Responsabilità della P.A. ex art. 2043 c.c. per omesso esercizio del potere autoritativo

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Sussiste la responsabilità diretta della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 2043 c.c. per il fatto penalmente illecito commesso dalla persona fisica appartenente all’amministrazione quando sia stato illegittimamente omesso l’esercizio del potere autoritativo?

Sulla base di quanto esposto dalle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema con la sentenza 16 maggio 2019 n. 13246, ricostruirò, anzitutto, il dibattito esistente sulla responsabilità civile della pubblica amministrazione. Mi soffermerò su alcuni passaggi di tale sentenza fino al § 1.6., ove indicherò il principio di diritto formulato dalle Sezioni Unite.
Dopodiché – sulla base del parere espresso dalla Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, con la sentenza 10 gennaio 2023 n. 365 – risponderò al quesito se sia o meno ravvisabile la responsabilità diretta della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 2043 c.c. per il fatto penalmente illecito commesso dalla persona fisica appartenente all’amministrazione quando sia stato illegittimamente omesso l’esercizio del potere autoritativo. Il § 2.2. contiene il principio di diritto enunciato con tale provvedimento.

Indice

1. Sulla responsabilità civile della pubblica amministrazione, alla luce della sentenza della Corte di cassazione civile, sez. Unite, 16 maggio 2019 n. 13246

