– trasformare il giudice speciale tributario in un giudice a tempo pieno, professionalmente competente, con un trattamento economico congruo e dignitoso, non più dipendente dal MEF e pienamente presidiato dai principi di imparzialità, terzietà e indipendenza, come contemplati dall’art. 111, 2° comma, della Costituzione;
– completare la revisione delle regole di diritto procedurale e sostanziale mediante un provvedimento legislativo volto anche a una generale definizione delle liti fiscali pendenti (con la finalità di tracciare una linea di ripartenza delle relazioni fisco/contribuente).
Restano, infatti, a tutt’oggi irrisolti i nodi essenziali di un lungo e acceso dibattito che ha visto confrontarsi gli operatori del diritto, le istituzioni finanziarie e le categorie interessate (contribuenti, famiglie, imprese, cittadini) circa l’opportunità di una riforma ordinamentale della organizzazione della giurisdizione tributaria.
Invero, le Commissioni identificano, “…sotto il profilo soggettivo, giudici speciali e, sotto quello ordinamentale, organi di giurisdizione speciale amministrativa. Entrambi i suddetti profili sono contraddistinti da gravi criticità che incidono negativamente sull’attuale sistema di giustizia tributaria…”. La figura del giudice tributario è, infatti, “ancora ben lontana dall’integrare quel modello di giudice indipendente, terzo e imparziale, disegnato in Costituzione (artt.106, 108 e 111), che costituisce un prerequisito imprescindibile per la realizzazione del giusto processo, concepito quale forma di attuazione esclusiva della funzione giurisdizionale in qualunque settore dell’ordinamento.”
Invero, l’art. 111, comma 2, della Costituzione testualmente dispone: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.
Ebbene, oggi non può dirsi che tale postulato costituzionale sia rispettato nel processo tributario, dove, per legge (art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992), i componenti delle Commissioni tributarie sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze (cioè una delle parti in causa del processo tributario), previa deliberazione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, secondo l’ordine di collocazione negli elenchi previsti nel comma 2 del succitato articolo.
È indubbio, pertanto, il legame che esiste tra le Commissioni Tributarie ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, a sua volta strettamente collegato con il principale e abituale protagonista delle liti tributarie, cioè l’Agenzia delle Entrate.
Inoltre, è necessario rilevare che nonostante l’intervenuta parziale Riforma del Processo Tributario attuata con il D.Lgs. n.156/2015, in alcun modo è stato mutato lo scenario relativo all’organizzazione strutturale delle Commissioni tributarie e dei compensi dei giudici di sezione. Invero, sono state deluse le aspettative di chi confidava nella riforma e nei possibili cambiamenti in tema di professionalità e terzietà del giudice, soprattutto alla luce della sent. della Suprema Corte di Cassazione a SS. UU. n.8053/2014.
Con la suddetta pronuncia, gli Ermellini sono intervenuti argomentando incidentalmente attorno al tema della necessaria “professionalizzazione” dei giudici tributari e affermando più specificamente che <<resta nel limbo del “non giuridico” ogni discorso sulla (mancanza di adeguata) “professionalità” del giudice tributario, che non reclama come ineludibile corollario logico una specialità del controllo di legittimità, ma semmai pone l’accento sulla irrinunciabile professionalizzazione del giudice quale elemento determinante della tutela giurisdizionale dei diritti>>.
Come acutamente è stato affermato dal Prof. G. Tabet, in questo caso, “il principale vulnus è rappresentato dall’attuale sistema di reclutamento dei componenti delle Commissioni tributarie, ove gli stessi giudici c.d. togati sono giudici part time, in quanto professionalmente impegnati nelle funzioni proprie delle magistrature di appartenenza; nell’esercizio delle quali non è richiesta una particolare cultura in materia tributaria. Di contro, i giudici c.d. laici provengono in misura prevalente da categorie professionali che continuano a svolgere attività troppo spesso “contigue” a quelle esercitate da coloro che assistono i contribuenti nelle controversie fiscali. Ciò determina, a tacere d’altro, una disomogeneità della forma mentis e dello status dei componenti dei collegi giudicanti che si riflette inevitabilmente anche nel modo di giudicare e di redigere le sentenze.
La drammatica verità, infatti, è che la giustizia fiscale soffre terribili “guasti di sistema” che a buon diritto ci fa precipitare all’ultimo posto nell’elenco dei Paesi più garantisti al mondo per efficienza della giustizia tributaria
È arrivato il momento indifferibile di modificare totalmente le attuali Commissioni Tributarie e i “connotati” dei giudici tributari.
Invero, sono state molte le iniziative legislative presentate negli anni, poche quelle suscettibili di un qualsivoglia esito, molte in sostanza irrealizzabili.
A mero titolo esemplificativo, si rileva che, dal 2013 al 2016, sono stati presentati in Parlamento un numero significativo di disegni di legge di riforma della giustizia tributaria, di cui alcuni stralci hanno fatto ingresso in rilevanti strumenti legislativi approvati dalle Camere ed oggi divenuti leggi della Repubblica, di seguito se ne indicano solo alcuni:
• Disegno di legge n. 319, presentato al Senato il 26 marzo 2013, predisposto dal CNEL;
• Disegno di legge n. 988, presentato al Senato il 1° agosto 2013, ad iniziativa del Sen. Giorgio Pagliari ed altri;
• Proposta di legge n. 1936, presentata alla Camera il 9 gennaio 2014, ad iniziativa dell’On. Sandra Savino;
• Disegno di legge n. 1593 presentato al Senato il 6 agosto 2014, ad iniziativa della Sen. Gambaro, che ha ripreso integralmente il mio progetto di legge e che è stato in larga parte ripreso dal D.Lgs. n. 156 del 24 settembre 2015, entrato in vigore il 1° gennaio 2016 (parziale riforma del processo tributario);
• Proposta di legge n. 3734, presentata alla Camera l’8 aprile 2016, a firma degli On.li Ermini, Ferranti e Verini
• Disegno di legge n. 2438, trasmesso alla Presidenza del Senato il 9 giugno 2016 ad iniziativa del Sen. Naccarato, intitolato “Attribuzione alla Corte dei Conti in materia di contenzioso tributario”.
Ebbene, alla luce di tanto, occorre ribadire che le Commissioni tributarie decidono su questioni di grande rilevanza economica, che richiedono elevata professionalità e specializzazione nella materia tributaria; per tale ragione, si avverte la necessità di un giudice dedicato a tempo pieno, che possa tutelare i diritti dei cittadini-contribuenti e garantire un corretto utilizzo della leva fiscale che risponda ai criteri di una moderna economia.
Su un piano generale, il fervore legislativo testimoniato dalle diverse proposte, le revisioni e riforme in parte attuate, in parte tralasciate, l’attuale stagione economica e sociale – caratterizzata dai primi segni di uscita da una decennale crisi economica e finanziaria, tuttavia ancora da superare – e le trasformazioni non solo del panorama politico, ma anche e soprattutto dell’economia, del mercato del lavoro e dell’impresa e delle famiglie impongono di guardare con attenzione e lungimiranza alla questione fiscale.
