Responsabilità degli amministratori di società di capitali

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Il principio della Business Judgment Rule applicato alle scelte organizzative degli amministratori alla luce del nuovo codice di crisi dell’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 14/2019).

SOMMARIO: parte1: profili generali.  1. riferimenti normativi della business judgment rule nell’ordinamento italiano. parte 2: il principio della business judgment rule e la sua trasposizione nell’ordinamento italiano. 2. sintesi della disciplina della responsabilità degli amministratori, in particolare verso la società. 3. evoluzione del principio e trasposizione nell’ordinamento italiano. parte 3: decreto allegato del tribunale di roma sedicesima sezione civile, sezione specializzata in materia di impresa. 4. sintesi del decreto. parte 4: analisi del paragrafo 3 del decreto. 5. coordinamento degli articoli 2392 c.c. e 2476 c.c. 6. riferimento alla sentenza di cassazione 18 marzo 2005, n. 5960. parte 5: applicazione del principio della business judgment rule al caso di specie. 7. i criteri di applicazione del principio della business judgment rule. 8. i limiti di applicazione del principio. 9. ragionevolezza o razionalità? cass., n. 15470. conclusioni. parte 6: situazione attuale al nuovo codice di crisi dell’impresa ( d.lgs. 14/2019) e possibili problemi societari.

parte |: profili generali.

  1. Riferimenti normativi del principio della business judgment rule nell’ordinamento italiano.

Sul fronte normativo italiano il principio della Business judgment Rule è rintracciabile non solo nell’art.2392/ 2381/ 2475 c.c. bensì anche in una serie di sentenze di vari tribunali e indirizzi della Corte di Cassazione.

Un primo riferimento si trova nella sentenza di Cass., 12 novembre 1965, n 2359, con successive pronunce di chiarimento per poi arrivare all’affermazione esplicita con la sentenza di Cass., 16 gennaio 1982, n. 280.

Decisiva è la sentenza di Cass., 28 aprile 1997, n 3652 per tracciare l’indirizzo che debbono seguire gli amministratori nella gestione dell’impresa per concludere con la sentenza di Cassazione del 24 agosto 2004, n.16707.

Sotto l’aspetto giurisprudenziale è da sottolineare la rilevanza in materia della sentenza del Tribunale di Roma del 2015 e del Tribunale di Milano del 2011.

 

parte ||: il principio della business judgment rule e la sua trasposizione nell’ordinamento italiano.

 

  1. Sintesi della disciplina della responsabilità degli amministratori, in particolare verso la società.

Gli amministratori sono responsabili civilmente del loro operato in tre direzioni:

verso la società (art.2392- 2393 c.c.), verso i creditori sociali ( art. 2394 c.c.) e verso i singoli soci o terzi ( art. 2395 c.c.).

In relazione alla responsabilità verso la società, in virtù della attuale disciplina gli amministratori rispondono dei danni subiti dalla società quando non adempiono secondo i doveri impostigli dalla legge o dallo statuto secondo l’ordinaria diligenza professionale di un amministratore di una società. Il modello di amministrazione all’interno della S.R.L non è più, conseguentemente alle novità apportate dal nuovo codice di crisi dell’impresa e dell’insolvenza in materia di modelli di amministrazione, inderogabilmente rimesso solo ad una parte di soci-amministratori bensì sussiste la facoltà di costituire un C.D.A ( consiglio di amministrazione).

Dunque gli amministratori in una società di capitali possono essere anche più di uno, essi sono responsabili solidalmente; ciascuno può essere costretto dalla società a risarcirle l’intero danno subito.

Possibile è l’ipotesi di amministratori con funzioni delegate, come nel caso di specie, il che non comporta che gli altri siano esonerati da suddetta responsabilità solidale.

Infatti è vero che l’attuale disciplina non pone a capo degli amministratori il dovere di vigilanza della gestione dell’impresa ma ciò non comporta che su di questi sussista l’obbligo di agire in modo informato e, che l’art.2381. 3° co. c.c., pone a carico degli amministratori il dovere di valutare, l’andamento generale della gestione.

3. Evoluzione del principio e trasposizione nell’ordinamento Italiano.

Se si osserva attentamente, si potrà ravvisare nel lungo percorso evolutivo-normativo relativo al concetto di responsabilità degli amministratori che ben prima del codice civile del 1942, lo stesso Ascarelli aveva teorizzato una tesi riguardo alle società basata sulla distinzione del concetto di mandato ed autonomia dell’organo amministrativo.

Successivamente all’entrata in vigore del Codice Civile del 1942, è ravvisabile una disciplina basata sull’idea del mandato ma con la distinzione dell’autonomia dell’organo amministrativo come propugnato dallo stesso Ascarelli.

La domanda che sorge spontanea è il motivo per il quale rimane ancora questo brandello di riferimento al mandato e la risposta è tranquillamente ravvisabile nell’art.2392 c.c. che prescrive le modalità con cui gli amministratori debbono adempiere ai propri doveri ossia con la “diligenza del mandatario”.

Ulteriormente ravvisabile è anche come il mandato è impiegato dal disposto normativo dell’art. 2392 c.c. come mezzo di determinazione del livello di diligenza esigibile all’amministratore sebbene però, le fonti dei poteri e doveri imputabili a questo siano da rintracciare nelle norme del Diritto Societario. Tant’è che la disciplina degli amministratori della società per azioni non fa riferimento ai diritti ed obblighi del mandatario ma solo alla diligenza esigibile allo stesso.

In Italia, con la Riforma del diritto delle società del 2003, il criterio della responsabilità degli amministratori verso la società è stato in qualche misura affinato.

Tant’è che è doveroso sottolineare l’enucleazione fornita dalla relazione illustrativa alla Riforma, la quale sottolineava il fatto che il suddetto criterio ossia la diligenza esigibile agli amministratori debba essere sinonimo non di professionalità in materia gestionale, finanziaria bensì una diligenza fondata sull’agire informato ed in maniera tale da non arrecare danni alla società.

La responsabilità degli amministratori nelle società di capitali necessariamente si incardina all’interno del genus della responsabilità da inadempimento ed infatti è possibile l’applicazione dei principi degli inadempimenti contrattuali.

La conseguenza della applicabilità dei suddetti principi è il riferimento all’ art.1218 c.c. in forza del quale la colpa degli amministratori si presume e conseguentemente sul piano processuale si atteggia come una responsabilità per dolo o colpa con una prova liberatoria della non imputabilità ossia prova della mancanza di colpa.

In ragione dell’art. 1218 c.c., anche nel caso di specie si può osservare come la stessa parte attrice abbia dovuto fornire in giudizio, ricorrendo ex art. 2392 – 2467 c.c. : a) la prova dell’inadempimento degli amministratori ( ossia che non hanno adempiuto con la diligenza agli obblighi impostigli richiesta ex lege o dall’atto costitutivo); b) il danno derivato all’attore da suddetto inadempimento.

Gli amministratori di società di capitali soggiacciono a numerosi obblighi di cui due fondamentali: 1) amministrare con la diligenza loro esigibile; 2) perseguire l’interesse sociale non in conflitto d’interessi ex art. 2392 c.c.

Il dibattito in merito alla responsabilità degli amministratori di società di capitali è incentrato sul come concepire l’area di gestione della società degli amministratori.

Essendo a conoscenza del fatto che questi sono tenuti ad agire secondo la diligenza loro esigibile e in maniera informata, si deduce che sono responsabili solo nella misura in cui abbiano violato questi obblighi, entro i quali non si può far ricomprendere la commissione di eventuali errori. Seguendo suddetto ragionamento si delinea una area di “potere discrezionale” in capo agli amministratori per cui; quando come nel caso di specie i convenuti debbono rispondere relativamente ad atti di mala gestio, tali atti  assumono una rilevanza in termini di responsabilità degli amministratori convenuti in riferimento ai danni che siano derivati da tali atti posti in essere dagli amministratori. Pertanto violando i rispettivi obblighi si tende ad includere, anche sebbene non esattamente verificabile ed quantificabile il danno da lucro cessante da perdita di chance.

Proprio in questa lettura si innesta la regola per la quale il giudice, come nel caso di specie, non può sindacare l’opportunità o la convenienza delle scelte degli amministratori perché rientranti nel loro potere discrezionale. Questo potrà, come si sta accertando nella sedicesima sezione civile del Tribunale di Roma, se le scelte in questione come ad esempio il mutamento del codice Ateco o l’assunzione dei dipendenti ancora durante la fase di start-up, se le scelte siano state compiute dai convenuti senza un conflitto di interesse e con le cautele, verifiche ed informazioni preventive esigibili dall’ordinaria diligenza professionale.

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parte |||: decreto allegato del tribunale di roma, sedicesima sezione civile, sezione specializzata in materia d’impresa.

 

  1. Sintesi del decreto.

Un applicazione del principio della Business Judgment Rule nonché dell’insindacabilità delle scelte organizzative degli amministratori nella gestione della società la si rintraccia nel giudizio intentato nei confronti della Enpam Sicura s.r.l o meglio nei confronti dei convenuti G.M e G.S dalla parte attrice quale la Fondazione Enpam.

La parte attrice chiede in giudizio la condanna dei convenuti per responsabilità per atti di mala gestio compiuti nell’adempimento dei specifici incarichi, rispettivamente di ex-presidente del c.d.a (consigliere delegato) e di ex direttore generale con consequenziale richiesta risarcitoria dei danni subiti per suddetto capo d’imputazione.

Inoltre ai sensi degli art. 671 e 669 quater c.p.c., la Fondazione Enpam chiede con un ricorso inaudita altera parte, il sequestro conservativo del patrimonio mobiliare, immobiliare, creditizio dei convenuti con l’applicazione degli interessi e rivalutazione ex-lege.

Gli atti di mala gestio che si addebitano ai convenuti nello svolgimento delle rispettive mansioni in relazione alla carica coperta sono esattamente l’aver omesso l’iscrizione della suddetta società nel registro delle imprese, l’aver cambiato il codice ATECO relativo all’attività assicurativa con un differente codice ATECO afferente ad altre attività di consulenza amministrativa; l’aver assunto in momenti differenti unità aggiuntive di personale , con un conseguente danno patrimoniale oggettivo per tutti i costi in entrata ed in uscita delle assunzioni, eccessive in relazione al periodo in cui sono state effettuate le assunzioni. Periodo corrispondente ancora alla fase di “start-up” ( meno di 4 anni ) per di più in attesa ancora sia dell’iscrizione del RUI e dell’autorizzazione dell’IVASS.

Infine l’ultimo atto di mala gestio imputato ai convenuti è l’aver emesso tre fatture, di importi assai elevati per prestazioni mai ricevute come dichiarato in giudizio dalla parte attrice.

La parte attrice conseguentemente all’ingentissimo danno patrimoniale comportato da suddetti atti di mala gestio dei convenuti, richiede il risarcimento del danno per la responsabilità dei convenuti in violazione del fumus bonis iuris e la misura cautelare del sequestro conservativo perché timorosa del periculum in mora dei convenuti.

 

parte |v: analisi del paragrafo 3 del decreto allegato del tribunale di roma.

5. Coordinamento degli articoli 2932 c.c e 2476 c.c.

Necessario, nel caso di specie, analizzare il coordinamento degli art. 2476 c.c. ed art. 2392 c.c.. L’art. 2476 disciplina la responsabilità degli amministratori della s.r.l  ed al comma primo si afferma che gli amministratori sono responsabili solidalmente per i danni arrecati alla società, derivanti dall’inosservanza dei doveri impostigli ex-lege o dall’atto costitutivo. Quindi il punto d’incontro con l’art. 2392 c.c. risiede che, anche in quest’ultimo si richiede una determinata diligenza dell’amministratore in relazione alla natura dell’incarico e delle competenze.

L’azione sociale di responsabilità ha una natura contrattuale in quanto trova fondamento in un inadempimento dei doveri imposti ex-lege o dall’atto costitutivo in capo agli amministratori.

Proprio in virtù di suddetto parallelismo di natura contrattuale dell’azione sociale di responsabilità è ricollegabile anche l’art. 2476 c.c. ovvero una responsabilità degli amministratori in termini colposi.

Dunque in applicazione dell’art. 2476, oltre alla diligenza esigibile agli amministratori, è necessario riconoscere a questi la possibilità di andare esenti da colpa mediante la prova positiva di essere immune da una eventuale colpa.

6. Pretesa risarcitoria nel caso di specie. ( cfr., Cass., 18 marzo 2005, n. 5960)

La parte attrice nel caso in esame ha richiesto oltretutto al sequestro conservativo per periculum in mora dei convenuti anche, il risarcimento dei danni derivati dagli atti di mala gestio.

Suddetta pretesa risarcitoria della parte attrice si configura come un quid pluris perché, a seguito di una sentenza di Cass., 18 marzo 2005, n. 5960 si è affermato che sia in caso di responsabilità extracontrattuale che contrattuale; ai fini della pretesa risarcitoria spetti al danneggiato, nel caso di specie la Fondazione Enpam, provare l’esistenza del danno lamentato e la riconducibilità alla mala gestio degli amministratori ossia dei convenuti, sig.ri G.M e G.S .

parte v: applicazione del principio della business judgment rule al caso in esame.

  1. Criteri di applicazione del principio della business judgment rule.

La responsabilità degli amministratori, nel caso di specie dei sig.ri G.M e G.S, per gli atti di mala gestio non può essere imputata a questi per il risvolto anti-economico delle scelte di gestione.

L’ esistenza di quest’area “ discrezionale” del potere degli amministratori è ribadita dall’art. 2392 c.c. che prescrive che all’amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità l’aver posto in essere atti anti-economici come ad esempio l’aver assunto ulteriore personale nella fase di start-up della società se non ciò possa rilevare tutt’al più per una legittimazione del c.d.a per la revoca dell’amministratore.

Conseguentemente si può delineare il fatto per cui la diligenza esigibile da un amministratore nella gestione di una società non può investire le scelte o le modalità o circostanze con cui son fatte tali scelte bensì esclusivamente l’eventuale omissione delle cautele, verifiche ed informazioni in relazione al tipo di scelta. ( cfr., Cass., 28 aprile 1997 , n. 3652)

La Business Judgment Rule ha una applicazione nel nostro ordinamento che presuppone l’esistenza di tre regole fondamentali riguardanti la fase decisionale degli stessi amministratori nella gestione della società:

1) L’amministratore deve sempre agire in modo informato e operare con cautela e diligenza a lui esigibile ex art. 2932, e per questo la società deve possedere un adeguato assetto organizzativo.

2) La decisione deve essere assunta nei limiti della legge e non in conflitto di interessi.

3)La decisione deve essere ragionevole.

8. Limiti di applicazione del principio.

Il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto perché la giurisprudenza ha elaborato due ordini di limiti alla sua operatività:

1)La scelta di gestione è insindacabile solo se questa sia stata legittimamente compiuta. (sindacato sul modo di assunzione della scelta gestionale)

2) la scelta di gestione è insindacabile solo se non è irrazionale. ( sindacato sulle ragioni che hanno portato a quella scelta)

Per quanto concerne il primo limite all’applicazione del principio è necessario operare un controllo sul processo decisionale che ha portato l’amministratore a compiere quella determinata scelta come nel caso di specie il mutamento del codice ATECO ossia se siano state adottate le necessarie cautele, verifiche, informazioni esigibili a questo ex art. 2392 c.c. .

9. Ragionevolezza o razionalità? Cass., n.15470

Relativamente al secondo limite in merito all’applicazione del principio ossia “la razionalità” della scelta ( sebbene la Cassazione .n 15470 parli di “ ragionevolezza della scelta medesima “ ) comporta che non solo è necessario che l’amministratore abbia posto in essere la diligenza esigibile in relazione al tipo di scelta e con le cautele, verifiche ed informazioni necessarie bensì è oltretutto necessario che queste abbiano condotto l’amministratore ad una scelta razionale.

Distinzione semantica operata dalla Cassazione poiché con il termine “Ragionevolezza” si identifica la qualità ( che deve possedere ogni amministratore nella gestione di una società) dell’agire con equilibrio.

Quindi si individua anche il rapporto che intercorre tra ragionevolezza e razionalità ovvero che Irragionevole è la decisione che non doveva essere assunta nel caso di specie ossia la gestione della società, mentre irrazionale è una decisione che non dovrebbe essere mai presa nella gestione di una società.