Ripercorrerò parte dell’itinerario argomentativo adottato dalle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema: la sentenza consta di 29 pagine.
Sul fatto e sulle pronunce rese all’esito dei giudizi di primo grado e di appello:
L’attore – sulla base della contestazione dell’illecita sottrazione da parte di un Cancelliere di somme di denaro depositate presso un ufficio giudiziario ed alle quali avrebbe avuto diritto quale parte di un giudizio di divisione – convenne in giudizio il Cancelliere ed il Ministero della Giustizia, chiedendone la condanna al al risarcimento del danno a lui derivato dalla condotta illecita del Cancelliere, il quale, dopo essersi appropriato di tali somme, era stato condannato per peculato.
Si costituì in giudizio il Ministero della Giustizia, mentre rimase contumace il Cancelliere. All’esito del primo grado di giudizio, venne condannato il Ministero di Giustizia a risarcire i danni. Successivamente, nel giudizio di appello, venne rigettata la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del Ministero, perché il suo dipendente aveva agito per un fine strettamente personale ed egoistico, estraneo all’Amministrazione e addirittura contrario ai fini che essa perseguiva, idoneo ad escludere ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell’agente. La vittima del peculato del Cancelliere propose, allora, ricorso per cassazione. Fu disposta la rimessione alle Sezioni Unite Civili.
Sulla questione oggetto della controversia:
L’ordinanza di rimessione identifica come oggetto della controversia la questione della sussistenza o meno della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione per i danni cagionati dal fatto penalmente illecito del dipendente  quando costui abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee all’amministrazione di appartenenza; ed individua la ragione della sua devoluzione alle Sezioni Unite nella rilevata, non univocità, sul punto, delle conclusioni della giurisprudenza di legittimità.
La prevalente giurisprudenza civile di legittimità:
La prevalente giurisprudenza di legittimità ha ravvisato il fondamento della responsabilità dello Stato e degli enti pubblici nell’art. 28 della Costituzione; norma (basata sul rapporto di immedesimazione organica) dalla quale ha desunto la configurazione di una responsabilità diretta o per fatto proprio, ma soltanto se l’attività dannosa si atteggi come esplicazione dell’attività dello Stato o dell’ente pubblico e cioè tenda, sia pur con abuso di potere, al conseguimento dei suoi fini istituzionali, nell’ambito delle attribuzioni dell’ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto. Ne conseguirebbe l’esclusione della responsabilità dello Stato e degli enti pubblici in tutti i casi in cui la condotta del funzionario o del dipendente sia sorretta da un fine esclusivamente privato od egoistico o (a maggior ragione) contrario ai fini istituzionali dell’ente.
 La giurisprudenza penale di legittimità:
La giurisprudenza penale di legittimità – almeno in tempi recenti – configura la responsabilità civile dello Stato e degli enti pubblici anche per le condotte dei pubblici dipendenti dirette a perseguire, tramite la realizzazione di un reato doloso, finalità esclusivamente personali, qualora poste in essere sfruttando l’occasione necessaria offerta dall’adempimento delle funzioni pubbliche cui essi sono preposti ed integranti il non imprevedibile sviluppo di un non corretto esercizio di tali funzioni, in applicazione del criterio previsto dall’art. 2049 c.c.
Sull’ambito di operatività dell’art. 28 della Costituzione:
Per quanto riguarda il dibattito dottrinale, è invalso il riconoscimento della natura concorrente o solidale delle due responsabilità, cioè quella dello Stato o dell’ente pubblico e quella del soggetto agente. La responsabilità della pubblica amministrazione è ricostruita come diretta, in virtù del rapporto di immedesimazione organica, dovendo comunque escludersi che l’attività compiuta al di fuori dei compiti istituzionali dal pubblico funzionario o dipendente potesse imputarsi allo Stato o all’ente pubblico.
La prevalente dottrina pubblicistica:
Secondo la prevalente dottrina pubblicistica, l’innovazione introdotta dall’art. 28 della Costituzione consisterebbe nella previsione, accanto alla responsabilità diretta della pubblica amministrazione, di una concorrente responsabilità, sempre diretta, del funzionario o del dipendente, che invece, nel sistema previgente, poteva essere chiamato a rispondere, in solido con l’ente di appartenenza, solo nel caso in cui tale responsabilità solidale fosse prevista da specifiche disposizioni di legge. Quindi, la norma costituzionale avrebbe disegnato un sistema fondato su due responsabilità concorrenti e solidali, entrambe dirette, spettando esclusivamente al danneggiato la scelta se far valere l’una o l’altra o entrambe. 
La giurisprudenza amministrativa:
La giurisprudenza amministrativa è ferma nel ritenere interrotta l’imputazione giuridica dell’attività posta in essere da un organo della pubblica amministrazione nei casi in cui siano posti in essere fatti di reato, o di atti adottati in ambienti collusivi penalmente rilevanti, o comunque quando il soggetto agente, legato alla P.A. da un rapporto di immedesimazione organica, abbia posto in essere il provvedimento amministrativo, frutto del reato contro la P.A., nell’ambito di un disegno criminoso e quindi perseguendo un interesse personale del tutto avulso dalle finalità istituzionali dell’Ente.
La Corte Costituzionale:
La Corte Costituzionale ha reiteratamente statuito che l’art. 28 della Costituzione stabilisce la responsabilità diretta per violazione di diritti tanto dei dipendenti pubblici per gli atti da essa compiuti, quanto dello Stato o degli enti pubblici, rimettendone la disciplina dei presupposti al legislatore ordinario, con la precisazione che la responsabilità dello Stato o dell’ente pubblico può essere fatta valere anteriormente o contestualmente a quella dei funzionari e dei dipendenti, non avendo carattere sussidiario. 
Sull’ambito di operatività dell’art. 2049 del Codice Civile:
