglia) e costituisce l’indice delle situazioni e degli interessi che si riallacciano a tale condizione, fungendo da presupposto per il loro acquisto e da criterio riassuntivo di essi.

 

 

 

 

  1. Infine dobbiamo accennare ad una situazione soggettiva particolare caratterizzata dalla diffusività o serialità dell’interesse-presupposto: gli interessi diffusi.

Gli interessi diffusi si caratterizzano:

  1. per non avere come punto di riferimento oggettivo un bene suscettibile di appropriazione individuale.
  2. per essere comuni, sotto il profilo soggettivo, a tutti i membri della collettività.

Si parla in proposito di interessi seriali proprio per indicare la loro simultanea riferibilità a più soggetti. Es. l’interesse ad avere un ambiente salubre (art. 32 Cost.), l’interesse alla conservazione del patrimonio estetico (art. 9 Cost.).

Il problema della serialità e della diffussività di questi interessi non è né quello del loro riconoscimento normativo (v. gli esempi fatti), né quello degli strumenti di tutela utilizzabili (art. 700 c.p.c., art. 2043 c.c., ecc.), bensì quello della legittimazione ad agire in quanto nel nostro sistema è azionabile in giudizio solo l’interesse del soggetto in quanto titolare di una posizione sostanziale (d. sogg., int. leg.) individuale e differenziata, mentre gli interessi diffusi per loro natura fanno capo a soggetti indeterminati, dando vita a una posizione collettiva e indifferenziata.

Il problema non sorge invece per i cd. interessi collettivi, i quali fanno capo ad una collettività individuata e determinata, la cui tutela è affidata ad un ente esponenziale es. Consiglio dell’Ordine, F.G.C.I. ecc. A rigore, quindi, mentre gli interessi collettivi in quanto facenti capo ad un ente possono essere azionati e tutelati gli interessi diffusi non riceverebbero tutela. La conferma di quanto detto starebbe nell’art. 26 del r.d. 1054/1924.

La giurisprudenza amm.va[35] sulla base di ciò ha affermato che gli interessi diffusi sono azionabili quando di essi si fa portatrice un ente esponenziale che abbia le seguenti caratteristiche:

  1. non occasionale.
  2. rappresentativo.
  3. insediato sul territorio dove si lamenta la lesione dell’interesse.

A questo orientamento rigido e fondato sul dato positivo se ne è opposto un altro che considera gli interessi diffusi azionabili anche in mancanza dei requisiti summenzionati, in quanto facciano riferimento a diritti fondamentali della persona.[36]

In particolare si trattava di tutelare gli interessi degli handicappati, i quali lamentavano che il Comune di Roma non aveva predisposto i mezzi idonei per consentire loro di accedere al metrò. Il pretore di Roma adito affermava che l’attribuzione di un diritto soggettivo ad una intera categoria di soggetti non ne compromette la consistenza, “poiché il collegamento esclusivo fra un bene ed un determinato soggetto (individuo o ente), è tipico dei soli diritti patrimoniali, mentre la caratteristica dei diritti fondamentali (non patrimoniali) è quella di prescindere da un siffatto legame di esclusività, inerendo all’esistenza stessa della persona umana come partecipe della collettività.”

 

 

Antonio Lordi

 

 

 

 

[1] L. BIGLIAZZI GERI Diritto Civile 1 Torino 1987, E. BETTI Interesse (teoria generale) Noviss. DI, VIII, 1962.

[2] L. BIGLIAZZI GERI, Diritto Civile 1, Torino 1987

[3] Esempio di interesse indifferente è l’interesse a invitare una ragazza a cena, esempio di interesse illecito è l’interesse a percuotere taluno (cfr. con il ius corrigendi art. 571 c.p.).

[4] G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, Torino1980, p. 1 e ss.

[5] F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine Generali del Diritto Civile, Napoli 1966 p. 173

[6] A. TORRENTE Manuale di Diritto Privato, Milano 1990.

[7] G. CHIOVENDA Istituzioni di Diritto Processuale Civile, Napoli 1960 p. 1

[8] E’ possibile altresì evidenziare la differenza tra diritto e morale. Tale distinzione non tocca i contenuti dei precetti (es. non rubare), ma la prospettiva del comando, visto nel diritto in funzione della vita in società e tendente alla conservazione di essa, nella morale come norma personale per il soggetto.

[9] A. TRABUCCHI, Istituzioni di Diritto Civile, Padova 1988 p. 8

[10] KANT nel suo saggio La metafisica dei costumi, Bari, 1991, p. 34 afferma che “il giureconsulto…può … conoscere e dichiarare che cosa appartenga al diritto”, ma poi definisce il diritto come “l’insieme delle condizioni, per mezzo delle quali l’arbitrio dell’uno può accordarsi con l’arbitrio di un altro secondo una legge universale della libertà.” Tuttavia dalla prima considerazione (non è definibile cosa sia il diritto, ma cosa appartiene al diritto) è possibile inferire che il diritto sia soprattutto  una forma di linguaggio che si esprime in termini di dover essere, circa invece il suo oggetto esso non è determinabile a priori in quanto può regolare qualsiasi materia.

