Riformulazione reato di abusiva attività finanziaria

Scarica PDF Stampa Allegati

In che modo la riformulazione dell’art. 132 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, avvenuta nel 2010, ha comportato l’abrogazione tacita dell’art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262.
(Riferimenti normativi: D.lgs., 1/09/1993, n. 385, art. 132; L., 28/12/2005, n. 262, art. 39)

Corte di Cassazione -SS.UU. pen.- sentenza n.17615 del 23-02-2023

sentenza-commentata-art.-4-45.pdf 234 KB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Indice

1. Il fatto


Il Tribunale di Catanzaro, quale giudice dell’appello cautelare, rigettava una impugnazione proposta dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari avverso un’ordinanza del 10/07/2021 con la quale, a sua volta, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari aveva dichiarato la cessazione della misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria applicata in relazione ad un’imputazione provvisoria del reato di abusiva attività finanziaria ex art. 132, d.lgs. 1 0 settembre 1993, n. 385 (d’ora in poi, TUB).
In particolare, a fondamento della decisione, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari e, confermandola, il Tribunale di Catanzaro, avevano posto il rilievo che, a seguito della riformulazione dell’art. 132 TUB operata dall’art. 8, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, non trova più applicazione l’art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 e la pena massima comminata per il reato di abusiva attività finanziaria è di quattro anni di reclusione, sicché il termine massimo di durata della misura non custodiale era decorso.
Ciò posto, avverso l’ordinanza summenzionata proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari denunciando: erronea applicazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 141 del 2010, dell’art. 132 TUB, dell’art. 39 della legge n. 262 del 2005, degli artt. 12 e 15 delle preleggi, dell’art. 2 cod. pen., nonché degli artt. 303 e 308 cod. proc. pen..
Nel dettaglio, aderendo a un orientamento della giurisprudenza di legittimità e richiamando l’art. 12 delle preleggi, il Pubblico ministero ricorrente sottolineava che gli artt. 2 e 33 della legge 7 luglio 2009, n. 88, nel disciplinare i principi e i criteri direttivi della delega poi attuata con il d.lgs. n. 141 del 2010, non contengono alcun riferimento a modifiche delle sanzioni penali previste dal TUB, sicché un’interpretazione costituzionalmente orientata conduce a escludere il dimezzamento dei livelli edittali che si risolverebbe in un eccesso di delega, con conseguente illegittimità costituzionale dell’art. 8 del d.lgs. 141 del 2010.
Ad avviso del ricorrente, invero, il criterio interpretativo dell’intenzione del legislatore e quello letterale escludono che vi sia stata una modifica della sanzione penale, come ulteriormente confermato dal rilievo che l’art. 39 della legge n. 262 del 2005 non è stato inciso dalla novella, sicché, operando un rinvio mobile al contenuto delle disposizioni del TUB, la modifica intervenuta su queste ultime comporta che il rinvio si intenda riferito alla norma così come interpolata.
Oltre a ciò, osservava altresì il ricorrente che la ratio della circostanza aggravante di cui all’art. 39 della legge n. 262 del 2005 è apprestare una rigorosa tutela degli interessi protetti dalla norma incriminatrice, il che ha orientato il legislatore nel senso di operare sull’art. 39 cit. con il meccanismo del rinvio mobile, rilevandosi al contempo come non sussista alcuna incompatibilità tra la circostanza aggravante di cui all’art. 39 cit. e la nuova disciplina di cui all’art. 132 TUB, così come modificato dalla riforma del 2010, il che esclude l’abrogazione tacita dello stesso art. 39 della legge n. 262 del 2005.
L’art. 8 del d.lgs. n. 141 del 2010, invero, non ha regolato l’intera materia, determinando appunto il citato fenomeno abrogativo, mentre, a voler ipotizzare che il legislatore avesse inteso modificare la pena base dell’abusivismo finanziario, tale modificazione non si estenderebbe automaticamente all’inasprimento sanzionatorio previsto dall’aggravante di cui all’art. 39 cit..