L’art. 2049 del Codice Civile prevede una responsabilità oggettiva per fatto altrui. Si tratta di un’applicazione moderna del principio cuius commoda eius et incommoda, in forza del quale l’avvalimento, da parte di un soggetto, dell’attività di un altro per il perseguimento di propri fini comporta l’attribuzione al primo di quella posta in essere dal secondo nell’ambito dei poteri conferitigli. Dalla correlazione di tale responsabilità ai vantaggi che sia lecito per il preponente attendersi dall’avvalimento dell’altrui operato la giurisprudenza civile di legittimità per i rapporti privatistici di preposizione e quella più recente penale di legittimità hanno ricavato la necessità di un nesso di occasionalità necessaria tra esercizio delle incombenze e danno al terzo (quale ultimo elemento costitutivo della fattispecie, oltre al rapporto di preposizione ed all’illiceità del fatto del preposto). In virtù di tale ricostruzione, il nesso di occasionalità necessaria (e la responsabilità del preponente) sussiste nella misura in cui le funzioni esercitate abbiano determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo, nel quale caso è irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali, alla condizione, però, che la condotta del preposto costituisca pur sempre il non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni, non potendo il preponente essere chiamato a rispondere di un’attività del preposto che non corrisponda, neppure quale degenerazione od eccesso, al normale sviluppo di sequenze di eventi connesse all’espletamento delle sue incombenze. Pertanto, chi si avvale dell’altrui operato in tanto può essere chiamato a rispondere delle conseguenze dannose delle condotte del preposto in quanto egli possa ragionevolmente raffigurarsi, per prevenirle, le violazioni o deviazioni dei poteri conferiti o almeno tenerne conto nell’organizzazione di propri rischi.
Sulla natura della responsabilità dello Stato e degli enti pubblici:
Nessuna ragione giustifica, nell’attuale contesto socio-economico, un trattamento differenziato dell’attività dello Stato o dell’ente pubblico rispetto a quella di ogni altro privato, quando la prima non sia connotata dall’esercizio di poteri pubblicistici. Va, quindi, riconsiderato il preponderante orientamento civilistico dell’esclusione della responsabilità in ipotesi di condotte contrastanti coi fini istituzionali o sorrette da fini egoistici. In particolare, deve ammettersi la coesistenza di due sistemi ricostruttivi, quello della responsabilità diretta soltanto in forza del rapporto organico e quello della responsabilità indiretta o per fatto altrui: entrambi sono validi, poiché il primo non esclude il secondo ed ognuno viene in considerazione a seconda del tipo di attività della P.A. di volta in volta compiuta. L’art. 28 della Costituzione è finalizzato ad escludere l’immunità dei funzionari per gli atti di esercizio del potere pubblico e non preclude affatto l’applicazione della normativa del codice civile. La concorrente responsabilità della pubblica amministrazione e del suo dipendente per i fatti illeciti compiuti da quest’ultimo al di fuori delle finalità istituzionali di tale amministrazione deve essere valutata – in mancanza di deroghe normative espresse – in virtù delle regole del diritto comune. Pertanto, se la condotta lesiva del soggetto agente (funzionario o dipendente) viene posta in essere nell’ambito dell’esercizio, pur se eccessivo o illegittimo, delle funzioni conferitegli ed oggettivamente finalizzate al perseguimento di scopi pubblicistici, allora l’illecito è riferito direttamente all’ente, che ne risponderà ai sensi dell’art. 2043 c.c. Se la condotta lesiva del soggetto agente viene posta in essere approfittando della titolarità o dell’esercizio di tali funzioni (o poteri o attribuzioni) sia pur piegandole al perseguimento di fini obiettivamente estranei o contrari a quelli pubblicistici in vista dei quali erano state conferite, allora la responsabilità civile dell’ente sarà indiretta, per fatto del proprio dipendente o funzionario, in forza di principi corrispondenti a quelli elaborati per ogni privato preponente e desunti dall’art. 2049 c.c. In entrambi i casi sussisterà la responsabilità concorrente e solidale del funzionario o dipendente, salvo eventuali limitazioni espressamente previste (si pensi, ad esempio, per il personale scolastico, all’art. 61 della Legge n. 312/1980) e salvo un’esplicita diversa previsione normativa che, ad esempio per la peculiarità della specifica materia, mandi esente da responsabilità l’ente pubblico e mantenga esclusivamente quella dell’agente o viceversa. Ne deriva che è ravvisabile – in virtù dell’applicazione all’attività non provvedimentale (o istituzionale) della pubblica amministrazione dei principi della responsabilità indiretta elaborati per l’art. 2049 c.c.  – la concorrente e solidale responsabilità dello Stato o dell’ente pubblico per i danni causati da condotte del preposto pubblico definibili come corrispondenti ad uno sviluppo oggettivamente non improbabile delle normali condotte di regola inerenti all’espletamento delle incombenze o funzioni conferite, anche quale violazione o come sviamento o degenerazione od eccesso, purché anche essi prevenibili perché oggettivamente non improbabili.
Sul principio di diritto e sulla sua concreta applicazione:
Il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite Civili è questo: «lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle dell’amministrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi – non sarebbe stato possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo»
Nel caso esaminato, non risultava contestato che le funzioni attribuite al Cancelliere comprendessero anche quelle di custodia o di cooperazione nella custodia delle somme giacenti su libretto di deposito giudiziario, ricavate nelle fasi di un giudizio civile (di divisione) e funzionalizzate al perseguimento dello scopo istituzionale della loro consegna agli aventi diritto. La violazione del divieto di distrarre quelle somme dal loro fine istituzionale era oggettivamente non improbabile ed era, inoltre, prevenibile da chi conferisca ad altri il potere di custodire somme o di eseguire ordini o mandati di pagamento. Il Cancelliere infedele ha potuto appropriarsi di quelle somme proprio e soltanto perché era titolare di quelle attribuzioni o funzioni o poteri, sia pure piegandoli a fini eminentemente personali od egoistici ed oltretutto delittuosi, accedendo alla cassaforte in cui il libretto era custodito o comunque impossessandosene, falsificando la firma del responsabile del mandato di pagamento ed accedendo presso il depositario per riscuoterlo simulando l’attuazione di un atto amministrativo legittimamente emesso. Pertanto, del danno conseguente a tale complessiva condotta criminosa – obiettivamente prevenibile – non può che essere responsabile in solido l’ente pubblico da cui il funzionario dipendeva.
Corte di Cassazione -SS.UU. civ.- sentenza n. 13246 del 16-05-2019 <<<

