La revisione prezzi: declinazione di un istituto necessario

È importante, quando si parla di “revisione dei prezzi” (in termini sinonimici, di “adeguamento prezzi”), non trascurare la valenza dell’espressione.

È importante, quando si parla di “revisione dei prezzi” (ovvero, in termini sinonimici, di “adeguamento prezzi”), non trascurare la valenza semantica dell’espressione.
Assumendo che le scelte lessicali del Legislatore non possano mai dirsi casuali o grossolane, occorre notare che il lemma “revisione”, a differenza di quanto non accada per la locuzione “rinegoziazione”, rimanda all’idea di un’attività di mero aggiornamento, che non attinge a livelli profondi del proprio oggetto, né presuppone l’insorgenza di circostanze dirompenti che ne impongano l’avvio. Essa, piuttosto, richiama l’immagine di un agire diretto ad attuare interventi, anche di entità minima, volti ad apportare piccoli aggiustamenti finalizzati ad aggiornare l’oggetto dell’intervento stesso, adeguandolo – appunto – a variazioni che, anche in ragione del fattore tempo e di circostanze del tutto endemiche e pronosticabili, possano essere intervenute e delle quali occorra tenere conto.
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Indice

1. Evoluzione normativa e giurisprudenziale


Senza volersi spingere troppo addietro nel tempo[1], si può constatare come già nel 1993 la trama legislativa intessuta in materia di contratti pubblici manifestasse un particolare interesse per l’istituto in parola.
Ci si riferisce, nello specifico all’art 6, c.4, della Legge n. 537/1993 ed all’art. art. 44, 4 comma della L. n. 724/94.
Grazie, inoltre, ai copiosi interventi del G.A., è stato possibile arricchire il dettato normativo di puntualizzazioni e chiarimenti, i quali hanno fortemente contribuito a delineare la portata dell’istituto che, in estrema sintesi, assumeva le seguenti connotazioni [2] [3] [4] [5]:

  • la revisione si applicava a qualunque contratto d’appalto pubblico;
  • la revisione doveva essere applicata anche quando il contratto non la prevedesse espressamente – c.d. efficacia eterointegrativa dell’istituto revisionale;
  • la revisione si applicava anche quando il contratto la negasse espressamente;
  • alla revisione prezzi inerente agli appalti pubblici non si applicava l’alea del 10% prevista dall’art. 1664 c.c., cosicché la revisione interessava l’intero importo dell’incremento dei prezzi, anche se tale aumento fosse stato inferiore al 10%.
  • L’interesse perseguito tramite il ricorso all’istituto in parola era duplice e di pari dignità, ravvisabile, per un verso, nella necessità di tutelare l’esigenza dell’amministrazione di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisse aumenti incontrollati nel corso del tempo (talora frutto di illecite collusioni), mentre, per altro verso, nella necessità di attualizzare, nell’interesse dell’appaltatore, il prezzo contrattuale al mutamento del costo della vita ove lo stesso avesse superato, nel tempo necessario all’esecuzione del contratto, un certo limite di tollerabilità.