I contribuenti, gli operatori del settore pubblico e privato, i professionisti e gli stessi giudici tributari attendono una profonda riflessione ed un preciso impegno politico di un avveduto legislatore alla realizzazione di un disegno organico e sistematico di revisione degli assetti organizzativi della giurisdizione tributaria e di completamento della revisione delle regole sostanziali e processuali, ormai non più oltre rinviabili.
Ad un livello più specifico, una questione di particolare delicatezza tecnico-giuridica è quella dell’indipendenza, terzietà e imparzialità del giudice tributario. È necessario, infatti, uscire dall’ambiguità di fondo di una magistratura costituita da soggetti già impegnati in una diversa attività professionale, così da mantenere una sorta di giudice dopolavorista a cottimo la cui figura risulta irrimediabilmente pregiudicata da un sistema che non può ancora funzionare a lungo. È necessario, pertanto, un sistema di reclutamento che ponga l’accento sulla preparazione professionale dei giudici tributari, sulla loro vocazione effettiva di tale funzione, nonché sul superamento del carattere puramente onorario di tale settore della Giustizia, cui non può essere estraneo un conseguente e dignitoso riconoscimento economico , che può senz’altro contribuire a rafforzare il sentimento di identificazione del componente della Commissione tributaria con la Giurisdizione, il senso di appartenenza al sistema – Giustizia, e renderlo più insensibile ad indebite pressioni esterne.
In definitiva, si deve rafforzare la tutela giurisdizionale del contribuente, garantendo la terzietà dell’organo giudicante, come negli ultimi venti anni ho sollecitato con 240 interventi (105 convegni; 66 corsi; 46 seminari di studio; 23 videoconferenze e 35 libri), oltre a centinaia di articoli sull’argomento.
Ormai tutti esigono una necessaria riflessione ed un preciso impegno politico sulla assoluta esigenza di una riforma strutturale della giustizia tributaria non più rinviabile, anche se grava lo scetticismo delle negative esperienze trascorse.
Le Commissioni tributarie
L’istituzione delle commissioni tributarie si fa risalire agli albori dello Stato unitario con la legge 14 luglio 1864, n. 1836 sull’imposta di ricchezza mobile. Esse, non nacquero come organi giurisdizionali, bensì come organi amministrativi appartenenti all’amministrazione finanziaria. Già all’inizio del 1900 il Santi Romano le annoverava tra le “giurisdizioni amministrative speciali”.
Inizialmente la loro competenza era limitata alle imposte dirette, mentre per le imposte indirette era possibile il ricorso amministrativo (facoltativo) o l’azione dinanzi al giudice ordinario. Soltanto decenni successivi a loro competenza fu estesa anche a quelle indirette.
Solo nel 1948, con l’entrata in vigore della nostra Costituzione, e con l’esigenza di assicurare la tutela giurisdizionale anche nell’area delle controversie estimative, le Commissioni tributarie cominciarono progressivamente ad assumere i caratteri degli organi giurisdizionali, mentre i procedimenti ad essi affidati, ad assumere i caratteri di veri e propri processi.
Ciò posto, venendo ad oggi, l’attuale situazione giuridica ed economica delle Commissioni tributarie è la seguente:
1) i giudici tributari sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro delle finanze (art. 9, comma primo, D. Lgs. N. 545/1992); “In ogni altro caso alla nomina dei componenti di commissione tributaria si provvede con decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze” (art. 9, comma primo, secondo periodo, citato, aggiunto dall’art. 11, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 156 del 24/09/2015);
2) attualmente, i giudici tributari sono 3.019, di cui 94 anche in Cassazione, (meno 3,73% rispetto al 2016); i giudici togati sono 1.633 mentre i laici sono 1.386 (Il Sole 24 Ore di lunedì 26 febbraio 2018 e Italia Oggi di lunedì 26 febbraio 2018 e di lunedì 06 agosto 2018); un evidente sottodimensionamento rispetto alle 4.668 unità previste dal d.m. 11 aprile 2018;
3) l’organizzazione della macchina amministrativa è affidata al MEF che, per l’anno 2018, ha preventivato un costo complessivo di 211 milioni di euro, con un aumento che sfiora il 2,5% rispetto al preventivo 2017 quando le stesse voci pesavano per 206 milioni di euro. Oltretutto, non bisogna dimenticare che alcune Commissioni tributarie operano negli stessi locali dell’Agenzia delle entrate (come, per esempio, la CTP di Brindisi che svolge le udienze presso l’Agenzia delle entrate di Ostuni); a tal proposito, non può non rilevarsi il potere del MEF: << di istituire nuove Commissioni, di adeguare il numero delle sezioni interne a ciascuna Commissione, di proporre al Presidente della Repubblica la nomina dei componenti delle commissioni, di disporre il relativo trattamento economico, di applicare le sanzioni disciplinari deliberate dal Consiglio di Presidenza (che è, come è facilmente intuibile, costituisce una sorta di Consiglio Superiore della Magistratura del processo tributario), laddove questo organo è stato poi costituito dallo stesso ministero e ivi ha sede. Al fatto della retribuzione dei giudici da parte del Ministero dell’Economia si aggiunge poi la circostanza che gli stessi Collegi sono assistiti da personale amministrativo inquadrato in tale Ministero>>;
4) i giudici tributari non sono a tempo pieno perché possono svolgere una seconda o terza attività (artt. 4 e 5 D.Lgs. n. 545/1992 citato); infatti, i giudici tributari sono nominati per titoli e non per concorso pubblico;
5) le cause tributarie possono essere lunghe anche 9 (nove) anni; infatti, durano poco meno di due anni e cinque mesi in primo grado, altri due anni e un mese in appello, e poi oltre 4 (quattro) anni davanti alla Corte di Cassazione, diventata suo malgrado sempre più un collo di bottiglia alla luce di un flusso di ricorsi senza eguali tra le supreme corti mondiali, con 11.000 (undicimila) gravami fiscali in arrivo ogni anno (articolo di Valerio Stroppa, in Italia Oggi di giovedì 25 agosto 2016, pag. 31); nello stesso succitato articolo, si precisa che a Messina, Catania, Biella e Cosenza le cause tributarie possono durare anche 19;
6) molte cause tributarie durano anni anche perché si creano problemi di giurisdizione, soprattutto per quanto riguarda la fase della riscossione. Per esempio, in materia di atti esecutivi, la Corte di Cassazione è intervenuta con due sentenze: la n. 13913 del 05 giugno 2017 e la n. 13916 del 05 giugno 2017.
Giova precisare che per la Corte di Cassazione (sentenza n. 722/1999 ed altre nel corso degli anni) spetta sempre al giudice ordinario, e non al giudice tributario, la competenza in tema di risarcimento del danno anche in tema di responsabilità processuale aggravata, a nulla rilevando che il giudice della causa principale è meglio in grado di valutare il comportamento processuale della parte soccombente.
7) i giudici tributari, pagati in ritardo dal MEF, non percepiscono nulla per le sospensive, euro 15 nette a sentenza depositata ed 1 euro a sentenza per rimborso spese (art. 13 D.Lgs. n. 545/92 e Decreto Ministeriale 05 febbraio 2016, in attuazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 6086/2014) e tanto indipendentemente dal valore della causa, prima a regime ordinario di tassazione (art. 39, quinto comma, D.L. n. 98/2011, dichiarato incostituzionale in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con sentenza della Corte Costituzionale n. 142/2014), oggi, finalmente, soggetti a tassazione separata, anche se il MEF è contrario ai rimborsi per gli importi passati (per le cause in corso, rinvio alla favorevole sentenza della CTP di Lecce n. 1732/2016, depositata il 13/07/2016 e, invece, Risoluzione Ministeriale n. 151/E/2017 del 13/12/2017, di contrario avviso).