2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione


Investita della cognizione del ricorso, la Quinta Sezione penale la rimetteva alle Sezioni Unite, ravvisando un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione se la riformulazione dell’art. 132 TUB ad opera dell’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 141 del 2010 realizzi un fenomeno di successione di leggi penali, in relazione al trattamento sanzionatorio determinato per effetto del raddoppio dell’entità delle pene previsto dall’art. 39 della legge n. 262 del 2005, ovvero se l’art. 39 cit., nel prevedere il raddoppio delle pene di cui, tra l’altro, al TUB, detti una regola destinata a rimanere insensibile ai mutamenti normativi concernenti queste ultime pene.
Invero, una volta ricostruite le vicende normative che hanno caratterizzato l’art. 132 TUB, l’ordinanza di rimessione dava atto del contrasto registratosi nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo un primo orientamento, infatti, in materia di abusivo esercizio dell’attività di intermediazione finanziaria, la disposizione di cui all’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 141 del 2010 non ha abrogato l’aumento di sanzione previsto dall’art. 39 della legge 262 del 28 dicembre 2005 (Sez. 5, n. 18544 del 27/02/2013).
Un diverso, maggioritario, indirizzo sostiene, invece, che, in materia di esercizio abusivo dell’attività di intermediazione finanziaria, la disposizione dell’art. 8, comma 2, cit., avendo integralmente sostituito il testo originario dell’art. 132 TUB, riformulandone sia la parte precettiva sia quella sanzionatoria, ha tacitamente abrogato, con riferimento a detta fattispecie, la previsione dell’art. 39 della legge n. 262 del 2005, che stabiliva il raddoppio delle pene comminate, tra l’altro, dal TUB (Sez. 5, n. 12777 del 16/11/2018; conf., ex plurimis Sez. 2, n. 43670 del 23/09/2021).