Appare evidente come la Giurisprudenza fosse, in prima battuta, indirizzata a riconoscere che l’applicabilità dell’istituto della revisione prezzi ad una determinata fattispecie discendesse direttamente dalla legge che la realizzava mediante il meccanismo della cosiddetta “inserzione automatica” della norma imperativa, ai sensi degli artt.1419, comma 2, c.c. e 1339 c.c.[6]
Con l’entrata in vigore del Codice “De Lise” (D.Lgs 163/2006), il Legislatore manifestò l’intento di confermare l’istituto in parola tanto da riservagli espressa menzione all’art. 115.
La disposizione, nella prima versione del c.d. «Codice Appalti», riproduceva in termini pressoché pedissequi la previsione di cui all’art. 6, c.4, L. 537/1993 e all’art. 44, 4 comma della L. n. 724/94.
Nella sostanza, pertanto, l’istituto in parola confermò tutte le caratteristiche già riconosciutegli dalla previgente normativa e dalla giurisprudenza già formatasi in materia.
È tuttavia interessante notare come quest’ultima sia stata poi affiancata, ed in seguito sopravanzata, da una corrente ermeneutica del tutto intesa a condividere la convinzione per cui l’applicazione dell’istituto revisionale non dovesse avvenire in termini automatici ma che, piuttosto, richiedesse una specifica attività istruttoria da parte dei dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi, la quale fosse diretta a verificare, tanto sotto il profilo normativo, quanto sotto quello economico, la sussistenza dei presupposti per riconoscere il diritto all’applicazione dell’istituto revisionale[7].
Anche in linea con i precetti sovranazionali in materia di concorrenza[8], dunque, si assistette – soprattutto a partire dal 2010 – ad una serie di interventi interpretativi che, benché in una cornice normativa non proprio favorevole, potessero limitare i meccanismi di revisione dei prezzi degli appalti pubblici per evitarne i potenziali effetti elusivi rispetto a quanto stabilito durante la gara pubblica.
Accanto alle specifiche caratteristiche dell’istituto già declinate in vigenza dell’art. 6, c.4, L. 537/1993 e dell’art. 44, 4 comma della L. n. 724/94, la giurisprudenza ritenne dunque opportuno fissarne delle altre:

  • la clausola di revisione dei prezzi nei contratti ad esecuzione continuata e periodica non assumeva la funzione di eliminare completamente l’alea tipica di un contratto di durata[9];
  • ogni variazione del prezzo non poteva comportare la revisione, in ogni caso, in via automatica, di quanto contrattualmente stabilito, tenuto conto del vincolo di invarianza finanziaria cui deve ottemperare l’Amministrazione[10];
  • la revisione dei prezzi presupponeva sempre un’attività di accertamento istruttorio prima di essere autorizzata, costituendo infatti una deroga rispetto all’ordinaria applicazione del contratto;
  • lo scopo principale dell’istituto era quello di tutelare l’interesse pubblico ad acquisire prestazioni di servizi qualitativamente adeguati e, solo in via indiretta, l’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verificavano durante l’arco del rapporto[11].

Si nota, soprattutto da quest’ultima precisazione, come la volontà espressa in quel momento storico fosse del tutto intesa a delineare un istituto il quale non dovesse essere derubricato alla stregua di una mera clausola di indicizzazione, ma che mantenesse una funzione di tutela e perseguimento – in via prioritaria – dell’interesse pubblico e solo in via mediata quello dell’appaltatore privato.