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2. Sulla sentenza della Corte di cassazione civile, sez. III, 10 gennaio 2023 n. 365

Questa recentissima sentenza aderisce espressamente all’impostazione adottata dalle Sezioni Unite Civili con la sentenza n. 13246/2019 e ravvisa una fattispecie connotata dalle responsabilità diretta di un Comune ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Sul fatto e sulle pronunce rese all’esito dei giudizi di primo grado e di appello:
La ricorrente, nel primo grado del giudizio, chiese la condanna di un Sindaco, del relativo Comune, del Ministero degli Interni e della Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni da lei subiti, iure proprio e iure hereditatis, in conseguenza del decesso – verificatosi nel contesto di una tragica alluvione – di sua madre e suo fratello. Le amministrazioni dello Stato, nel costituirsi in giudizio, agirono in regresso nei confronti del Sindaco (già condannato in sede penale) e del Comune. Il Tribunale accolse la domanda e condannò tutti i convenuti in solido al risarcimento dei danni; accolse, inoltre, la domanda di regresso proposta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministro dell’Interno nei confronti del Sindaco, condannandolo a pagare le somme che le amministrazioni già indicate avrebbero versato alla parte ricorrente; rigettò, infine, la domanda di regresso proposta dalle stesse amministrazioni nei confronti del Comune.
L’appello principale proposto dalla Presidenza del Consiglio e dal Ministero dell’Interno venne rigettato. La Corte di Appello sostenne che responsabile diretto dei decessi di cui si dibatteva era il Sindaco, il quale era l’unico autore delle condotte penalmente rilevanti causative dell’evento dannoso, mentre il Comune e le Amministrazioni dello Stato erano solo responsabili civili indiretti in forza dell’art. 28 della Costituzione, a prescindere dalla colpa e dalle regole di causalità del fatto. Conseguentemente, sempre secondo la Corte di Appello, le Amministrazioni dello Stato avevano diritto di agire in regresso per l’intero nei confronti dell’autore immediato del fatto antigiuridico (il Sindaco), mentre non potevano promuovere l’azione prevista dall’art. 2055 comma 2 c.c. nei confronti del Comune, in quanto altro responsabile civile parimenti incolpevole. Il Ministero dell’Interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri proposero ricorso per cassazione.
Sul principio di diritto:
La Corte Suprema ha accolto il ricorso e si è così espressa.
Ø  Il comportamento della P.A. che può dar luogo al risarcimento del danno per il fatto penalmente illecito del dipendente o si riconduce all’estrinsecazione del potere pubblicistico e cioè ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, oppure si riduce ad una mera attività materiale, disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali. Nel primo caso, l’immedesimazione organica di regola pienamente sussiste ed è allora ammessa la responsabilità diretta in forza della sicura imputazione della condotta all’ente. Nel secondo caso, ove pure vada esclusa l’operatività del criterio di imputazione pubblicistico fondato sull’attribuzione della condotta del funzionario o dipendente all’ente, opera, nei limiti indicati dalle Sezioni Unite, il diverso criterio della responsabilità indiretta, per fatto del proprio dipendente o funzionario, in forza di principi corrispondenti a quelli elaborati per ogni privato preponente e desunti dall’art. 2049 c.c.     
Ø  L’attività colposa che viene in rilievo (cioè, quella del Sindaco, già condannato in sede penale) non è meramente materiale ed estranea ai compiti istituzionali, tale da essere legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri esercitati – alle condizioni indicate dalle Sezioni Unite -, ma è istituzionale nel senso di estrinsecazione di pubblicistiche ed istituzionali potestà. La circostanza che l’attività non sia per lo più collegata ad un formale provvedimento amministrativo ed integri piuttosto una condotta di tipo omissivo non muta i termini della questione poiché l’omessa adozione di un provvedimento amministrativo non costituisce comportamento materiale, ma illegittima condotta istituzionale (peraltro al Sindaco risultano imputate anche condotte di carattere commissivo sotto il profilo delle notizie imprudentemente rassicuranti fornite durante l’emergenza in corso). L’attribuzione del potere illegittimamente non esercitato è criterio di responsabilità dell’autorità rimasta inerte, per cui non esercitare il potere non è un contegno meramente materiale della persona fisica, ma azione amministrativa illegittima ove quel potere doveva essere esercitato.
Ø  Costituendo manifestazione di attività istituzionale anche l’omesso esercizio di potestà pubblica, la responsabilità del Comune nel caso di specie ha carattere diretto ai sensi dell’art. 2043 c.c., per cui, alla stregua dell’assunto del giudice di merito, secondo cui il regresso ai sensi del secondo comma dell’art. 2055 c.c. può essere esercitato solo nei confronti del responsabile diretto, ben può essere proposta l’azione delle Amministrazioni statali ricorrenti (non solo nei confronti del Sindaco, ma anche) nei confronti del Comune.
Il principio di diritto formulato dalla Cassazione è questo: “sussiste la responsabilità diretta della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 2043 c.c., per il fatto penalmente illecito commesso dalla persona fisica appartenente all’amministrazione, tale da far reputare sussistente l’immedesimazione organica con quest’ultima, non solo in presenza di formale provvedimento amministrativo, ma anche quando sia stato illegittimamente omesso l’esercizio del potere autoritativo”. Pertanto, non esercitare il potere (omessa adozione di un provvedimento amministrativo) non è un contegno meramente materiale della persona fisica, ma azione amministrativa illegittima ove quel potere doveva essere esercitato; azione amministrativa illegittima da cui può derivare a carico della pubblica amministrazione l’obbligo di risarcire il danno ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Corte di Cassazione -sez. III civ.- sentenza n.365 del 10-01-2023

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Le responsabilità della pubblica amministrazione

L’opera nasce con l’intento di offrire al lettore (Magistrato, Avvocato, Funzionario pubblico) una guida indispensabile per affrontare un tema cui sono sottese sempre nuove questioni: quello delle ipotesi di responsabilità dell’amministrazione pubblica. Avuto riguardo ai più recenti apporti pretori e alla luce degli ultimi interventi del Legislatore (L. 9 gennaio 2019, n. 3, cd. Legge Spazzacorrotti), il taglio pratico-operativo del volume offre risposte puntuali a temi dibattuti sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto il profilo processuale. L’opera, che si articola in 23 capitoli, tratta i temi della responsabilità della P.A. da provvedimento illegittimo, da comportamento illecito, per l’inosservanza del termine del procedimento, sotto il profilo amministrativo-contabile, in materia urbanistica ed edilizia, per attività ablative, nella circolazione stradale, per danno da illecito trattamento dei dati personali, di tipo precontrattuale, in ambito scolastico. Si affrontano ancora, oltre al tema del danno all’immagine della P.A., i temi della responsabilità: disciplinare del dipendente pubblico; dirigenziale; dei dipendenti pubblici per la violazione delle norme sulla incompatibilità degli incarichi; delle Forze armate; della struttura sanitaria pubblica per attività posta in essere dal medico; delle authorities finanziarie; nell’amministrazione della giustizia. Affiancano la materia dell’amministrazione digitale – i cui profili di novità ne rendono indispensabile la conoscenza – i temi della responsabilità nel diritto europeo, della responsabilità dello Stato per la violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e, infine, della responsabilità penale della pubblica amministrazione. Il lettore che voglia approfondire temi di suo interesse è aiutato nell’attività di ricerca dalla presenza di una “Bibliografia essenziale” che correda ogni capitolo del volume.   Giuseppe CassanoDirettore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato nell’Università Luiss di Roma. Studioso dei diritti della personalità, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato oltre un centinaio di opere in tema, fra volumi, trattati, saggi e note.Nicola PosteraroAvvocato, dottore e assegnista di ricerca in Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano, è abilitato allo svolgimento delle funzioni di professore associato di diritto amministrativo e collabora con le cattedre di diritto amministrativo, giustizia amministrativa e diritto sanitario di alcune Università. Dedica la sua attività di ricerca al diritto amministrativo e al diritto sanitario, pubblicando in tema volumi, saggi e note.

Giuseppe Cassano, Nicola Posteraro (a cura di) | Maggioli Editore 2019

Angelo Ippoliti

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