La riparazione “risarcitoria” di cui all’art. 62, co. 1, n. 6, c.p.

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In cosa deve consistere la riparazione “risarcitoria” di cui all’art. 62, co. 1, n. 6, c.p.
Il risarcimento deve essere eseguito personalmente dall’imputato medesimo (non potendo esso essere il frutto di opera di terzi, come nel caso di recupero, anche parziale, del compendio delittuoso da parte della polizia giudiziaria o di terzi, senza alcuna collaborazione volontaria del colpevole) se questi ne abbia conoscenza, mostri la volontà di farlo proprio (nel senso che l’imputato deve manifestare una concreta e tempestiva volontà riparatoria che abbia contribuito all’adempimento) e sia integrale nei confronti di tutte le persone offese (non essendo quindi sufficiente un ristoro parziale o un ristoro, parziale o totale che sia, compiuto solo a favore di alcune tra le vittime).
Corte di Cassazione -Sez. IV pen.- sentenza n. 75 del 05-01-2023

Indice

1. La questione

La Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma di una sentenza emessa dal Tribunale di Parma, dichiarava non doversi procedere in relazione ad un reato estinto per prescrizione, riducendo al contempo la durata della sospensione della patente di guida ad anni due e mesi sei e condannando l’imputato alla condanna per una pena complessiva pari ad anni uno e mesi uno di reclusione in relazione ai reati ex art. 81 cod. pen., 189, commi 1, 6 e 7, C.d.S..
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’accusato che, tra i motivi addotti, deduceva violazione di legge e vizio di motivazione circa il diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., sostenendosi, da un lato, che la persona offesa non si era costituita parte civile ed aveva ricevuto una somma di denaro, per danni fisici ed allo scooter, ritenuto, da parte della difesa, integralmente satisfattivo e non corrisposto a titolo di mero acconto, dall’altro, che la mancata costituzione di parte civile dimostrava la piena soddisfazione della vittima in ordine al risarcimento conseguito, tenuto conto altresì del fatto che, in base ad un recente e minoritario orientamento, l’attenuante in commento non può invocarsi quanto al reato di fuga ed omissione di soccorso, trattandosi di fattispecie di mero pericolo.
Pur tuttavia, stante il consolidato principio in senso opposto, in caso di omessa adesione all’indirizzo maggioritario, il legale richiedeva alla Corte di Cassazione di rimettere la questione alle Sezioni Unite.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

Il motivo summenzionato era ritenuto non meritevole di accoglimento.
In particolare, gli Ermellini osservavano prima di tutto che, secondo la concorde giurisprudenza di legittimità, la riparazione del danno, nei reati contro il patrimonio e in quelli che producono un danno suscettibile di riparazione economica, deve essere, ai fini dell’applicabilità dell’attenuante di cui alla prima ipotesi dell’art. 62, n. 6, cod. pen., non solo integrale ma anche volontaria; l’attenuante, pertanto, non è configurabile allorché il risarcimento sia l’effetto, in tutto o in parte, non della libera determinazione volitiva dell’imputato, bensì dell’opera di terzi, come nel caso di recupero, anche parziale, del compendio delittuoso da parte della polizia giudiziaria o di terzi, senza alcuna collaborazione volontaria del colpevole (Sez. 1, n. 8704 del 16/06/1980).
Oltre a ciò, era fatto altresì presente come sia stato poi precisato, sia in tema di risarcimento dei danni da circolazione stradale che, nel caso di danni da infortunio sul lavoro, in caso di risarcimento effettuato da parte di soggetto diverso dall’imputato, non è sufficiente che tale soggetto abbia con l’imputato, ovvero con i suoi coobbligati solidali rapporti contrattuali o personali che ne giustifichino l’intervento, ma è necessario che l’imputato manifesti una concreta e tempestiva volontà riparatoria, che abbia contribuito all’adempimento (Sez. 4 n. 6144 del 28/11/2017).
Di conseguenza, ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., il risarcimento, ancorché effettuato da una società di assicurazione, deve ritenersi eseguito personalmente dall’imputato medesimo se questi ne abbia conoscenza, mostri la volontà di farlo proprio e sia integrale nei confronti di tutte le persone offese (Sez. 4, n. 22022 del 22/02/2018; Sez. 4, n. 14523 del 02/03/2011, riguardante fattispecie in cui il risarcimento era stato effettuato dal datore di lavoro dell’imputato; Sez. 4, n. 23663 del 24/01/2013, in ipotesi di risarcimento da parte del titolare di un’azienda; vedi anche Sez. 3, n. 25326 del 19/02/2019, e in motivazione).
Per di più, i giudici di piazza Cavour denotavano come, ai fini del diniego dell’attenuante della riparazione del danno, in presenza di una dichiarazione liberatoria della persona offesa, il giudice sia tenuto a motivare specificamente sulle ragioni per cui ritenga tale dichiarazione inadeguata e il risarcimento, operato dall’imputato, comunque insufficiente (Sez. 6, n. 25264 del 12/05/2015, in fattispecie, relativa al delitto di estorsione della somma di euro 300 in danno di un minore, in cui la S.C. ha annullato la decisione del giudice di merito di negare l’attenuante, ponendo in dubbio l’integralità del risarcimento, senza espletare alcun accertamento al riguardo e nonostante la dichiarazione della madre della persona offesa circa l’avvenuto risarcimento anche del danno non patrimoniale, attraverso la ricezione della somma complessiva di euro 1.500; Sez. 5, n. 26388 del 20/03/2013).
Ciò posto, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, una volta evidenziato come la Corte territoriale bolognese non avesse riconosciuto la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., avendo ritenuto ostativi: a) l’omessa dimostrazione del ristoro integrale dei danni subiti, in quanto la vittima dichiarava di aver ricevuto una somma di euro 6.000 per i soli danni allo scooter nonché di non aver ritenuto tale somma ristoratrice di tutti i danni fisici subiti, ma ciò nonostante aveva preferito abbandonare iniziative legali nei confronti del prevenuto; b) l’omessa dimostrazione da parte della vittima di voler far proprio il risarcimento del danno che la persona offesa aveva conseguito dalla compagnia assicurativa, ad avviso del Supremo Consesso, la Corte di Appello aveva fornito un’argomentazione (reputata) lineare e coerente, attribuendo correttamente rilevanza decisiva all’atteggiamento dell’imputato, per cui i rilievi difensivi dovevano essere integralmente disattesi.
 

3. Conclusioni

Fermo restando che, come è noto, l’art. 62, co. 1, primo periodo, prima parte cod. pen. annovera, tra le circostanze attenuanti comuni, quella consistente nell’“avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso”, con la decisione in esame, la Cassazione chiarisce in cosa deve consistere siffatto risarcimento.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che il risarcimento deve essere eseguito personalmente dall’imputato medesimo (non potendo esso essere il frutto di opera di terzi, come nel caso di recupero, anche parziale, del compendio delittuoso da parte della polizia giudiziaria o di terzi, senza alcuna collaborazione volontaria del colpevole) se questi ne abbia conoscenza, mostri la volontà di farlo proprio (nel senso che l’imputato deve manifestare una concreta e tempestiva volontà riparatoria che abbia contribuito all’adempimento) e sia integrale nei confronti di tutte le persone offese (non essendo quindi sufficiente un ristoro parziale o un ristoro, parziale o totale che sia, compiuto solo a favore di alcune tra le vittime).
Di conseguenza, occorre che ricorrano congiuntamente tali condizioni affinchè possa ritenersi riconoscibile codesto elemento accidentale.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, dunque, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
 
 
 

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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