8) intuitivamente deleteria sotto il profilo della rappresentazione all’esterno la disposizione per cui “Il Ministro dell’economia e delle finanze presenta entro il 30 ottobre di ciascun anno una relazione al Parlamento sullo stato della giustizia tributaria nell’anno precedente anche sulla base degli elementi predisposti dal Consiglio di presidenza, con particolare riguardo alla durata dei processi e dell’efficacia degli istituti deflattivi del contenzioso” (art. 29, secondo comma, del D. Lgs. n. 545/1992, come modificato dal D. Lgs. n. 156/2015);
9) secondo le ultime statistiche rese disponibili dal MEF, nel solo terzo trimestre 2017 il fisco ha vinto completamente nel 45,8% dei casi, vedendosi riconosciuta una pretesa di quasi 1,6 miliardi di euro, a fronte del 31% dei giudizi pienamente favorevoli ai contribuenti, per un controvalore di 877 milioni di euro. Per tutto l’anno 2017 il fisco ha vinto più del contribuente in tutti i gradi di giudizio.
Infatti, nell’anno 2017, gli uffici hanno avuto ragione su tutta la linea nel 45,18% dei casi in CTP e nel 45,30% in CTR.
Il contribuente, invece, ha ottenuto pronunce totalmente favorevoli rispettivamente nel 31,42% e 38,83% dei casi.
La quota residua è costituita da giudizi intermedi, conciliazioni o altri esiti, quali per esempio la rottamazione delle liti pendenti (Italia Oggi di sabato 16 giugno 2018 e di lunedì 06 agosto 2018).
In Cassazione le vittorie del fisco rappresentano oltre il 65% dei procedimenti <<ed è un po’ strano che illustri professionisti o dottrinari, quasi sempre molto preparati, che patrocinano di fronte alla Suprema Corte, possano malamente soccombere due volte su tre. Forse è anche perché l’Ufficio ed il contribuente non stanno sullo stesso piano, non combattono ad armi pari>>.
Infine, a titolo puramente indicativo, il numero dei difensori che hanno utilizzato il processo tributario telematico è pari a quota 3.572, all’interno del quale la parte del leone è svolta dagli avvocati che rappresentano oltre il 61% del totale (Italia Oggi di lunedì 06 agosto 2018);
10) il valore delle cause pendenti in primo e secondo grado si aggira intorno ai 50 miliardi di euro; cifra che raddoppia sommando le cause pendenti in Cassazione; il 68% delle cause tributarie non supera i 20.000 euro;
11) cala il contenzioso tributario, ma aumentano i maxi ricorsi soprattutto sull’iva. Le cause fiscali di valore superiore a un milione di euro, sebbene siano meno del 2%, assorbono i tre quarti della posta in gioco. Il numero complessivo dei nuovi contenziosi è risultato pari a 211.515 mila fascicoli, con una flessione dell’8,8% rispetto al 2016, come emerge dal rapporto trimestrale 2018 sullo stato del contenzioso fiscale diffuso dal MEF il 20 marzo 2018;
12) cause che durano, in genere, pochi minuti e di regola senza istruttoria, perché poche volte viene nominato un consulente tecnico d’ufficio. Nel processo tributario tedesco, per esempio, il tribunale tributario è titolare di ampi poteri istruttori sia nella ricerca dei fatti rilevanti, anche oltre le allegazioni delle parti, sia nell’assunzione delle prove, pur essendo garantito il contraddittorio tra le parti, con una connotazione marcatamente inquisitoria del metodo istruttorio (articolo sopracitato), contrariamente a quanto avviene nell’attuale processo tributario italiano.
In definitiva, nell’attuale processo tributario, spesso i contribuenti sono costretti a chiedere in massa una tutela che, purtroppo, nella maggior parte dei casi non trovano in un processo non conforme ancora “al giusto processo”, anche perché manca una parità processuale tra le parti.
Oggi come oggi, la legislazione rappresenta uno stimolo alla sommarietà del processo, un incitamento a risolvere tutto in una sola udienza pubblica, come se questo comportamento dovesse essere la regola.
Prevedere una sola udienza pubblica è insufficiente rispetto alle complessità strutturali di molte controversie.
<<Ciò mortifica la dialettica processuale e fa aumentare i rischi di sentenze frettolose, basate su come il giudice è stato impressionato da alcuni aspetti limitati della controversia, che saranno conosciuti dalle parti solo a motivazione depositata, senza che il contraddittorio gli si sia adeguatamente appuntato. Ne nascono sentenze “a sorpresa”, in cui si vince quando si pensava di perdere e viceversa; talvolta resta l’interrogativo del perché la causa è stata decisa in un modo anziché in un altro, ed è forte la sensazione che le argomentazioni dell’ufficio e del contribuente non siano state considerate in modo completo ed esauriente>> ;
13) inoltre, per quanto riguarda la condanna alle spese, nel primo trimestre 2018 in primo grado i contribuenti hanno visto accogliere il proprio ricorso totalmente nel 31,3% dei casi, ma il fisco è stato condannato al rimborso delle spese in meno della metà di tali giudizi (15,91%), mentre, gli enti impositori hanno avuto giudizi complessivamente favorevoli nel 46,4% dei casi e la condanna del contribuente al pagamento delle spese c’è stata nel 25,7% delle controversie. Presso le Commissioni Regionali, a fronte del 37,1% di cause concluse con esito completamente favorevole al contribuente la condanna alle spese del fisco è arrivata solo nel 16,5% dei casi; in parallelo, a fronte del 46,1% di cause, con esito completamente favorevole agli uffici, le spese di giudizio sono poste a carico del contribuente nel 26,1% dei casi (Il Sole 24 Ore di lunedì 02 luglio 2018, pag. 15); in sostanza, poche condanne alle spese quando il fisco perde il processo , nonostante la chiara formulazione dell’art. 15, secondo comma, D. Lgs. n. 546/92 citato (Corte Costituzionale n. 274 del 12 luglio 2005; Cassazione – Sezione Tributaria – ordinanze n. 7258/2017, n. 373/2015 e n. 10917/2016).
Infine, con le modifiche introdotte dal 1° gennaio 2016, la Commissione tributaria, anche d’appello, può condannare alle spese sulle istanze cautelari. Anche in questo caso, però, molti giudici tributari le liquidano soltanto in caso di rigetto della richiesta del contribuente, mentre in ipotesi di accoglimento si riservano di farlo successivamente nella fase di merito;
14) per quanto riguarda la Corte di Cassazione, si fa presente che di solito arrivano 11.000 (undicimila) gravami fiscali ogni anno, mentre le supreme corti di Francia e Germania ricevono ogni anno rispettivamente 28.000 (ventottomila) e 10.000(diecimila) ricorsi tra civile e penale, contro gli 83.000 (ottantatremila) italiani, mentre nel Regno Unito la corte suprema affronta meno di 10 cause tributarie all’anno, contro le oltre 11.000 (undicimila) della Corte di Cassazione (articolo di Valerio Stroppa, in Italia Oggi di giovedì 25 agosto 2016). In questa grave situazione della giustizia tributaria si è recentemente appreso dell’istituzione presso la Corte di Cassazione di una struttura ausiliaria, costituita da appartenenti alla Guardia di Finanza, incaricata di organizzare i fascicoli processuali provenienti dai gradi tributari di merito e di avviarli alla decisione dei giudici. Giustamente la Camera degli Avvocati Tributaristi del Veneto ha denunciato l’evidente inopportunità di tale scelta organizzativa perché si affida in tal modo ad un organismo ausiliario delle parti pubbliche nel giudizio tributario la gestione, catalogazione e calendarizzazione dei fascicoli processuali, con gravi ricadute su prestigio e terzietà del Giudice di legittimità.
