Ricettazione e incauto acquisto: profili sostanziali

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 1) Introduzione. Le fattispecie di reato della ricettazione e dell’acquisto di sospetta provenienza (incauto acquisto), previste rispettivamente dall’art. 648 e 712 del codice penale, pur essendo astrattamente distinte, risultano assai difficili da applicare a ipotesi concrete. È utile, quindi, evidenziarne i profili sostanziali che ne permettono la corretta applicazione.

La ricettazione rientra tra i delitti contro il patrimonio mediante frode e sanziona con la reclusione da da due a otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329 “chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere o comprare”.

Il secondo comma prevede la reclusione sino a sei anni e la multa sino a euro 516, se il fatto è di particolare tenuità, mentre il terzo comma prevede la configurazione di tale fattispecie anche nel caso in cui l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto. Le pene sono aumentate se il denaro o le cose provengono dai delitti di rapina aggravata (art. 628, co. 3 c.p.), estorsione aggravata o furto aggravato (art. 625, co. 1 c.p.).

Trattasi, quindi, di reato contro il patrimonio in quanto l’oggetto della fattispecie criminosa è sempre una cosa materiale di provenienza illecita. Tale provenienza fa sì che elemento fondamentale affinché si realizzi tale condotta è il cosiddetto reato presupposto, la cui natura emerge inequivocabilmente dalla lettera dell’articolo citato: si tratta di delitto, doloso o colposo che sia. Perciò, laddove la cosa mobile provenisse da una contravvenzione è impossibile si configuri l’ipotesi della ricettazione. La giurisprudenza della Corte di Cassazione[1] ha stabilito che il reato presupposto non deve essere accertato (né dal punto di vista oggettivo, né da quello soggettivo) per la configurazione della ricettazione, in quanto la provenienza delittuosa deve presumersi dalla natura del bene stesso.

Il soggetto agente è colui che pone la condotta così come descritta dalla norma. Elemento fondamentale è la consapevolezza della provenienza illecita. Tale consapevolezza è deducibile, come vedremo, da qualsiasi elemento, diretto o indiretto, perciò anche dalla insufficiente indicazione della provenienza della cosa ricevuta.

L’acquisto di cose di sospetta provenienza, al contrario, fa parte delle contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, disciplinate nel Libro III, Titolo I, Sezione V. Esso punisce con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda non inferiore a euro 10, “chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato”.

Il secondo comma prevede la stessa pena in capo a chi si adoperi per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcune delle cose suindicate, senza averne prima accertato la legittima provenienza.

A prima facie emerge la differenza sanzionatoria tra le due fattispecie. L’asperità delle pene previste per la ricettazione è dovuta soprattutto al diverso grado dell’elemento soggettivo (volontà di delinquere) di chi riceve, a qualunque titolo, la merce. Analizzeremo ore più approfonditamente i caratteri soggettivi delle due fattispecie in esame.

 2) Il dolo nella ricettazione. Dalla lettera dell’art. 648 emerge la necessità, per la configurazione della fattispecie di un doppio requisito psicologico:

  1. a) dolo specifico: il soggetto deve agire con il fine di procurare a sé o ad altri un profitto;
  2. b) dolo generico: il soggetto deve essere a conoscenza della illecita provenienza della res.

In particolare, con riferimento all’elemento psicologico, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 12433/10)[2] hanno affermato che può essere integrato anche dal dolo eventuale, configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in un mero sospetto.

Il confine tra le due fattispecie, quindi, è rappresentato dall’elemento soggettivo: ogni qualvolta il soggetto agente, pur non avendo una conoscenza specifica del fatto nella sua completa materialità e nella sua qualificazione giuridica, abbia agito accettando il rischio di incorrere nelle sanzioni penali, si ha ricettazione[3]. È sufficiente che il soggetto abbia una conoscenza tale da riconoscere il carattere antigiuridico del fatto nei suoi aspetti essenziali.

La Cassazione ha affermato[4], inoltre, che, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte dell’agente. È la stessa struttura della fattispecie incriminatrice, infatti, che richiede, ai fini della consapevolezza circa la provenienza illecita della res, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa.