[11] G. CAPOZZI, Dei Singoli Contratti 1. Milano 1988 p.5 e ss.

[12] A. DI MAJO, La Tutela Civile dei Diritti, Milano 1993, p. 12

[13] Bisogna tenere distinte le Forme di Dominio (imperii) dalle Forme di Governo (regiminis): le prime si caratterizzano per il numero di governanti (monarchia, aristocrazia, democrazia); le seconde per il rapporto esistente tra potere-legge-libertà (repubblica, dispotismo, anarchia, barbarie). La repubblica è potere costituito secondo libertà e legge, il dispotismo è legge e potere senza libertà, l’anarchia è legge e libertà senza potere che le regoli, la barbarie è potere senza nè legge nè libertà.

[14] In proposito v’è un aneddoto sul tramonto dell’Assolutismo. Un contadino rinfacciò a Federico IV di Prussia di cavalcare sul suo terreno, “Ma io sono il Re !!” esclamò il sovrano, e il contadino per tutta risposta: “ Si è vero, ma ci sono dei Giudici a Berlino”. A questo punto Federico, allontanadosi, commentò: “Allora vuol dire che c’è giustizia nel mio Regno”.

[15] F. GAZZONI Manuale di Diritto Privato, Napoli 1992 p. 31.

[16] L. SARTORI, Da Roma a Maastricht una lunga strada per giungere fino all’Unione Europea, Guida al Diritto n.8/1996 p. 7.

[17] M. TRIMARCHI, Il diritto privato dell’Unione europea, in Casi e Questioni di Diritto Privato, di M. Bessone, Milano 1995 p. 10 e ss.

[18] Cass. n. 8504/1996, in Foro it., 1996, I, 3336.

[19] Trib. Roma, 1/2/1994 in Casi e Questioni di Diritto Privato, a cura di M. Bessone, Milano, 1995.

[20] L. BIGLIAZZI GERI, Diritto Civile1, Torino, 1987, p. 270 e ss.

 

 

[21] L. BIGLIAZZI GERI, Diritto Civile, 1, Torino, 1987.

[22] L. BIGLIAZZI GERI, op. cit., p. 283.

[23] F. SANTORO PASSARELLI, op. cit., p. 76.

[24] L. BIGLIAZZI GERI, op. cit., p. 278.

[25] BARBERO, Foro it., 1939, IV, 1 e ss.

[26] L. BIGLIAZZI GERI, op. cit., p. 313.

[27] Da quanto detto è possibile fare una riflessione sulla cd. circolarità dei diritti (v. GAZZONI, op. cit., p. 63) tra diritti reali e diritti di credito. Tale fenomeno consiste nella fungibilità dei tipi di tutela tra diritti reali e diritti di credito, ossia può accadere tanto che un diritto reale sia tutelato attraverso un diritto di credito (ad es. distruzione della cosa oggetto del diritto di proprietà, che fa sorgere un credito al risarcimento del danno nei confronti del danneggiante ex 2043 c.c.), quanto che un diritto di credito goda della tutela erga omnes tipica dei diritti reali (per l’esempio vedi supra nel testo). Ciò è giustificato dal fatto che entrambe le figure appartengono alla stessa categoria di situazioni giuridiche soggettive (di vantaggio attive). Lo stesso fenomeno della circolarità è riscontrabile tra diritti di credito e diritti potestativi, così ad es. dall’inadempimento contrattuale nasce il diritto alla risoluzione del contratto.

[28] I casi di scuola di condizione e termine sono i seguenti: per la condizione, dies incertus an incertus quando il giorno delle nozze di Tizio, dies incertus an certus quando quando Tizio compirà 18 anni; per il termine, dies certus an incertus quando quando Tizio morirà, dies certus an certus quando l’ 8 gennaio 1997. Vedi A. TRABUCCHI, op.cit., p. 177.

[29] ZANOBINI , Corso di Diritto Amministrativo, Milano, 1958.

[30] V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 1994, p.176. M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 1983, p. 127 in cui si afferma: “esso è la posizione di vantaggio fatta ad un soggetto dell’ordinamento in ordine a un bene oggetto di potere amministrativo e consistente nell’attribuzione al medesimo soggetto di poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene.”

[31] A. DI MAJO, op. cit., p. 18.

[32] Come già abbiamo visto  non rientra tra le situazioni di svantaggio il dovere inteso quale obbligo generico di non turbare il titolare di un diritto assoluto, oppure come dovere di neminem laedere 

[33] A. TORRENTE, op. cit., p. 63; A. TRABUCCHI, op. cit., p.56.

[34] L. BIGLIAZZI GERI, op. cit., p. 342.

[35] F. GAZZONI, op. cit., p. 76.

[36] Pretura di Roma 4/6/1980 in Giust. Civ., 1980, I, 1990.

 

Redazione

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