 

Conclusioni

parte v|: situazione attuale ex-post al nuovo codice di crisi dell’impresa (d.lgs. 14/2019) e possibili problemi societari.

La trasposizione del Principio della Business Judgment Rule nell’ordinamento italiano ha comportato importanti novità e mutamenti di concezioni in merito a cosa si debba intendere riguardo alla responsabilità degli amministratori per gli atti di gestione, per gestione dell’impresa sociale e per  predisposizione degli assetti organizzativi.

Rilevante è come il riferimento del principio sia costantemente l’art. 2392 c.c. in forza del quale all’amministratore non è imputabile l’aver compiuto una scelta anche economicamente svantaggiosa per il fatto che tale valutazione ricade nell’ambito discrezionale dell’imprenditore.

Da chiarire è quali siano gli atti che un amministratore può compiere liberamente esentandosi da una eventuale responsabilità e se vi rientrino anche la cura e valutazione dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società.

In relazione a questa funzione organizzativa è da sottolineare come questa rientri nell’ampio genus della gestione sociale e pertanto rientra in quell’area “discrezionale” dei poteri degli amministratori e conseguentemente in merito a tali decisioni deve trovare applicazione il principio della insindacabilità delle scelte.

Doveroso in ultimo sottolineare come il Nuovo Codice della Crisi d’impresa abbia modificato l’art. 2086, in forza del quale ora si prevede che in capo all’imprenditore societario o collettivo,  sussista l’obbligo di adottare un assetto organizzativo adeguato anche ai fini nel nuovo sistema di rilevazione tempestiva della crisi d’impresa e della perdita della continuità aziendale e quindi il dovere/obbligo di porre in essere tutti gli strumenti idonei a superare la crisi e recupero della continuità aziendale.

Questa modifica apportata all’art. 2086 permette di porre in rilievo il nesso intercorrente tra l’obbligo in capo agli amministratori di una società di predisporre un adeguato assetto organizzativo e l’obbligo di attivarsi per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale.

Con il nuovo Codice di Crisi dell’impresa quindi, si atteggia diversamente il principio della Business Judgment Rule poiché la violazione dei nuovi obblighi sopra esposti, comporta che la rispettiva violazione non sia riconducibile al generale criterio della diligenza esigibile bensì è la violazione di un obbligo specifico e determinato per cui sottratto alla applicazione del principio della Business Judgment Rule.

Nel caso di specie, se si accogliesse la nuova impostazione relativa all’impossibilità di applicazione del principio della insindacabilità delle scelte relative alla gestione della società da parte degli amministratori , comporterebbe che le scelte operate dai sig.ri G.M e G.S nelle rispettive cariche siano in violazione sia dell’obbligo di predisporre un assetto organizzativo stabile sia per la violazione del mancato attivarsi di questi per la rilevazione preventiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale.

In conclusione ed in opposta interpretazione si pone il giudice in questione al caso in esame, per il quale gli atti di mala gestio in relazione ai quali la parte attrice ha richiesto l’ingente risarcimento con i rispettivi interessi e rivalutazione ex-lege, sono rientranti nella discrezionalità dei poteri e scelte di gestione degli amministratori.

Il giudice in questione non accoglie la lettura per cui la predisposizione dell’assetto organizzativo vadi a configurare un obbligo a contenuto specifico quanto, in realtà è propenso per concepire suddetto atto di gestione come un atto rientrante all’interno dell’ampia categoria degli atti discrezionali nella gestione di un’impresa.

In Conclusione la scelta organizzativa rimane pur sempre una scelta afferente al merito gestorio, per cui vale l’applicazione del principio di insindacabilità e pur sempre nei limiti della legittimità della scelta e che tale scelta sia razionale ( o ragionevole) e che non sia fondata ab origine da un carattere di imprudenza a danno della società e soci e che sia per di più in aggiunta accompagnata da tutte le cautele, verifiche, informazioni imposte dalla natura dell’incarico in relazione a quanto disposto dall’art. 2392 c.c.

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Matteo Tofanelli

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