Responsabilità amministrativa per violazione del codice deontologico

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Prima parte

Colpa grave

Il sistema della colpa nel codice civile è fondato sul modello astratto del buon padre di famiglia, ma nell’adempimento delle obbligazioni inerenti l’esercizio di attività professionale il codice fa riferimento ad una forma attenuata di responsabilità basata sul dolo o colpa grave (art. 2236 c.c.) se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.

In sostanza la colpa consiste nel violare un criterio medio di diligenza adattabile alle varie circostanze, nel caso di colpa professionale la limitazione al dolo o alla colpa grave è giustificata dal rischio particolare che si impone all’agente.

Non si deve, comunque, sottovalutare il grado di diligenza ricompreso nel modello del buon padre di famiglia, in quanto la figura non fa affatto riferimento ad una diligenza media bensì costituisce un metro dell’attività diretta alla tutela e alla realizzazione di interessi altrui, si che vi è insita l’idea di una speciale sollecitudine che deve guidare l’obbligato nella sua attività.

Nel sistema del codice civile si è creata una doppia figura della colpa, una astratta fondata sul modello del buon padre di famiglia intesa come concezione psicologica della colpa, che si esaurisce in un nesso psichico fisso ed uguale tra l’agente ed il fatto ed un’altra normativa fondata su una reale graduazione della colpevolezza, in cui l’attenzione si sposta dalla verifica dell’inadempimento alla valutazione dell’azione colpevole, modellando la colpa secondo la diversità dei casi in rapporto alla maggiore o minore antidoverosità del comportamento del soggetto rispetto all’entità del danno.

Tuttavia a modellare la gravità della colpa si è considerato oggettivamente, anche se giurisprudenzialmente contrastato, il complesso dell’organizzazione amministrativa nel cui ambito si inserisce l’attività che si presume fonte del danno erariale. Pertanto il grado di colpevolezza richiesto è tanto più elevato quanto minore è la funzionalità complessiva dell’organizzazione in cui l’illecito va a collocarsi (Corte dei conti, SS.RR. 24/9/97, n. 66, contro SS.RR. 10/6/97, n. 56 e Sez. I, 14/1/97, n. 1).

L’art. 59, comma I del D. Lgs.vo n. 29/93 e seguenti modifiche conferma la disciplina attualmente vigente in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche questa viene a collegarsi con l’art. 3 della L. n. 639/96 nella parte in cui, ad integrazione della gravità della colpa, dispone che “nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrativa in relazione al comportamento degli amministratori e dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”.

Il potere riduttivo dell’addebito non consiste in una gratuita riduzione dello stesso, ma in una determinazione discrezionale dell’an e del quantum delle somme da porre a carico del responsabile in funzione della gravità della colpa.

Sempre l’art. 3 della L. n. 639/96, in rapporto con l’art. 82, c. 2° della legge di contabilità generale, esclude la responsabilità passiva dal campo della responsabilità amministrativa sottolineando il principio fondamentale della individualità della responsabilità derivante dalla concezione normativa della colpa.

Il principio della individualizzazione della colpa ha comportato l’affermarsi della personalità della responsabilità e quindi la intrasmissibilità della stessa agli eredi, in questo quadro si colloca il problema della limitazione della responsabilità amministrativa ai casi di dolo o colpa grave. Tale limitazione non significa che viene consentito un comportamento lassiste dei pubblici dipendenti, assoggettandolo all’azione risarcitoria solo quei comportamenti costituenti macroscopiche inosservanze dei doveri d’ufficio, bensì si tiene conto della complessità dei doveri d’ufficio incombenti ai pubblici dipendenti inseriti in una struttura organizzativa di cui sono note le disfunzioni.

In conclusione si può affermare che essendo notevole il rischio di incorrere in errori, al pubblico dipendente possono essere rimproverate solo le manchevolezze particolarmente gravi.

Una volta definito il quadro dottrinale in cui inserire il concetto di colpa grave e della sua individualizzazione è opportuno entrare nel merito circoscrivendone esattamente il contenuto.

Per colpa grave si intende l’evidente e marcata trasgressione di obblighi di servizio o regole di condotta aventi le seguenti connotazioni:

  • Sia ex ante ravvisabile nel soggetto e sia da lui medesimo, sempre ex ante, astrattamente riconoscibile per dovere professionale d’ufficio.
  • Si concretizzi nell’inosservanza del minimo di diligenza richiesto nel caso concreto o in una marchiana imperizia o in un’irrazionale imprudenza.
  • Non sussistano oggettive ed eccezionali difficoltà nello svolgimento dello specifico compito d’ufficio.
  • Nel caso di potenziale e particolare pericolosità delle funzioni esercitate dal soggetto, questo non si sia attenuto all’obbligo di osservare il massimo delle cautele e dell’attenzione.

Si vede bene che non tutti i comportamenti censurabili integrano gli estremi della colpa grave, ma soltanto quelli contraddistinti da precisi elementi qualificanti che vanno accertati volta per volta in relazione alle modalità del fatto, all’atteggiamento soggettivo dell’autore, nonché al rapporto tra tale atteggiamento e l’evento dannoso.

Riassumendo, si può affermare che il prevalente orientamento della giurisprudenza contabile identifica la colpa grave in una “sprezzante trascuratezza dei propri doveri, resa estensiva attraverso un comportamento improntato a massima negligenza o imprudenza ovvero ad una particolare non curanza degli interessi pubblici”. Indici di riconoscimento di tale grado della colpa sono stati ritenuti la previsione dell’evento dannoso (c.d. colpa cosciente ), più in generale la sua prevedibilità, ovvero il superamento apprezzabile dei limiti di comportamento dell’uomo medio, o anche il notevole superamento di detti limiti, per chi riveste una figura professionale alla quale vanno richieste particolari doti di diligenza, prudenza e perizia.

L’utilizzabilità di questi indici non riduce la difficoltà di stabilire la gravità della colpa nei singoli casi concreti. Per tale motivo il relativo giudizio deve ispirarsi ad una considerazione globale di tutti gli elementi di fatto e di diritto ricorrenti nelle singole fattispecie concrete, con particolare riferimento all’atteggiamento tenuto dal convenuto in relazione agli obblighi di servizio ed alle regole di condotta relativi allo svolgimento degli specifici compiti di ufficio affidati alla sua responsabilità (Corte dei conti, SS.RR. 7/1/98, n. 1/A).

Prosegue —>

 

 

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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