In questo contesto, non può stupire che, malgrado la norma di riferimento non presentasse alcun accenno in merito, il Giudice Amministrativo sia persino giunto ad affermare che al fine di attuare l’adeguamento dei prezzi fosse necessaria la ricorrenza di circostanze eccezionali e imprevedibili, la cui esistenza non potesse essere ricondotta ad aumenti del costo di fattori della produzione prevedibili – anche dal punto di vista della loro consistenza valoriale – nell’ambito del normale andamento dei mercati relativi, dovendo invece a tal fine farsi riferimento ad eventi, appunto, eccezionali ed imprevedibili, tali da alterare significativamente le originarie previsioni contrattuali[12].
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 50/2016, ad ogni modo, la disciplina dell’istituto in parola è stata, de iure condito, adeguata all’indirizzo ermeneutico da ultimo affermatosi, in attuazione di quell’anomalo fenomeno – invero non così raro – per cui è sovente il Legislatore ad allinearsi all’Interprete e non viceversa, sebbene in tal senso non possa negarsi la spinta decisiva impartita dal disfavore rispetto all’istituto in parola manifestatosi anche a livello sovranazionale.
La revisione dei prezzi, nel codice del 2016, ha perso quindi il rango di istituto meritevole d’esser disciplinato in articoli specifici ed è invece confluito, in forma di mero e fuggevole inciso, nel testo dell’art. 106 rubricato “Modifica di contratti durante il periodo di efficacia”.
Il D.lgs. 50/2016, peraltro, ha rimosso ogni obbligatorietà di inserzione della clausola revisionale nei contratti di durata ed anzi ha inteso limitare in termini stringenti la possibilità di far ricorso all’istituto in parola.
A differenza di quanto non fosse previsto nella previgente normativa, l’inserzione di clausole revisionali nel contratto, cessò di essere un obbligo e divenne una mera facoltà rimessa alla piena discrezionalità della stazione appaltante, la quale, nel caso, avrebbe dovuto prevederlo in clausole chiare precise ed inequivocabili della legge di gara.
L’inadeguatezza della normativa così declinata, tuttavia, si è resa tragicamente evidente all’insorgere di circostanze sperequative di eccezionale portata.
Solamente in ragione della crisi pandemica e della forte impennata dei costi dell’energia e delle materie prime per la guerra in Ucraina, difatti, l’istituto revisionale è stato reintrodotto con numerose norme speciali, le quali hanno operato esplicitamente in deroga al dettato normativo del Codice degli Appalti del 2016 e ciò, con ancora maggiore chiarezza, evidenzia le criticità e le disarmonie provocate da quest’ultimo nel sistema dei contratti pubblici.
Il lavacro lustrale alle fonti dell’anticorruzione e del sacro principio della massima concorrenza a cui il codice degli appalti è stato sottoposto nel 2016 si è spinto sino al punto di assumere connotati fideistici e fondamentalisti. Ciò ha condotto il Legislatore nazionale, piuttosto che ad adattarne la disciplina, a tranciare in radice l’operatività di istituti equilibratori, necessari e connaturati ad ogni dinamica contrattuale, per il solo senso di diffidenza generalmente affermatosi fra giurisprudenza ed ambienti sovranazionali nel contesto storico di riferimento.
Ne è derivata, in fase emergenziale, la necessità di abbandonarsi ad una grave forma di bulimia legislativa da cui è scaturito un coacervo di leggi-provvedimento che hanno cercato di risolvere ex post situazioni di squilibrio negoziale che in vero si erano già verificate. Per approfondimenti si consigliano i volumi: Le principali novità del Codice dei contratti pubblici e Nuovo codice dei contratti pubblici per operatori economici