15) per quanto riguarda la Corte Costituzionale, si fa presente che in dieci anni gli atti di promovimento sono crollati dai 950 del 2007 ai 308 del 2017. Con una, a sua volta, pesante riduzione del numero delle ordinanze di rimessione, passate dalle 857 del 2007 alle 190 del 2017; a diminuire sono di conseguenza anche le decisioni, che sono state 281, un dato inferiore a quello del 2016 (meno 3,7%, in Il Sole 24 Ore di lunedì 27 agosto 2018). A titolo puramente informativo, si segnala l’ultima sentenza della Corte Costituzionale n. 114 del 31 maggio 2018, che, in materia tributaria, ha dichiarato incostituzionale l’art. 57, comma 1, lettera a) del D.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria, siano ammesse le opposizioni all’esecuzione regolate dall’art. 615 c.p.c.;
16) per quanto riguarda la normativa dell’Unione Europea, si segnala l’interessante ed importante sentenza n. 269 del 14 dicembre 2017 della Corte Costituzionale che ha stabilito il seguente principio di diritto:
<<Qualora vi sia conflitto tra legge interna e norma dell’Unione Europea, il giudice applica la disposizione dell’Unione Europea dotata di effetti diretti; viceversa, quando la disposizione dell’Unione Europea non è dotata di effetti diretti, occorre sollevare questione di legittimità costituzionale, riservata alla esclusiva competenza della Corte Costituzionale, senza delibare preventivamente i profili di incompatibilità con il diritto europeo>>.
17) la Corte di Giustizia UE, Sezione III, con la sentenza del 09 novembre 2017, causa C-298/16, ha stabilito quanto segue:
<<Il principio generale di diritto dell’Unione del rispetto dei diritti della difesa deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito di procedimenti amministrativi relativi alla verifica e alla determinazione della base imponibile iva, un soggetto privato deve avere la possibilità di ricevere, a sua richiesta, le informazioni e i documenti contenuti nel fascicolo amministrativo e presi in considerazione dall’Autorità pubblica per l’adozione della sua decisione, a meno che obiettivi di interesse generale giustifichino la restrizione dell’accesso a dette informazioni e a detti documenti>>;
18) infine, la giurisprudenza ha mostrato resistenza ad ammettere che la c.d. “Legge Pinto” (n. 89/2001) per l’equa riparazione si applichi al processo tributario, salvo per i giudizi in materia di rimborso (Cassazione n. 16212 del 24 settembre 2012).
Una implicita apertura nei confronti dell’applicabilità della suddetta legge nel rito tributario proviene dal legislatore che, con il decreto legge n. 40/2010 (art. 3, comma 2-bis), ha stabilito che, ove il contribuente avesse inteso beneficiare della definizione delle liti ultradecennali pendenti in Cassazione, avrebbe dovuto rinunciare ad ogni richiesta di risarcimento ai sensi, appunto, della succitata Legge Pinto, cosa che sembra implicare l’applicazione della medesima legge alla materia tributaria.
Con la riforma della giustizia tributaria sarà sicuramente prevista l’applicazione della Legge Pinto senza alcuna limitazione
I principi affermati dalla corte costituzionale e dalla corte di cassazione a Sezioni Unite
Negli anni, sul tema, sono intervenute sia la Corte Costituzionale, che la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sollecitando proprio il legislatore ordinario a riformare strutturalmente la giustizia tributaria con legge ordinaria e non con legge costituzionale.
In tal senso si indicano solo alcune delle tante pronunce che ci sono state sul tema.
I. Corte Costituzionale
• Sentenza n. 154 del 05 giugno 1984:
“Con tutto questo, rimangono le molte deficienze del contenzioso tributario, ampiamente segnalate in dottrina e dagli operatori del settore, per le quali il Parlamento è ora chiamato a porre rimedio “.
• Sentenza n. 212 del 09 luglio 1986:
“Ma ormai, risultando definitivamente consolidati l’opinione dottrinale e l’orientamento della giurisprudenza sulla natura giurisdizionale delle predette commissioni, non potrebbe ritenersi consentita un’ulteriore protrazione della disciplina attuale: per contro, è assolutamente indispensabile, al fine di evitare gravi conseguenze, che il legislatore intervenga onde adeguare il processo tributario all’art. 101 della Costituzione, correttamente interpretato”.
Non bisogna, infatti, dimenticare che per un certo periodo storico la Corte Costituzionale negò il carattere giurisdizionale delle Commissioni tributarie (Corte Costituzionale sentenza n. 10/1969), in contrasto con il precedente orientamento ribadito, invece, dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenze n. 2175/1969; n. 2201/1969; n. 1181/1970) ma, al tempo stesso, ne assicurò la sopravvivenza.
Infatti, la Corte Costituzionale, con due sentenze (n. 287/1974 e n. 215/1976), chiarendo il significato di “giudice speciale”, fugò ogni sospetto e, sostanzialmente, sopì il dibattito che poté dirsi definitivamente concluso con l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 351/1995 (in G.U. n. 33/I Serie Speciale del 09 agosto 1995), la quale ebbe espressamente a statuire che: <<il problema della natura giuridica delle commissioni tributarie è stato definitivamente risolto da questa Corte nel senso del carattere giurisdizionale delle stesse>>. In sostanza, ci sono voluti 131 anni (dal 1864 al 1995) per qualificare in modo definitivo le commissioni tributarie quali organi giurisdizionali e non amministrativi.
• Ordinanza n. 144 del 20-23 aprile 1998, sollecitata dalla CTP di Lecce con ordinanza del 24 febbraio 1997, su mia specifica eccezione:
“L’obbligo di procedere alla revisione delle anzidette giurisdizioni speciali preesistenti ha consentito l’intervento del legislatore con leggi posteriori a Costituzione attraverso mutamenti graduali (v., per tutte, le disposizioni integrative e correttive emanate in base all’art. 17, secondo comma, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, i cui termini sono stati ripetutamente prorogati) e con parziali adeguamenti, anche per colmare “le molte deficienze del contenzioso tributario” sottolineate dalla Corte con invito a “riordino legislativo dell’intera materia” (sentenze n. 154 del 1984 e n. 212 del 1986).
Che allo stesso modo l’intervenuta revisione non vincola il legislatore ordinario a mantenere immutati nell’ordinamento e nel funzionamento le commissioni tributarie come già revisionate”; “per le preesistenti giurisdizioni speciali, una volta che siano state assoggettate a revisione, non si crea una sorta di immodificabilità nella configurazione e nel funzionamento, né si consumano le potestà del legislatore ordinario; che questi conserva il normale potere di sopprimere ovvero di trasformare, di riordinare i giudici speciali, conservati ai sensi della VI disposizione transitoria, o di ristrutturarli nuovamente anche nel funzionamento e nella procedura, con il duplice limite di non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisprudenza speciale) le materie attribuite alla loro rispettiva competenza e di assicurare la conformità a Costituzione, fermo permanendo il principio che il divieto di giudici speciali non riguarda quelli preesistenti a Costituzione e mantenuti a seguito della loro revisione” (sull’obbligo di non snaturare la competenza tributaria dei giudici speciali, si rinvia anche alla sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 24/07/2009).
Il legislatore tributario non definisce il concetto di tributo la cui nozione è stata, invece, elaborata dalla dottrina che, nell’ottica solidaristica dell’art. 53 della Costituzione, ne ha individuato il collegamento con l’attività di prelievo per il concorso alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva (si rinvia all’articolo del dott. Santa Micali, in Bollettino tributario d’informazioni n. 13/2015, pagg. 974-976).
• Sentenza n. 44 del 10 febbraio 2016:
<<La giurisprudenza costituzionale riconosce un’ampia discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti processuali (tra le ultime, sentenze n. 23 del 2015, n. 243 e n. 157 del 2014), anche in materia di competenza (ex plurimis, sentenze n. 159 del 2014 e n. 50 del 2010).
Resta naturalmente fermo il limite della manifesta irragionevolezza della disciplina, che si ravvisa, con riferimento specifico al parametro evocato, ogniqualvolta emerga un’ingiustificabile compressione del diritto di agire (sentenza n. 335 del 2004).
In generale, questa Corte ha chiarito, con riferimento all’art. 24 Cost., che «tale precetto costituzionale “non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti […] purché non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale” (sentenza n. 63 del 1977; analogamente, cfr. sentenza n. 427 del 1999 e ordinanza n. 99 del 2000)» (ordinanza n. 386 del 2004).
Alla luce di questi principi, deve ritenersi che nella disciplina in esame il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, abbia individuato un criterio attributivo della competenza che concretizza «quella condizione di “sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione” suscettibile “di integrare la violazione del citato parametro costituzionale” (così, nuovamente, la sentenza n. 237 del 2007)» (ordinanza n. 417 del 2007)>>.
Appunto per questo, è importante che le controversie tributarie siano devolute ad un giudice a tempo pieno, professionale, indipendente e imparziale.
• Ordinanza n. 227 del 21/09/2016:
“Interventi di questo tipo – manipolativi di sistema – sono in linea di principio estranei alla giustizia costituzionale, poiché eccedono i poteri di intervento della Corte, implicando scelte affidate alla discrezionalità del legislatore (ex plurimis, sentenze n. 248 del 2014 e n. 252 del 2012; ordinanze n. 269 del 2015, n. 156 del 2013, n. 182 del 2009, n. 35 del 2001 e n. 117 del 1989)”.
II. Corte di Cassazione a Sezioni Unite
• La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con l’importante sentenza n. 8053 del 07 aprile 2014, ha precisato che:
“Mentre resta nel limbo del “non giuridico” ogni discorso sulla (mancanza di adeguata) “professionalità” del giudice tributario, che non reclama come ineludibile corollario logico una specialità del controllo di legittimità, ma semmai pone l’accento sulla irrinunciabile professionalizzazione del giudice quale elemento determinante della tutela giurisdizionale dei diritti (e in ciò sembra rientrare, a pieno titolo, la previsione dell’art. 10, comma 1, lettera b), n. 8), della ricordata legge n. 23 del 2014, circa la doverosa ispirazione del legislatore delegato all’adozione di misure volte al “rafforzamento della qualificazione professione dei componenti delle commissioni tributarie, al fine di assicurarne l’adeguata preparazione specialistica” nel quadro di una prospettiva di crescita dello spessore della tutela giurisdizionale del contribuente con l’assicurata terzietà dell’organo giudicante”.
• Sentenze nn. 29 e 30 della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, depositate il 05 gennaio 2016:
“La precedente sottolineatura – che la garanzia del “giudice naturale” deve essere riferita sia alla giurisdizione sia alla competenza in senso stretto – si giustifica con il pieno rilievo che le norme sulla giurisdizione vanno considerate nel nostro più ampio contesto costituzionale, nel quale l’«Ordinamento giurisdizionale» della «Magistratura» (Titolo IV, Sezione prima, Cost.) è connotato dalla attribuzione della giurisdizione sia a magistrati «ordinari», anche “specializzati” in ragione della materia oggetto di giudizio (art. 102, primo e secondo comma) – ai quali è riservata giurisdizione tendenzialmente “generale” per la tutela dei diritti soggettivi (cfr., ad esempio, gli artt. 1 del R. d. n. 30 gennaio 1941, n. 12, sull’ordinamento giudiziario, 1 cod. proc. civ., 1 cod. proc. pen., 96 Cost.) -, sia a magistrati amministrativi (Consiglio di Stato ed «altri organi di giustizia amministrativa») «per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione» (artt. 103, primo comma, 125, secondo comma), sia alla Corte dei conti «nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge» (103, secondo comma), sia ai tribunali militari in tempo di guerra e in tempo di pace (art. 103, terzo comma), sia infine ad altri, “revisionandi” «organi speciali di giurisdizione» (esistenti alla data del 01 gennaio 1948: art. VI, primo comma, delle disposizioni transitorie e finali), a ciascuno dei quali è attribuita giurisdizione in ragione o della situazione giuridica soggettiva sostanziale fatta valere in giudizio (per i giudici amministrativi: interessi legittimi e, «in particolari materie indicate dalla legge», diritti soggettivi) e/o di determinate materie oggetto di giudizio, indicate direttamente dalla Costituzione e/o dalle leggi istitutive di detti «organi speciali di giurisdizione» (artt. 103, secondo e terzo comma, Cost., e VI disp. trans. e fin.).
Deve aggiungersi che, come per la giurisdizione ordinaria (cfr., in generale, artt. da 7 a 36, 39 e 40, nonché da 42 a 50 cod. proc. civ.), così anche per la giurisdizione amministrativa e per ciascuna altra giurisdizione “speciale” – non la Costituzione, che non detta disposizioni sulla “competenza in senso stretto”, ma la legge ordinaria non soltanto distingue nettamente “giurisdizione” e “competenza” (come, del resto, fa l’art. 117, secondo comma, lettera I, Cost., che riserva allo Stato la legislazione esclusiva nelle materie «giurisdizione e norme processuali»), ma detta proprie e specifiche regole processuali, che stabiliscono sia criteri per la distribuzione delle controversie tra i vari organi appartenenti a ciascuna giurisdizione (competenza in senso stretto, appunto), sia forme e modi per il promovimento e per la risoluzione delle questioni e dei conflitti concernenti l’applicazione di detti criteri (cfr., ad esempio: per la giurisdizione amministrativa, gli artt. 4, da 7 a 12, da 13 a 16 cod. proc. amm., il quale ultimo articolo ha introdotto anche nella giustizia amministrativa l’istituto del regolamento di competenza, deciso dal Consiglio di Stato; per la giurisdizione della Corte dei conti, l’art. 1, comma 7, del d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 19, che attribuisce alle sezioni riunite della Corte, tra l’altro, la decisione sui «conflitti di competenza»; per la giurisdizione tributaria, gli artt. da 2 a 5 del D.Lgs.. 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni)”.