Potrebbero interessarti anche

3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite


Le Sezioni unite procedevano innanzitutto ad una delimitazione della questione posta al loro vaglio giudiziale nei seguenti termini: “Se la riformulazione dell’art. 132 del d.lgs, 1 settembre 1993 n. 385, riguardante il reato di abusiva attività finanziaria, ad opera dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010 n. 141, abbia comportato l’abrogazione tacita della previsione di cui all’art, 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, che ha stabilito il raddoppio delle pene previste, anche per detto reato, dal d.lgs. n, 385 del 1993 citato, ovvero se, invece, detto art. 39 abbia dettato una regola destinata a rimanere comunque insensibile alle modifiche sanzionatorie inerenti le fattispecie ivi ricomprese”.
Premesso ciò, dopo avere illustrato gli orientamenti nomofilattici elaborati in subiecta materia, gli Ermellini notavano come le sentenze, dalle quali era nato il contrasto in questione, non avessero argomentato le rispettive tesi attraverso il riferimento all’istituto del rinvio, riferimento operato, invece, dai Pubblico ministero ricorrente e dal Procuratore generale presso la Suprema Corte nel caso di specie, l’uno e l’altro favorevoli alla tesi secondo cui l’art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 prevede un rinvio mobile.
Orbene, ad avviso della Supremo Consesso, tale ricostruzione dei rapporti tra l’art. 39 della legge n. 262 del 2003 e l’art. 132 TUB non poteva essere condivisa, rilevandosi, tra le argomentazioni addotte nella pronuncia qui in commento per addivenire a codesta considerazione, che un “capovolgimento” di questo genere è incompatibile con la fisionomia e con la logica del rinvio, se si osserva che, in entrambi i casi, il contenuto normativo dell’art. 39 della legge n. 262 del 2005, ossia il raddoppio dell’entità delle pene di cui alle normative citate, continuerebbe a integrare la disposizione dettata dall’art. 132 TUB, con la sostanziale irrilevanza dell’individuazione della natura del rinvio e, quindi, sarebbe, questa, la conseguenza, del fatto che la previsione del “rinvio” è contenuta nella disposizione che deve “cedere” il proprio contenuto normativo alla disposizione richiamata, laddove nell’istituto del rinvio è la previsione del rinvio stesso nella disposizione appunto, “rinviante“, ad assicurare questo effetto.
Insomma, per i giudici di piazza Cavour, la disposizione, che rappresenta il punto di partenza del collegamento in cui si sostanzia il rinvio, risulta carente dell’essenziale previsione del rinvio stesso, mentre tale previsione è contenuta nella disposizione passiva, ossia in quella che disciplina i contenuti di cui la disposizione “rinviante” dovrebbe appropriarsi.
La fisionomia e la logica, nel sistema delle fonti, del rinvio, dunque, per la Cassazione, mal si attagliano alla vicenda normativa in esame sicché i rapporti tra art. 39 della legge n. 262 del 2005 e art. 132 TUB possono essere ricostruiti in termini di mera integrazione, in combinato disposto appunto, tra i contenuti normativi di due diposizioni.
Precisato ciò, ossia l’estraneità dell’istituto del rinvio alla disamina del tema in questione, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento, ed analizzato le norme chiamate immediatamente in causa dalla questione in esame, la Suprema Corte riteneva come le indicazioni offerte dalla ricognizione del rilevante intervento novellatore del TUB realizzato dal d.lgs. n. 141 del 2010 (e non circoscritto al recepimento, pur di notevole rilievo, della Direttiva 2008/48/CE) convergano nella conclusione, in linea con l’indirizzo maggioritario, che da tale intervento è conseguita l’abrogazione tacita dell’art. 39 della legge n. 262 del 2005 nella parte in cui faceva riferimento al reato di abusiva attività finanziaria di cui all’art. 132 TUBI.
Gli Ermellini, difatti, addivenivano a codesta conclusione ermeneutica, facendo prima di tutto presente che la Corte costituzionale osserva che il riconoscimento della fattispecie dell’abrogazione tacita deve essere accertato con il massimo rigore, al fine di preservare il ruolo del giudice penale rispetto alla legge e scongiurare il rischio che il medesimo giudice possa vedersi attribuito o comunque svolgere «il compito di perseguire un obiettivo di politica criminale svincolandosi dal governo della legge al quale è invece soggetto (art. 101, secondo comma, Cost.)» (sent. n. 115 del 2018).
Tal che se ne faceva discendere che il riconoscimento di un’ipotesi di abrogazione tacita deve essere il frutto di uno scrutinio saldamente ancorato alla disciplina legale e solo all’esito di una disamina strettamente correlata ai dati normativi e a tali criteri.
E’ necessario, quindi, attenersi nella ricostruzione dell’assetto normativo in cui si colloca il reato di abusiva attività finanziaria e nell’individuazione della soluzione della questione da doversi risolvere nel caso di specie.
Orbene, si notava al riguardo come un valido punto di riferimento sia offerto da Sez. U, n. 698 del 24/10/2019, lì dove ha puntualizzato che «il fenomeno abrogativo delle leggi trova la sua disciplina nell’art. 15 preleggi, nell’ambito del quale la dottrina suole distinguere le seguenti tipologie di abrogazione: a) l’abrogazione espressa: si verifica quando una norma successiva espressamente dichiara abrogata una norma precedente; b) l’abrogazione tacita che si verifica quando: bl) la norma successiva si rivela essere incompatibile con quella precedente [ …J; b2) la nuova norma disciplina ex novo una determinata materia, sicché si sostituisce alla precedente norma anche nel caso in cui questa non sia del tutto incompatibile con la nuova (cd, abrogazione per rinnovazione della materia)».
