Rovina di cose immobili in relazione all’art. 2043 c.c.

Redazione 26/11/18
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Il contratto di appalto è per sua natura un contratto con cui un soggetto, qualificato appaltatore, assume, con un’ organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio, verso un corrispettivo in denaro, versato dal committente (anche detto appaltante). In particolare, ai sensi dell’art. 1669 c.c. l’appaltatore risponde della difformità e dei vizi dell’opera realizzata, salvo che questa sia stata accettata dal committente consapevole dei difetti.

La garanzia del committente

A fronte dei vizi, il committente può avvalersi degli strumenti rimediali di cui all’art. 1668 c.c. Nello specifico, il committente può domandare l’eliminazione dei vizi a spese dell’appaltatore o la riduzione del prezzo ovvero, così come previsto al comma 2, agire per ottenere la risoluzione del contratto di appalto ove le difformità siano tali da rendere l’opera inadatta alla funzione cui era destinata, ferma la risarcibilità dei danni patiti.

L’appaltatore è altresì responsabile, secondo quanto dispone l’art. 1669 c.c., per la rovina o per i gravi difetti dell’immobile o edificio realizzato, per la durata di dieci anni dal compimento dell’opera, purché sia fatta denuncia entro un anno dalla scoperta; tale termine risulta decadenziale.
La responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c., secondo un principio ormai consolidato in giurisprudenza, configura un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, ma speciale.

La natura giuridica della responsabilità ex art. 1669 c.c.

La giurisprudenza ha stabilito che la disposizione di cui all’art. 1669 c.c., configura la fattispecie di una responsabilità aquiliana riconducibile alla violazione di regole primarie di ordine pubblico, stabilite per garantire l’interesse di carattere generale alla sicurezza dell’attività edificatoria e, quindi, alla conservazione e alla funzionalità degli edifici, allo scopo di preservare la sicurezza delle persone. In merito al rapporto fra gli artt. 2043 c.c. e 1669 c.c., norma quest’ultima assistita da una presunzione iuris tantum di responsabilità dell’appaltatore, balza all’occhio che le stesse siano in rapporto di genere a specie, con la conseguenza che nell’ipotesi in cui non sia applicabile la prima, possa essere invocata la seconda, così garantendosi ai danneggiati dalla rovina o dai gravi difetti di un edificio una più ampia tutela.

Legittimato a proporre l’azione

Quanto detto in linea teorica, devesi rilevare come in virtù della riconosciuta natura extracontrattuale dell’azione prevista dall’art. 1669 c.c., la giurisprudenza abbia più volte sostenuto che l’azione di responsabilità prevista dalla citata norma possa essere esercitata anche dall’acquirente nei confronti del venditore. Questi, tuttavia, perché possa considerarsi responsabile, deve risultare dotato della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera, gravando sul medesimo l’onere di provare di non aver avuto alcun potere di direttiva o di controllo sull’impresa appaltatrice, così da superare la presunzione di addebitabilità dell’evento dannoso ad una propria condotta colposa, anche eventualmente omissiva.

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