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Il mio progetto di riforma della giustizia tributaria: la “quarta” magistratura
Alla luce delle considerazioni giuridiche e fattuali fin qui svolte, è quindi necessario un nuovo, tempestivo e deciso intervento legislativo, di totale riforma strutturale della giustizia tributaria.
In base al mio progetto di riforma, i principi cui bisogna con urgenza (e necessariamente) ispirarsi sono i seguenti:
1. La gestione ed organizzazione delle Commissioni tributarie non dovrà essere più del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ma della Presidenza del Consiglio dei Ministri (non del Ministero della Giustizia)
Per attuare l’effettiva terzietà dei giudici tributari, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, comma 2, bisogna sottrarre urgentemente al Ministero dell’Economia e delle Finanze la gestione e l’organizzazione delle Commissioni tributarie, in quanto parte interessata nel contenzioso, per poi affidarle ad un organismo terzo, come per esempio la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
È preferibile che la gestione della giustizia tributaria sia affidata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non al Ministero della Giustizia sia per evitare il collasso della giustizia ordinaria, già oberata di cause e con gravi problemi organizzativi e gestionali, e sia perché:
– non esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità del processo tributario e di quello civile (Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanze n. 316/2008, n. 303/2002, n. 330/2000, n. 329/2000, n. 8/1999 e n. 17164/2018), tanto è vero che nel processo tributario “Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale” (art. 7, quarto comma, D.Lgs. n. 546/92 citato), e ciò limita grandemente il diritto di difesa del contribuente (art. 24 della Costituzione); per quanto riguarda i limiti degli atti notori, si rinvia all’ordinanza n. 18/2000 della Corte Costituzionale ed alla sentenza n. 26140/2017 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria;
– è scorretto pensare ad una assimilazione del processo tributario al processo civile, proprio perché non vi è omogeneità tra i due processi in quanto la norma processuale civile trova applicazione soltanto laddove compatibile; infatti:<<Il codice di procedura civile, quindi, viene richiamato non perché il legislatore veda una particolare “vicinanza” del processo tributario al processo civile; non perché, in altre parole, il sistema del processo civile si presenti – ancor più rispetto al passato – come archetipo su cui modellare anche il nuovo sistema del contenzioso tributario, ed a cui ricorrere per colmare le inevitabili lacune che in esso si potranno rinvenire, ma perché sistema (unico sistema normativo) organico e compiuto, e perché “sede” del diritto processuale comune>> (Fregni, 1998, 33);
– al processo tributario non sono applicabili le norme del codice di procedura penale, tra cui quella secondo la quale l’imputato ed il difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi, se la domandano (Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – sentenza n. 10197 del 27/04/2018, in Italia Oggi di lunedì 07 maggio 2018);
– nel processo tributario non è applicabile l’art. 191, primo comma, c.p.p., secondo il quale “Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate” (anche se al riguardo sussiste contrasto all’interno della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria);
– a differenza della procedura civile, nel settore tributario la Corte Costituzionale, con la recente sentenza del 23 luglio 2018, n. 175, ha ritenuto legittima la notifica diretta della cartella di pagamento, effettuata dall’agente della riscossione, mediante semplice invio di raccomandata con avviso di ricevimento (busta bianca invece di quella verde);
– nel processo tributario, giocano un ruolo importante, ed alcune volte rilevante, le presunzioni che, a determinate condizioni, possono anche non essere gravi, precise e concordanti.
– tuttora vige il regime del “doppio binario” e di autonomia tra giudizio penale e procedimento tributario (Cassazione – Sezione Sesta Civile -, ordinanze n. 9322/2017, n. 17782/2018, n. 7723/2018; Cassazione – Terza Sezione Penale -sentenza n. 30874/2018);
– c’è differenza rispetto al processo amministrativo, in cui la pubblica amministrazione può addurre in sede di appello qualsiasi motivo da essa ritenuto idoneo a rinnovare la decisione del primo giudice (Consiglio di Stato, Sezione 4, sentenza n. 5190/2017), mentre in campo tributario ciò non è possibile in quanto i confini del processo sono sempre quelli dettati soltanto dalle ragioni poste a base dell’atto impositivo e dal successivo ricorso (Cassazione – Sezione Tributaria – sentenza n. 5072 del 13 marzo 2015, in Bollettino Tributario d’informazioni n. 14/2018, pagg. 1047-1050). Inoltre, per i rapporti tra il diritto amministrativo ed il diritto tributario si rinvia alla sentenza n. 4223/2017 del Consiglio di Stato – Sezione V – ed alla sentenza n. 7665/2016 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite).
Non si può, infatti, assistere inermi a dinamiche incomprensibili in base alle quali è nelle mani del MEF la totale gestione dell’organizzazione dei giudici tributari per le nomine, i trasferimenti e l’avanzamento di carriera.
Si dovrà, quindi, istituire un ruolo speciale ed autonomo della magistratura tributaria, distinto dalla magistratura ordinaria, amministrativa e contabile (c.d. QUARTA MAGISTRATURA), la quale, peraltro, dovrà avere in futuro anche un riconoscimento costituzionale (la magistratura militare rientra nella magistratura ordinaria).
“Apparenza di indipendenza che deve reggere ad un duplice vaglio, riguardante sia la percezione soggettiva del singolo giudice (per accertare se egli, direttamente chiamato in causa, avverte un disagio, l’ombra di una intromissione) sia quella oggettiva del quisque de populo (per sincerarsi che l’idea di giustizia data all’esterno non sia di sudditanza). A spartiacque, la giurisprudenza continentale individua, quali connotati salienti, la inamovibilità e l’emancipazione da pressioni esterne nonché la effettiva disponibilità di risorse e strumenti operativi. Il diritto vive di forma, il giudice tributario non meno degli altri. Lo si diceva di Cesare, dell’immacolatezza della tunica di sua moglie. Noi rischiamo che, a dircelo del giudice tributario, sia la Corte di Strasburgo. E allora sarebbero guai”.
In effetti, i suesposti principi sono stati più volte enunciati dalla Corte EDU con le decisioni del 10 gennaio 2012; 28 giugno 1984; 27 aprile 2000; 27 febbraio 2009; 03 ottobre 2012; 25 febbraio 1997; 23 luglio 2002 n. 34619/1997.
In merito “all’apparenza” di imparzialità ed indipendenza del giudice tributario, si cita la sentenza del TAR Lazio – Sezione I – n. 132 del 07 febbraio 2006 dove si afferma l’impossibilità dell’interessato a svolgere detto compito “in funzione dell’interesse pubblico tutelato dalla disposizione sull’incompatibilità, polarizzato non soltanto sulla sostanza sebbene anche sulla doverosa apparenza di imparzialità richiesta a qualsiasi giudice e a quello tributario in specie”.
2.Nuova denominazione delle Commissioni tributarie
Le Commissioni tributarie, dovranno avere una diversa denominazione, come peraltro richiesto dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria e, dunque, chiamarsi:
– Tribunale Tributario;
– Corte d’Appello Tributaria;
– Corte di Cassazione Sezione Speciale Tributaria.
La proposta di cambio di denominazione è utile ad evidenziare il carattere di terzietà e di indipendenza della magistratura tributaria.
Logicamente, nel nuovo ordinamento della giustizia tributaria, potranno continuare regolarmente a difendere gli attuali difensori tributari previsti dall’art. 12 D.Lgs. n. 546/92 citato, senza alcuna eccezione o limitazione (parere n. 299 del 05 febbraio 2018 del Consiglio di Stato – Sezione Atti Normativi -).
Infine, a titolo puramente informativo, si segnala la recente sentenza n. 29919 del 13 dicembre 2017 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che ha stabilito il seguente, importante principio:
<<L’ordine di munirsi di assistenza tecnica impartito al contribuente autodifeso dal giudice di primo grado vale per tutto il corso del processo, e non deve essere reiterato in grado di appello, con conseguente inammissibilità dell’appello sottoscritto solo dal contribuente senza l’assistenza di un difensore>> .
3. I giudici tributari dovranno essere a tempo pieno e professionalmente competenti e nominati per concorso pubblico e non per titoli
Oggi i giudici tributari sono a tempo parziale e questo non garantisce una perfetta competenza e professionalità nel delicato settore fiscale.
Per tale ragione, l’assunzione del giudice tributario dovrà avvenire per concorso pubblico, per titoli ed esami a base regionale con specifico riferimento alle norme tributarie e processuali (art. 106, comma primo, della Costituzione).
Al concorso pubblico potranno partecipare tutti i laureati in giurisprudenza ed in economia e commercio.
L’accesso concorsuale tende a garantire l’indipendenza e la capacità tecnica dei magistrati che saranno chiamati ad espletare compiti in materie connotate da un elevato grado di tecnicismo giuridico, fiscale e contabile (le leggi tributarie confuse rendono confusa la giustizia tributaria).
Per la giustizia tributaria, infatti, occorrono giudici togati a tempo pieno, indipendenti ed imparziali ma anche pienamente preparati nelle materie da trattare.
I giudici tributari dovranno essere al massimo 1.000 (mille).
I professionisti, per far parte delle Commissioni tributarie, dovranno cancellarsi dai rispettivi albi professionali.
Logicamente, a differenza di quanto accade oggi, i nuovi giudici tributari di merito non potranno far parte contemporaneamente della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.
A questo punto, secondo me, con il nuovo ordinamento della giustizia tributaria i nuovi giudici tributari potranno benissimo decidere sulla mediazione (art. 17-bis D.Lgs. n. 546/92 citato), perché non è più giustificato l’intervento in questa delicata fase dello stesso organo fiscale che ha notificato gli accertamenti.
Inoltre, a puro titolo informativo, secondo me, si dovrebbe consentire l’accertamento con adesione anche per le controversie catastali, oggi, ingiustificatamente non ammesso.
Infine, con la riforma della giustizia tributaria, logicamente deve essere totalmente abrogato il decreto legislativo n. 545 del 31/12/1992 e, per quanto riguarda la disciplina degli illeciti, deve farsi riferimento al D.Lgs. n. 109 del 23/02/2006 per i magistrati ordinari, con gli adattamenti necessari per le cause tributarie.
4. Giudice monocratico
Si dovrà prevedere l’istituzione di un Giudice Monocratico per tutte le controversie di importo non superiore a € 20.000,00 d’imposta, per le cause catastali e per i giudizi di ottemperanza senza limiti di importo.
Secondo me, deve rimanere il limite dei 20.000,00 euro d’imposta nonostante il limite della mediazione tributaria sia stato elevato ad € 50.000,00 dal 1° gennaio 2016 (art. 17-bis D.Lgs. n. 546/92 modificato dall’art. 9 D.Lgs. n. 156/2015) per evitare una eccessiva competenza di valore al giudice monocratico, perché tenendo conto anche delle sanzioni e degli interessi si arriva a cifre elevate (oltre 100.000,00 euro).
5. Dignitoso trattamento economico dei giudici tributari come per i magistrati ordinari
Oggi i giudici tributari non percepiscono alcun compenso per la sospensiva, e soltanto la misera somma di euro 15 nette a sentenza depositata (peraltro pagata con ritardo).
Questi miseri compensi non fanno altro che offendere la dignità del giudice tributario ed ecco perché è necessario prevedere con urgenza un compenso dignitoso per le udienze di sospensiva e di merito, come per i giudici ordinari.
Inoltre, per i mille giudici tributari con compensi dignitosi e per l’intera organizzazione lo Stato pagherà in sostanza 210.000 euro come oggi (vedi lett. E, n. 3).
Ciò posto, non si deve pensare che l’esigenza della suddetta riforma sia giustificata dai recenti scandali e arresti dei giudici tributari (si vedano i casi di Roma, Napoli, Milano e Bari), ma la riforma è necessaria perché i giudici tributari devono essere giudici professionali, ben pagati, indipendenti (anche all’apparenza) dal MEF e competenti.
Ormai è arrivato il momento indifferibile di riformare strutturalmente le attuali Commissioni tributarie e prevedere giudici tributari a tempo pieno, non più dipendenti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ma dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
In conclusione, ritengo opportuno rilevare che il mio disegno di legge di riforma delle Commissioni tributarie riprende molti concetti organizzativi del processo tributario tedesco.
Soltanto una magistratura tributaria autonoma, indipendente e professionale può, infatti, garantire un sistema tributario equo ed efficiente.
Il professore Antonio Uckmar già nel 1949, sul punto, scriveva che “Qualunque sia per essere la riforma del sistema tributario, la stessa non raggiungerà il suo scopo se non sarà preceduta da una riforma radicale del contenzioso, che ponga sullo stesso piano i due litiganti e dia garanzia per il raggiungimento della giustizia” (La riforma del contenzioso tributario, in Diritto e Pratica tributaria, 1949, I, 138 e ss.).
Disegno di legge n. 243/2018 del sen. Luigi vitali (“ordinamento della giurisdizione tributaria”)
La mia proposta legislativa di cui alla precedente lett. C) è stata integralmente ripresa:
1) inizialmente, nella passata legislatura, dal disegno di legge n. 1593 della Sen. Gambaro comunicato alla Presidenza del Senato il 06 agosto 2014;
2) successivamente, sempre nella passata legislatura, dalla proposta di legge n. 4755 del 23/11/2017 presentata alla Camera dei Deputati dall’On. Rocco Palese;
3) nell’attuale legislatura, dal disegno di legge n. 243 del 10 aprile 2018 presentato al Senato dal Sen. Luigi Vitali “Ordinamento della giurisdizione tributaria” ed attualmente assegnato alla Commissione Permanente Finanze e Tesoro del Senato.
Disegno di legge n. 244/2018 del sen. Luigi vitali (“definizione agevolata delle liti fiscali pendenti” -c.d. pace fiscale)
L’approvazione della riforma strutturale della giustizia tributaria comporta, necessariamente, l’azzeramento di tutto il contenzioso tributario oggi pendente di oltre 100 miliardi di euro, che coinvolge circa 21 milioni di contribuenti.
Appunto per questo, ho predisposto una definizione delle liti fiscali pendenti interamente ripresa dal disegno di legge n. 244 del 10 aprile 2018 presentato al Senato dal Sen. Luigi Vitali “Definizione agevolata delle liti fiscali pendenti” (c.d. pace fiscale) ed attualmente assegnato alla Commissione Permanente Finanze e Tesoro del Senato.
A tal proposito, si riporta quanto dichiarato dal sottosegretario del MEF Massimo Bitonci e pubblicato da Italia Oggi del 17/07/2018:
“Una pacificazione di ampio respiro e con un orizzonte ambizioso: si parte dall’accesso della Guardia di Finanza per arrivare all’ultimo grado di giudizio nel processo tributario e da lì per arrivare anche ad una riforma del processo tributario”.
L’obiettivo è quello di definire in maniera bonaria i rapporti del contenzioso tributario per approdare ad una strutturale riforma della giustizia tributaria.
Nella definizione agevolata delle liti fiscali pendenti, contrariamente a quanto previsto dall’ultima definizione (art. 11 D.L. n. 50/2017, convertito dalla Legge n. 96/2017 e Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 22/E del 28/07/2017), secondo me, si deve sempre tenere conto delle sentenze depositate nello stabilire le percentuali di definizione della sola imposta, annullando le sanzioni e gli interessi.
Oltretutto, sulla c.d. pace fiscale per definire tutte le liti pendenti e contemporaneamente riformare la giustizia tributaria, si sono espressi favorevolmente:
– lo stesso Ministro del MEF Prof. Giovanni Tria;
– il Presidente del Consiglio Avv. Giuseppe Conte;
– il Sen. Armando Siri ;
– il Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia.
Attualmente, sono quasi mezzo milione le liti tributarie interessate dalla pace fiscale, che coinvolgono 21 milioni di contribuenti.
Secondo le ultime statistiche del MEF sul contenzioso, aggiornate al primo trimestre 2018, ci sono 461.741 cause pendenti tra le Commissioni tributarie provinciali, regionali e la Cassazione, cui corrisponde un controvalore stimabile in 75,4 miliardi .
È su questo scenario che si innesta il piano messo a punto dalla Lega e consegnato al Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, tra i dossier della manovra e le altre misure di pace fiscale, comprese le possibili sanatorie di ruoli, avvisi di accertamento e verbali di constatazione (c.d. PACE FISCALE).
“Il piano prevede la possibilità di chiudere la causa senza pagare sanzioni e interessi, mentre l’imposta reclamata dal Fisco potrà essere più o meno defalcata a seconda delle situazioni. Secondo il progetto allo studio, se il processo è in secondo grado e il contribuente si è già visto dar ragione dalla CTP, potrà pagare il 50% dell’imposta contestata. Se è in Cassazione e ha già vinto nei due gradi di giudizio precedenti, lo sconto sarà pari all’80% del tributo. Invece, nei casi di vittoria del Fisco o verdetto intermedio (ad esempio, quando la Commissione ha ridotto l’imposta contestata), si dovrà arrivare a una conciliazione, fermo restando lo sgravio di sanzioni e interessi”.
In merito al succitato piano, non sono d’accordo a lasciare tra le parti una conciliazione mentre ritengo più opportuno, per evitare contrasti interpretativi e quantitativi, determinare in modo chiaro e preciso le percentuali di riduzione, così come previsto dal disegno di legge n. 244/2018 del Sen. Luigi Vitali.
Infine, non bisogna dimenticare che ultimamente:
– il Governo sta studiando una voluntary <<3.0>>;
– è stato approvato il condono parziale delle sanzioni per violazioni al vecchio codice della privacy (D.Lgs. dell’08 agosto 2018);
– è stata già prevista una precedente definizione agevolata delle controversie tributarie (art. 11 D.L. n. 50 del 24/04/2017, convertito con modificazioni dalla Legge n. 96 del 21/06/2017), senza inoltre dimenticare le due rottamazioni dei ruoli da ultimo concluse.
Considerazioni conclusive
In definitiva, la disciplina attuale del processo tributario continua a destare numerosi dubbi di legittimità costituzionale, specie in riferimento al principio di indipendenza ed imparzialità del giudice. Sono molti, infatti, gli aspetti della normativa che ad oggi non consentono ancora di riconoscere ai giudici tributari quella perfetta autonomia dai pubblici poteri, che è garanzia di un giudizio libero da pressioni e da condizionamenti esterni, che sia espressione solo della corretta applicazione della legge. L’inquadramento dei giudici e del personale delle Commissioni Tributarie nell’ambito del Ministero dell’Economia e delle Finanze (parte del processo), i meccanismi di reclutamento dei giudici (nominati tramite un concorso per titoli e non per esami), lo svolgimento spesso non a tempo pieno dell’attività giurisdizionale, sono tutti elementi che limitano (solo in apparenza secondo il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria) l’indipendenza, la terzietà e l’imparzialità dei giudici.
Non può non rilevarsi, dunque, che un processo così complesso come quello tributario è affidato a giudici del tempo libero, non professionali e pagati poco che, nella maggior parte dei casi, sono anche alle prese con questioni che divengono sempre più complicate anche in virtù di una legislazione fiscale sempre più frastagliata ed alle prese con cifre rilevanti e materie complesse oggetto di continue evoluzioni giurisprudenziali e aggiornamenti normativi.
La riforma è necessaria perché i giudici tributari devono essere giudici professionali, ben pagati, indipendenti (anche all’apparenza) dal MEF e competenti a decidere le delicate e difficili questioni tributarie, che in caso di errori, anche involontari, possono portare al fallimento delle aziende e alla rovina dei contribuenti.
Occorre, più che mai, garantire tempestività, trasparenza ed efficienza nel rendere giustizia su temi che incidono così in profondità sui diritti dei cittadini e sui rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione. L’attuale strutturazione della giustizia tributaria non appare più adeguata. È necessaria e urgente una totale e radicale riforma.
A tal proposito si auspica un sereno ed equilibrato dibattito tra tutti i soggetti istituzionali e professionali del settore al fine di arrivare ad avere una giustizia tributaria con giudici professionali, specializzati, a tempo pieno, ben retribuiti e, soprattutto, terzi ed imparziali nel rispetto dell’art. 111, comma 2, della Costituzione.
Come più volte chiarito dalla Corte Costituzionale (cfr. Ordinanza n.227/2016; sentenza n. 154/1984; sentenza n. 212/1986; ordinanza n. 144/1998) e dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (cfr. sentenze nn. 13902/2007 e 8053/2014) è nelle mani del legislatore ordinario il compito di sopprimere e ristrutturare le Commissioni Tributarie, così come previsto dai due disegni di legge da me predisposti e presentati al Senato il 10 aprile 2018 dal Sen. Vitali (nn. 243 e 244), creando la quarta magistratura, in aggiunta a quella ordinaria, amministrativa e contabile.
I due disegni di legge (che riprendono molti concetti organizzativi del processo tributario tedesco) riguardano la riforma della giustizia tributaria (n. 243/2018) e la definizione delle liti fiscali pendenti (n. 244/2018) ed attualmente sono stati assegnati alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato
Soltanto una magistratura tributaria autonoma, indipendente e professionale può, infatti, garantire un sistema tributario equo ed efficiente.
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