Ebbene, per le Sezioni Unite, è proprio quest’ultima ipotesi di abrogazione tacita che ricorre nel caso in esame, pur rilevandosi che, naturalmente, il giudizio sulla riconoscibilità del fenomeno abrogativo sub specie di abrogazione per rinnovazione della materia postula una valutazione logico-giuridica incentrata sul rapporto tra la precedente norma (l’art. 132 TUB ante novella del 2010) e quella nuova (la medesima disposizione modificata dal legislatore delegato del 2010).
Da ciò se ne faceva conseguire che i riferimenti, a proposito del punto in esame, all’art. 39 della legge n, 262 del 2005 (e al rilievo che l’art. 132 TUB dopo le modifiche non esauriva la materia oggetto della disciplina del raddoppio), risultano, per la Corte di legittimità, essere inconferenti, tenuto conto altresì del fatto che, d’altra parte, il raffronto deve investire innanzi tutto la disposizione novellata e, in uno con essa, il contesto normativo in cui si colloca, contesto, a sua volta, da doversi individuare soprattutto nel Titolo V del TUB (dedicato ai «soggetti operanti nel settore finanziario»), mentre nessun rilievo, ai fini della ricostruzione logico-giuridica tra le discipline in successione, riveste, ad esempio, il Titolo I del TUB dedicato alla disciplina delle autorità creditizie (Banca d’Italia, etc.).
Del resto, nel quadro dell’integrale sostituzione, ad opera dell’art. 7 del d.lgs. n. 141 del 2010, del Titolo V del TUB, all’interno del quale sono collocate tutte le norme di riferimento della norma incriminatrice dell’abusiva attività finanziaria (ossia, gli artt. 106, 107, 111 e 112 TUB), l’art. 132 TUB è stato interamente sostituito dall’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 141 cit. e prevede oggi una disciplina che, a profili riconducibili alla precedente disposizione, ne affianca di nuovi di notevole rilievo, fermo restando che l’accorpamento degli albi già previsti dagli artt. 106 e 107, e la conseguente unificazione dei regimi relativi a tutti gli esercenti l’attività di concessione di finanziamenti verso il pubblico, si è riflessa nella stessa formulazione dell’art. 132, il cui ambito applicativo (già ridimensionato dal citato art. 35 del d.lgs. n. 11 del 2010) ha anche conosciuto significative contrazioni, oltre all’abrogazione della fattispecie contravvenzionale di cui al secondo comma della disposizione anteriore alla novella del 2010.
Decisivo, poi, sempre ad avviso delle Sezioni unite, è il rilievo delle modifiche afferenti ai confidi e al “microcredito“, modifiche che vedono regimi di vigilanza meno rigorosi affidati (non già alla Banca d’Italia, bensì) a soggetti privati e la fattispecie incriminatrice correlarsi anche ad attività di «scarsa rilevanza sistemica»: nell’una e nell’altra direzione, il “verso” delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 141 del 2010 segnala un significativo ridimensionamento del complessivo disvalore dell’abusivismo finanziario, almeno in alcune delle fattispecie ricomprese nella norma incriminatrice, trattandosi di fattispecie, queste ultime, rispetto alle quali il raddoppio della comminatoria edittale sancito dall’art. 39 della legge n, 262 del 2005 vedrebbe senz’altro acuite le segnalate possibili tensioni sul piano della ragionevolezza della risposta sanzionatoria e sulla “tenuta” del principio di proporzionalità.
La riformulazione della disposizione di cui all’art. 132 TUB operata dall’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 141 del 2010, unita alla riscrittura del titolo dedicato ai «soggetti operanti nel settore finanziario», rappresenta, per gli Ermellini, dunque, pur in presenza di plurimi e significativi profili di continuità normativa nel nucleo, per così dire, “storico” della fattispecie incriminatrice (cfr. Sez. 5, n. 12777 del 2018), una nuova regolamentazione della disciplina del reato di abusiva attività finanziaria, con conseguente parziale abrogazione per rinnovazione della materia dell’art. 39 della legge n. 262 del 2005 nella parte in cui il raddoppio delle comminatorie edittali era riferibile anche al reato di cui all’art. 132 TUB.
La soluzione della tacita abrogazione parziale dell’art. 39 cit., pertanto, per la Corte, è del tutto in linea con i canoni dell’interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto all’allargamento dell’area applicativa del reato di abusiva attività finanziaria a fatti di scarsa rilevanza sistemica fa corrispondere il venir meno del meccanismo del raddoppio delle comminatorie introdotto dalla legge del 2005.
Il sensibile, rilevante ridimensionamento del disvalore del fatto di cui alla fattispecie ex art. 132 TUB discende, pertanto, da una nuova disciplina della materia, che fermi i profili di continuità normativa, ha determinato la tacita abrogazione della norma che, sancendo il raddoppio della comminatoria edittale del (parzialmente nuovo) reato, non può, sul piano logico giuridico, rientrare nella nuova regolamentazione della materia.
Di conseguenza, per i giudici di piazza Cavour, la novella del 2010 ha sancito l’abrogazione tacita di quel “frammento” dell’art. 39 della legge n. 262 del 2005 relativo all’art. 132 TUB.
La Suprema Corte, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, formulava il seguente principio di diritto: “La riformulazione dell’art. 132 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, riguardante il reato di abusiva attività finanziaria, ad opera dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010, n, 141 ha comportato l’abrogazione tacita dell’art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, nella parte in cui stabiliva il raddoppio delle pene comminate per il reato di cui all’art. 132 cit.”.