3) La colpa nell’incauto acquisto. Al contrario, per integrare la fattispecie di cui all’art. 712 c.p., non è necessario che l’acquirente abbia effettivamente nutrito dubbi sulla provenienza della merce, dovendo ritenersi sussistente il reato ogni qualvolta l’acquisto avvenga in presenza di condizioni che obiettivamente avrebbero dovuto indurre al sospetto, indipendentemente dal fatto che questo vi sia stato o meno e a nulla rilevando le motivazioni personali. Per la configurabilità della fattispecie in esame, inoltre, non occorre che sia accertata la provenienza delle cose da reato, perché è richiesta solo la prova dell’acquisto o ricezione, senza gli opportuni accertamenti[5].

Il reato, pertanto, si realizza quando l’acquisto avvenga in circostanze tali da indurre una persona di media avvedutezza in una condizione di oggettivo sospetto circa la legittima provenienza delle cose , che prescinde dall’opinione o dalla valutazione dell’agente “la cui colpa si configura per la sola omissione dei doverosi accertamenti circa tale legittima provenienza”[6].

Carattere distintivo rispetto alla peculiare figura della ricettazione risiede nell’elemento soggettivo, che, in questo caso, è la colpa. Nella fattispecie in esame, infatti, il mancato accertamento della provenienza è, evidentemente, di natura colposa. La condotta consiste nel procurarsi, mediante l’acquisto, cose che per le condizioni alle quali sono offerte o per la qualità delle medesime, si sospetta possano provenire da reato.

4) Incauto acquisto e acquisto di prodotti con marchi contraffatti.

La Cassazione è intervenuta anche con riguardo al rapporto tra l’illecito penale disciplinato dall’art. 712 e l’acquisto di prodotto con marchio contraffatto, illecito amministrativo previsto dal d. l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. In l. 14 maggio 2005, n. 35. infatti, nel caso di acquisto di prodotto con marchi contraffatti, la Suprema Corte ha affermato che non si configura la contravvenzione, anche perché la norma del codice individua il soggetto agente in chiunque, mentre l’illecito amministrativo soltanto nell’acquirente finale[7].

[1]Ex multis, Cass. n. 3211/1999; Cass. n. 4077/1990; Cass. n. 26308/2010.

[2]Tale sentenza ha risolto il contrasto tra due orientamenti precedenti: uno più rigoroso, favorevole al solo accoglimento del dolo diretto: in questo caso, l’agente non si accontenta dell’incertezza, come nel dolo eventuale, ma richiede un’alta probabilità o addirittura la certezza della provenienza delittuosa della res. In questo senso, PECORELLA, voce Ricettazione, in Novis. Dig. It., XV, Torino, 945. L’altro, in capo ad ANTOLISEI, reputa necessario che l’elemento oggettivo sia coperto dal semplice dolo eventuale: in questo senso si esprime anche la giurisprudenza prevalente.

[3]In questo senso, Cass. 22 settembre 1988, in Riv. Pen., 1990, 795.
[4]Cass. n. 53017/2016.

[5]Cass. Sez. Un. n. 12433/2010. A tale proposito, una parte della dottrina ha manifestato alcune perplessità. Infatti, “tale conclusione, pur se confortata dalla lettera della legge, finisce per ricostruire la fattispecie come reato di mera disobbedienza, radicato sulla mera inosservanza del dovere di accertarsi della provenienza lecita della cosa – ancorché la cosa medesima risulti, ex post, lecitamente posseduta dal venditore”. Così si esprime  ABBADESSA, Nota a Cass., Sez. Un., ud. 26.11.2009, n. 12433, Nocera, in Diritto Penale Contemporaneo, pag. https://www.penalecontemporaneo.it/d/285-ricettazione-e-dolo-eventuale.

[6]Così si esprime la Cass. Sez. II, n. 45218/2015.

[7]Cass. Pen., Sez. Un., n. 22225/2012.

Dott. Altavilla Cosimo

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