Renzi-Padoan, focus tagli: obiettivo -3% sulle spese dei ministeri

Redazione 16/09/14
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Alla riunione di ieri ha partecipato anche il Commissario alla spending review Cottarelli. Domani l’incontro con i ministri per individuare le voci su cui potrebbe cadere la scure

di Ettore Jorio
Università della Calabria e Fondazione trasPArenza

In un lungo periodo di crisi profonda ove cresce il debito pubblico, arretra la crescita, la disoccupazione fa passi da gigante e i nonni assumono sempre di più la funzione datoriale, grazie alla quale i nipoti ricevono ancora la paghetta settimanale ritagliata dalle loro pensioni, occorre trovare i rimedi legislativi. Quelle soluzioni che ricostruiscano il nuovo all’insegna dell’efficienza dei servizi pubblici, della diminuzione della pressione fiscale, allorquando questa abbia raggiunto il limite massimo della sopportabilità, della crescita occupazionale e del mercato produttivo, entrambi fermi al palo. Il tutto con il massimo della tutela del welfare, sia previdenziale che assistenziale, arrivando a sacrificare – se necessario – la gratuità dei ceti più abbienti, richiamati a dare prova della solidarietà dovuta.

Vanno, quindi, realizzate le riforme strutturali, degne di questo nome, nonché traguardata la riduzione drastica della spesa pubblica, da conseguire attraverso la eliminazione degli sprechi che abbondano (anche nella sanità) da effettuare mediante tagli mirati e non più lineari (come erano) e semilineari (come si propongono). Al riguardo, la razionalizzazione della spesa del sistema Repubblica, che presenta ancora “tanto grasso che cola” (Matteo Renzi, dixit), necessita di interventi riduttivi di tipo chirurgico (anche nella sanità ministeriale e regionale), altamente precisi tanto da consigliare agli agenti l’uso del migliore bisturi laser nel recidere gli sprechi, dopo una attenta (ma veloce) analisi da effettuare con il microscopio. Ritardi, in proposito, non sono più ammissibili perché generatori di una ulteriore confusione nel processo di risanamento dei conti che urge definire, attraverso l’individuazione del dove e come ottimizzare la spesa, per essere “promossi” a livello comunitario.

Su tutto necessita imporre le regole, che ci sono e che occorre individuare per implementare al meglio il sistema relativo, ma soprattutto esigere il loro universale e incondizionato rispetto, mettendo alla porta la politica dalle decisioni che afferiscono alla gestione quotidiana della res pubblica e sanzionando senza sconti ogni violazione Un modo utile anche per estirpare il grande male della corruzione, la illegittimità diffusa e le intercessioni clientelari che hanno consentito (e ancora consentono) un governo allegro delle risorse pubbliche attraverso pratiche non propriamente conformi alle norme, del tipo quelle che hanno permesso – per esempio – ad una Azienda Ospedaliera della Calabria di affidare per 10/12 anni in regime di prorogatio i lavori di pulizia, per milioni di euro, senza che gli organi preposti ai controlli, a diverso titolo, abbiano osservato e/o sanzionato alcunché. In una tale ottica, sarebbe necessario rivedere quella brutta abitudine, messa in piedi da chi non ha saputo fare altro, di bloccare il turnover lineare, ove non si fa altro che incrementare – da una parte – indiscriminatamente il costo della previdenza (già alto), delegando ad essa la sopportazione da parte del sistema inciso dal mancato ricambio, e – dall’altra – decrementare le risorse umane destinate alla produzione del servizio relativo, con la conseguenza di non fare nulla di positivo per la disoccupazione.

A questi rilievi, ma soprattutto agli auspici appena rappresentati potrebbero seguire le tante cose che non sono state fatte bensì solo enunciate, dalle quali si sarebbe potuto ricavare quanto necessario ad abbattere il debito pubblico e diminuire sensibilmente la spesa corrente. Tra queste, soprattutto, la spending review, venduta sul piano del marketing politico e mai realizzata, tanto da essere oggetto della pregnante ironia comunitaria.