4. Conclusioni


Le Sezioni Unite, con la decisione qui in commento, hanno risolto il seguente contrasto giurisprudenziale: “Se la riformulazione dell’art. 132 del d.lgs., 1 settembre 1993 n. 385, riguardante il reato di abusiva attività finanziaria, ad opera dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010 n. 141, abbia comportato l’abrogazione tacita della previsione di cui all’art, 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, che ha stabilito il raddoppio delle pene previste, anche per detto reato, dal d.lgs. n, 385 del 1993 citato, ovvero se, invece, detto art. 39 abbia dettato una regola destinata a rimanere comunque insensibile alle modifiche sanzionatorie inerenti le fattispecie ivi ricomprese”.
Difatti, considerato che l’art. 132 del d.lgs. n. 385/1993, per effetto della riforma del 2010, prevede adesso che chiunque, “svolge, nei confronti del pubblico una o più attività finanziarie previste dall’articolo 106, comma 1, in assenza dell’autorizzazione di cui all’articolo 107 o dell’iscrizione di cui all’articolo 111 ovvero dell’articolo 112, e’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 2.065 ad euro 10.329”, e considerato che l’art. 39, co. 2, legge n. 262/2005 statuisce che le “pene previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, (…) sono raddoppiate entro i limiti posti per ciascun tipo di pena dal libro I, titolo II, capo II, del codice penale”, con la pronuncia in commento, le Sezioni unite sono addivenute a postulare quanto segue: “La riformulazione dell’art. 132 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, riguardante il reato di abusiva attività finanziaria, ad opera dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010, n, 141 ha comportato l’abrogazione tacita dell’art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, nella parte in cui stabiliva il raddoppio delle pene comminate per il reato di cui all’art. 132 cit.”.
Dunque, fermo restando che la conclusione, a cui sono giunte le Sezioni unite è, a parere di chi scrive, condivisibile in quanto si è pervenuti ad essa attraverso un articolato e ben ponderato ragionamento giuridico, per effetto di questo arresto giurisprudenziale, non è più previsto siffatto raddoppio di pena, ove si proceda per il reato di abusiva attività finanziaria.
Ebbene, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, oltre per la ragione appena menzionata, è senz’altro positivo poiché con essa è stata fatta chiarezza su questa tematica giuridica sotto il profilo (perlomeno) giurisprudenziale.

Iscriviti alla newsletter

Si è verificato un errore durante la tua richiesta.

Scegli quale newsletter vuoi ricevere

Autorizzo l’invio di comunicazioni a scopo commerciale e di marketing nei limiti indicati nell’informativa.

Cliccando su “Iscriviti” dichiari di aver letto e accettato la privacy policy.

Iscriviti

Iscrizione completata

Grazie per esserti iscritto alla newsletter.

Seguici sui social


Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento