Scia e tutela del terzo. Facciamo un po’ di chiarezza

David Di Meo 23/01/18
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Non è un mistero che uno dei più importanti temi in voga nel diritto amministrativo attiene alla tutela del terzo (contro interessato) dall’attività provvedimentale incidente su altro soggetto, diretto destinatario del provvedimento, tutela che si fa sempre più complessa quando non vi è propriamente alcun procedimento amministrativo ma una mera forma di controllo pubblico sull’iniziativa privata.

Difatti, quando il provvedimento amministrativo è in grado di ledere altri soggetti, questi sono legittimati a ricorrere alla tutela giudiziaria avanti al G.A. per ottenere, tendenzialmente, una pronuncia dagli effetti demolitori.

Ebbene, cosa succede quando l’attività del privato non risulta oggetto di provvedimenti amministrativi ma di un mero controllo pubblico sulla legittimità e regolarità, come nel caso delle segnalazioni certificate di inizio attività (in precedenza DIA)?

Per meglio comprendere il senso di siffatte situazioni è bene rammentare che dopo l’entrata in vigore della legge 122/2010 si è tentato di semplificare ulteriormente l’apertura di un’attività di impresa. Difatti, per tutte le attività economiche soggette a verifica dei requisiti è oggi sufficiente presentare una SCIA in sostituzione di ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione, permesso o nulla osta, comprese le domande per l’iscrizione in albi e ruoli.

Invero, l’attività economica può essere iniziata dalla stessa data di presentazione della SCIA senza necessità di attendere i 30 giorni previsti in precedenza.

Tuttavia, le amministrazioni competenti avranno poi 60 giorni per esercitare i controlli e chiedere, in ipotesi di  mancanza dei requisiti necessari, la rimozione degli effetti dannosi.

La legge n. 241 del 1990 disciplina tale attività all’art. 19, e in particolare al comma 6 ter prevede che “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.

Pertanto, per espressa scelta legislativa, la sola tutela apprestata al terzo che ritiene di essere leso dagli effetti di una Scia è quella di sollecitare l’Amministrazione competente a verificare la regolarità della situazione in essere ed in caso di inerzia ricorrere al rito sul silenzio, ex art. 31 c.p.a.

Tutto ciò rappresenta il superamento della precedente soluzione adottata con la famosa statuizione dell’Adunanza Plenaria nel 2011, che aveva configurato nel silenzio dell’Amministrazione a seguito della presentata dia (oggi scia) l’esistenza di un “provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un, sia pure non necessario, atto espresso di diniego dell’adozione del provvedimento inibitorio”[1] .

Secondo la Plenaria, infatti, il terzo poteva esperire innanzi al  giudice amministrativo un’azione di accertamento diretta ad ottenere una pronuncia di verifica della insussistenza dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività oggetto della DIA (oggi Scia). Qualora il terzo poi si fosse ritenuto leso dall’attività iniziata e dal mancato esercizio del potere inibitorio avrebbe potuto esperire l’azione impugnatoria di annullamento ai sensi dell’articolo 29 del c.p.a.

Oggi però, come già rilevato, a seguito dell’intervento normativo[2] che ha portato alla modifica dell’art. 19 l. 241 del 1990, la sola azione esperibile, dopo aver sollecitato la P.A. ad espletare le dovute verifiche, è quella sul silenzio.

Per comprendere le ragioni per cui gli strumenti di tutela offerti dalla Plenaria risultavano maggiormente incisivi basta considerare che l’azione di annullamento ex art. 29 c.p.a., avverso il c.d. provvedimento tacito di diniego ad inibire l’attività oggetto di dia (scia) consentiva di sindacare anche la valutazione positiva dell’Amministrazione sull’attività segnalata; di contro, nell’attuale quadro normativo il terzo asseritamente leso può richiedere solo che la P.A. verifichi la legittimità dell’attività ma non può spingersi fino a contestarne le valutazioni, essendo titolare della sola azione avverso il silenzio inadempimento – di cui all’art. 31 c.p.a. – ossia può chiedere all’Amministrazione di esprimersi ma non può contestarne il contenuto.

In un tale frangente è certamente anomala la situazione che emerge, poiché se da un lato il terzo subisce una sorta di regressione della propria tutela sotto il profilo degli strumenti giurisdizionali a disposizione, dall’altra vede aumentare il peso della sua incidenza sull’attività posta in essere medio tempore dal titolare della Scia, poiché di fatto non è previsto alcun termine entro il quale il terzo può sollecitare i c.d. poteri inibitori.

Tuttavia, è di assoluta evidenza che un siffatto potere in capo al terzo senza limiti temporali, retto dalla mera giustificazione della tardiva conoscenza, sarebbe in grado di frustrare non solo le ragioni della liberalizzazione alla base della SCIA, ma anche dell’affidamento ingenerato nell’esercente l’attività economica[3].

In ragione di ciò, recentemente il Tar Toscana ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità relativa al contrasto dell’art. 19, comma 6 ter,  l. 241 del 1990, per violazione degli artt. 3, 11, 97, 117 comma 1 Cost.[4]; difatti la possibilità di avanzare l’istanza di sollecitazione sine die è in grado di violare l’affidamento di chi intraprende legittimamente un’attività economica, confliggendo una tale situazione con il buon andamento della P.A. e con il principio di ragionevolezza e tutela dei livelli essenziali delle prestazioni.

Ciò che deriverebbe dalla possibilità – temporalmente illimitata – per il terzo di contestare l’attività segnalata è la vanificazione dell’intento semplificatorio, atteso che difetterebbe una regolamentazione definitiva degli interessi contrapposti.  Il Tar Toscana ha inoltre ravvisato la possibile sperequazione territoriale, posto che l’omissione dai livelli essenziali di tutela del termine per sollecitare i poteri pubblici pregiudicherebbe altresì l’uniformità normativa, poiché ben sarebbero riscontrabili discipline territoriali disomogenee.

Tirando le somme, quindi, possiamo ravvisare che il tentativo di semplificare e liberalizzare talune attività economiche non è certamente agevole all’interno del nostro ordinamento, terreno forse troppo fecondo di conflitti giudiziari, spesso per incapacità di gestire con reale lucidità i molteplici interessi in gioco. In attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, che forse imporrà di assegnare un chiaro termine per la tutela del terzo, ci domandiamo se non sia più proficuo in alcuni ambiti consentire e garantire una reale liberalizzazione dell’attività economica per il bene comune e per il progresso civile.

[1] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 29/07/2011 n° 15

[2]  D.L. 13 agosto 2011, n 138, convertito con modificazioni, nella L. 14 settembre 2011, n. 148

[3] Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 03/11/2016 n° 4610.

[4] Tar Toscana, Sez. III, ord.., 11 maggio 2017 n. 667.

David Di Meo

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