2. La revisione prezzi nel nuovo codice dei contratti pubblici


L’intervento normativo risoltosi con l’approvazione del nuovo Codice del 2023, fortunatamente, ha posto un freno al fenomeno precedentemente esposto.
L’istituto della revisione prezzi, nella nuova declinazione del codice, è tornato a distinguersi dalle altre forme di modifica contrattuale, tant’è che, mentre queste ultime vengono disciplinate all’art. 120 del D.Lgs. 36/2023, l’istituto revisionale trova dimora autonoma nell’art. 60.
La nuova normativa, per quanto si dirà di seguito, rappresenta ben più che un mero ritorno al passato; essa, in effetti, rappresenta un’importante innovazione anche rispetto alla disciplina del “Codice de Lise”.
Per quel che attiene ai presupposti legittimanti, giova evidenziare come il Legislatore abbia avuto cura di precisare che la revisione vada attivata “al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva” e purché resti inalterata “la natura generale del contratto”.
Il mancato richiamo ai caratteri della imprevedibilità e della eccezionalità degli eventi sperequativi[13], lascia intendere che la legittimazione del ricorso all’istituto risieda non nella natura della causa destabilizzante, quanto piuttosto esclusivamente nell’entità dell’effetto da essa prodotto. In tal senso, non può essere considerato casuale che il Legislatoreabbia inteso esplicitare in termini puntuali la soglia di rilevanza dell’effetto sperequativo da cui possa discendere l’adeguamento dei prezzi, il quale difatti, deve avere luogo qualora si verifichi “una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5 per cento dell’importo complessivo e operano nella misura dell’80 per cento della variazione stessa, in relazione alle prestazioni da eseguire”.
Si può, quindi, sostenere che anche sopravvenienze del tutto prevedibili ed addirittura connaturate alle dinamiche di mercato (quali le dinamiche inflattive dei prezzi ovvero il rinnovo di CCNL) possano innescare la clausola revisionale, purché le stesse provochino un effettivo intacco sull’equilibrio negoziale.
Il meccanismo revisionale così delineato, apparentemente semplice, ha posto tuttavia alcune questioni interpretative.
Innanzi tutto, difatti, ci si è chiesti a quale valore in concreto si debba far riferimento per verificare il superamento della soglia del 5% di variazione stabilita per attivare l’adeguamento.
Il Legislatore sul punto rinvia al valore “dell’importo complessivo” del “costo dell’opera, della fornitura o del servizio”. Nonostante l’espressione lasci qualche margine di ambiguità, gli interpreti sono orami concordi nel ritenere che tale importo vada identificato con l’importo del contratto stipulato[14].
Posto, quindi, che l’istituto revisionale si può attivare solo se la variazione dei costi valichi il 5% del corrispettivo contrattuale, resta il dubbio se, una volta superata tale soglia, l’incremento vada calcolato solo per la parte eccedente il 5% ovvero per l’intera variazione registrata. 
Quest’ultima lettura, a ben vedere, appare tuttavia non condivisibile sotto il profilo sistematico e sostanziale.
Appare evidente, difatti, che, posta la soglia del 5% di variazione, il Legislatore abbia voluto individuare in essa il valore dell’alea contrattuale ordinaria che deve integralmente e necessariamente restare a carico delle parti. Ove si accogliesse la formula che prevede il calcolo sull’intero valore della variazione, difatti, verrebbe eliso ogni addebito di alea a carico dell’appaltatore, con ciò incidendo sulla corretta allocazione del rischio di impresa.
Sul punto è intervenuta di recente la proposta di correttivo al codice licenziata dal Consiglio dei Ministri n. 101 del 21/10/2024, la quale, ad oggi ancora in fase di approvazione, all’art. 3, c.3, del nuovo allegato II.2-bis, ha puntualizzato che “Le clausole di revisione dei prezzi si applicano nella misura dell’80 per cento del valore eccedente la variazione del 5 per cento, applicata alle prestazioni da eseguire dopo l’attivazione della clausola di revisione”.
Si può, quindi, definitivamente concludere sul punto che, seppur in attesa della definitiva approvazione del correttivo, sia coerente con la volontà del Legislatore l’applicazione di una percentuale di adeguamento da calcolare sul solo margine di eccedenza.
Il connotato che, tuttavia, caratterizza più di ogni altro l’attuale disciplina della revisione prezzi, qualificandola come un’importante evoluzione rispetto a tutte le precedenti esperienze normative in materia, ivi incluso il “codice De Lise”, è di certo lo spiccato carattere di automatismo infuso alla dinamica dell’istituto in questione.
Sul punto si può ravvisare piena coerenza, sin dalla legge delega e poi nella relazione di accompagnamento alla proposta di decreto[15] (sino, come si vedrà, alla bozza di correttivo), nell’improntare l’istituto in parola ad un modello di indicizzazione al fine di rendere più rapida e “sicura” l’applicazione della revisione.
Tale connotato, forse, nella stesura attuale del c. 2 dell’art. 60 emerge con minor forza di quanto non fosse stato esposto nei documenti precedentemente citati e ciò potrebbe indurre a concludere che, esattamente come già fatto dal Legislatore del 2006, anche quello del 2023 abbia voluto vincolare le Amministrazioni alla sola previsione di clausole revisionali, non anche alla effettiva attuazione dell’istituto, rispetto alla quale sarebbe da riconoscere ancora oggi, come già in passato, un margine di discrezionalità in capo alla Committente.
Tale conclusione è tuttavia palesemente smentita dalla proposta di correttivo al codice attualmente in discussione.
Dalla lettura del comma 1 dell’art. 3 dell’allegato II.2 – bis annesso alla bozza di correttivo, emerge l’intendimento del Legislatore di chiarire che è specifico dovere delle Stazioni Appaltanti quello di monitorare l’andamento degli indici di riferimento.
Ne deriva che, non soltanto la mancata applicazione dell’istituto revisionale, ma anche il solo mancato rilevamento degli indici potrebbe dar corso a responsabilità della Amministrazione nei confronti dell’appaltatore.
Tale previsione trova coerente contrappunto nel successivo comma 2, allorché il Legislatore esprime la volontà di rendere l’istituto revisionale ad attivazione automatica da parte dell’Amministrazione – “anche in assenza di istanza di parte”.
Non può sfuggire la portata innovativa e dirompente della norma. Essa esprime appieno l’intento di rendere la revisione uno strumento di indicizzazione automatica che l’Amministrazione deve attuare in piena autonomia.
Mai, in precedenza, malgrado il lungo trascorso normativo dell’istituto in questione, esso era stato definito in termini così perentori e aderenti a quelli di un vero e proprio diritto potestativo.
L’adeguamento dei prezzi diviene così, il frutto di una mera operazione matematica del tutto scevra da profili di incertezza, soggezione o arbitrarietà, da attuarsi in automatico, senza alcun margine di discrezionalità né alcuna necessità di confronto o condivisione.
Andrebbe totalmente rivisto, in quest’ottica, l’assioma relativo al riparto di giurisdizione in merito all’istituto in parola. Le dinamiche di attuazione dello stesso, già oggi, privano l’Amministrazione di qualsivoglia potere autoritativo tecnico-discrezionale nei confronti del privato contraente; di talché la posizione di quest’ultimo si atteggia sin da subito in guisa di diritto soggettivo e non più quale interesse legittimo sino all’adozione di un espresso provvedimento attributivo da parte della Amministrazione, come invece ritenuto in passato e come sostenuto dai fautori del doppio canale di giurisdizione[16].
Se ne potrebbe agevolmente dedurre che unico competente a conoscere di controversie vertenti sulla clausola revisionale, attenendo le stesse a posizione di puro diritto soggettivo, dovrebbe essere riconosciuto il solo Giudice Ordinario, con buona pace – e, probabilmente, con profondo sollievo – del Giudice Amministrativo.
Come tale interpretazione possa conciliarsi con la riserva di giurisdizione dettata dall’art. 133, c.1, lett. e, n. 2 del D.Lgs. n. 104 del 2010, è agevolmente comprensibile facendo riferimento alla più recente giurisprudenza in forza della quale “ nelle controversie relative alla clausola di revisione del prezzo negli appalti di opere e servizi pubblici, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in conformità alla previsione di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. e), n. 2), sussiste nell’ipotesi in cui il contenuto della clausola implichi la permanenza di una posizione di potere in capo alla P.A. committente, attribuendo a quest’ultima uno spettro di valutazione discrezionale nel disporre la revisione, mentre, nella contraria ipotesi in cui la clausola individui puntualmente e compiutamente un obbligo della parte pubblica del contratto, deve riconoscersi la corrispondenza di tale obbligo ad un diritto soggettivo dell’appaltatore, il quale fa valere una mera pretesa di adempimento contrattuale, come tale ricadente nell’ambito della giurisdizione ordinaria”[17].
In presenza di una clausola revisione che, ai sensi dell’art. 60, c.1, D.Lgs. 36/2023, sia idonea – di per sé stessa ovvero per rinvio alla dettagliata normativa posta in materia – a definire puntualmente l’an ed il quantum del compenso revisionale, quindi, ogni controversia relativa a quest’ultimo non darebbe adito a giurisdizione del G.A., ma ricadrebbe senz’altro in quella del G.O.

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Note


[1] Già nel decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 1947, n. 1501, intitolato “Nuove disposizioni per la revisione dei prezzi contrattuali degli appalti di opere pubbliche” l’istituto in questione risultava espressamente disciplinato e che poi la disciplina è stata ripresa e rivista con Legge 19 febbraio 1970, n. 76 rubricata “Norme per la revisione dei prezzi degli appalti di opere pubbliche”.
[2] ex multis Consiglio di Stato sez.V 9/6/2008 n. 2786, Tribunale Amministrativo Regionale Sardegna sez.I 28/7/2008 n. 1571
[3] ex multis Consiglio di Stato sez.V 7/9/2004 n. 5844; Consiglio di Stato sez.V 6/9/2007 n. 4679
[4] ex multis Consiglio di Stato sez.V 6/9/2007 n. 4679
[5] ex multis Consiglio di Stato sez.V 8/5/2002 n. 2461; Consiglio di Stato, Sezione V, 19 febbraio 2003, n. 916.
[6] ex multis  Consiglio di Stato sez.VI 19/6/2009 n. 4065
[7] ex multis Tribunale Amministrativo Regionale Puglia Bari sez.I 13/10/2004 n. 4446; Cons. Stato, sez.V 13/3/2006 n. 1295
[8] ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 06.08.2018 n. 4827
[9] art. 72 della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014; Corte di Giustizia 19 giugno 2008, C454/06, 17 settembre 2016, C-549/14, 19 aprile 2018, causa C-152/17
[10] ex multis Consiglio di Stato Sez. V, 17 febbraio 2010 n. 935
[11] ex multis Cons. Stato, Sez. III, 25/03/2019, n. 1980
[12] ex multis Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza n. 4362 del 19-07-2011; conforme Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275; id., 24 gennaio 2013 n. 465
[13] cfr. in tal senso T.A.R. Napoli, Sez. I, n. 2306/2014; T.A.R. Milano, Sez. I, n. 435/2021
[14] Sul punto è interessante notare che la stessa legge delega 21 giugno 2022, n. 78, all’art. 1, c. 2, lett. g), prevedeva che l’istituto revisionale dovesse essere attivabile “al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva e non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta”. Coerentemente al disposto della delega, peraltro, anche la relazione di accompagnamento alla proposta redatta dalla Commissione incaricata confermava di aver fedelmente “previsto, sempre al comma 2, che all’origine delle variazioni dei prezzi che renderanno in concreto attivabile il meccanismo della revisione siano ‘particolari condizioni di natura oggettiva, non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta’. Particolarmente delicato e complesso è stato, dunque, conciliare l’opzione di indicizzazione con la caratteristica dell’imprevedibilità delle variazioni: per garantire la coerenza del nuovo sistema si è così concentrata l’attenzione sia sul profilo temporale della valutazione dell’imprevedibilità (‘imprevedibili al momento della formulazione dell’offerta’) sia sul dato quantitativo di essa (variazioni imprevedibili nel quantum)”. Nella versione definitiva approvata dal Governo, tuttavia, ogni riferimento alla imprevedibilità delle condizioni legittimanti è del tutto scomparso. Ciò indica chiaramente che il Legislatore abbia voluto consapevolmente rimuovere detto requisito e conferma che esso non è assolutamente essenziale ai fini della applicazione dell’istituto revisionale.
[15] Sul punto appare dirimente il riferimento alla bozza di correttivo da ultimo approvata dal Consiglio dei Ministri n. 101 del 21.10.2024, ove è espressamente chiarito che debba farsi riferimento alla “soglia del 5 per cento dell’importo del contratto quale risultante dal provvedimento di aggiudicazione”
[16] La legge delega 21 giugno 2022, n. 78, all’art. 1, c. 2, lett. g). In linea con quanto richiesto dal Parlamento, la Commissione incaricata dal Governo ha elaborato una disciplina che “Tra i possibili meccanismi di funzionamento della revisione (sostanzialmente riassumibili sotto le due categorie dei sistemi di compensazione e di quelli di indicizzazione) si è scelto, al comma 2, un modello di indicizzazione, per alcuni profili ispirato a quello esistente nell’ordinamento francese, allo scopo di facilitare e rendere più rapida e ‘sicura’ l’applicazione della revisione”.
[17] In tal senso, un’embrionale presa di coscienza può essere ravvisata ex multis in TAR LAZIO di Roma – sez. II S – SENTENZA 17 febbraio 2023 N. 2827; TAR Campania Napoli sez. II 21 maggio 2024 n. 3281,  Cass. civ. sez. un., ord. n. n. 35952 del 2021; Cons. Stato, sez. III, n. 7291 del 2023.
[18] Cassazione Civile, Sezioni Unite, ordinanza n. 35952 del 2021, conforme TAR Napoli sez. II 21 maggio 2024 n. 3281,

Vito Pagliarulo

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