Fatte queste premesse, si rende indispensabile prendere coscienza di ciò che l’attuale Governo sta facendo nell’ottica di migliorare quanto già disciplinato in termini di riordino dei conti del sistema autonomistico locale, tenendo ovviamente conto delle regole esistenti. Al riguardo è da due anni che si è insinuata la necessità di intervenire soprattutto sui comuni al fine di mettere sotto osservazione le loro finanze ma soprattutto per fare emergere le loro difficoltà di bilancio, ove risiedono residui inesigibili che non solo si continuano a mantenere per evitare la naturale produzione di disavanzi di amministrazioni miliardari nel loro complesso ma che si persevera a generare attraverso inverosimili previsioni delle entrate. Un fenomeno, questo, tendente ad incrementare in considerazione che la riscossione realizzata è in forte decremento a causa della crisi in atto che sottrae alle famiglie la liquidità necessaria per adempiere agli obblighi afferenti alla fiscalità locale, sempre di più onerosa, anche per esigenze di cassa dell’ente che l’impone.  

Con il d.lgs. n. 126 del 10 agosto 2014, pubblicato sulla G.U. il 28 successivo (S.O. n.73), che ha implementato – come detto – il d.lgs. 118/2011 recante l’armonizzazione delle contabilità e dei bilanci delle pubbliche amministrazioni non statali, le regole del risanamento dei conti del sistema municipale si sono arricchite di un’altra chance.

Alle soluzioni disciplinate in materia dal t.u.e.l. all’art. 193 (in via ordinaria) e agli artt. 243-bis-quater del vigente d.lgs. 267/2000 (in via straordinaria, ma prevista a regime) se n’è, infatti, aggiunta una terza (in via occasionale, quasi incidentale). Essa è disciplinata in necessaria conseguenza delle disposizioni che integrano e modificano l’anzidetto d.lgs. 118/2011, nella parte in cui sanciscono i comportamenti contabili da tenersi a seguito delle necessarie emersioni dei saldi negativi tenuti sottocenere. 

Tale provvedimento – forte di 14 voluminosi allegati, minuziosamente corredati dei modelli di accompagno alle generali regole della contabilità ridisciplinata – ha sostanzialmente introdotto una novità in tema di trattamento dei residui, disponendone l’applicazione non più discriminata.

Quanto al trattamento dei residui, ne ha prescritto la tempestiva espulsione dai relativi bilanci, in assenza dei titoli giuridici relativi, quelli da verificarsi per il loro mantenimento a mente dell’art. 228, comma 3, t.u.e.l. Un adempimento da ossequiare in occasione dell’approvazione del rendiconto 2014 con apposita deliberazione della giunta comunale, dal contenuto alquanto complesso, sia nella forma che nel perfezionamento dei presupposti documentali. Un obbligo, questo, che imporrà una pulizia “straordinaria” nei bilanci degli enti locali (così come in quelli regionali anche essi trascurati in riferimento al detto profilo) con conseguente produzione di consistenti disavanzi di amministrazione, tali da consigliare al legislatore la previsione normativa di dovere essere ripianati, in via straordinaria, nell’arco di un decennio con ratei costanti.

A fronte di un tale obbligo – in quanto tale sancito con lo scioglimento del consiglio in caso di colpevole inadempimento (art. 141, comma 2, primo periodo del t.u.e.l.) – tendente a fare pulizia delle bugie contabili somministrate a cittadini e controllori, è previsto l’obbligo di accantonare in un “Fondo crediti di dubbia esigibilità” le risorse necessarie. Queste ultime da determinarsi tenendo conto della dimensione delle previsioni di entrata, della natura e dall’andamento delle riscossioni realizzate nei cinque anni precedenti. Una garanzia difficile da perfezionare da parte di quei comuni che hanno storicizzato un quantum percentuale di incasso reale nettamente al di sotto delle previsioni, dal momento che gli stessi saranno tenuti a congelare rilevanti quote del loro bilancio.

 Il più recente legislatore delegato – con la non improbabile eccezione costituzionale di avere legiferato in difetto di una apposita delega ad hoc – ha quindi fornito ai comuni un’ulteriore occasione di risanamento “ordinario” ma obbligatorio, aggiuntiva a quello triennale disciplinato dall’art. 193 t.u.e.l., perché recante la possibilità di riequilibrare in un decennio il disavanzo da residui eventualmente determinato a seguito del riaccertamento straordinario degli stessi. Un doveroso strumento per pervenire alla verità contabile offerto ai comuni, che sarà peraltro meno vincolante rispetto agli obblighi e ai pericoli derivanti dal ricorso al c.d. predissesto. Il tutto prescindendo dal sempre più prosciugato Fondo di rotazione (243-ter t.u.e.l.), ben “sostituito” finanziariamente dalle agevolazioni dettate dai decreti legge 35/2013 e 66/2014, che hanno fornito agli enti territoriali e alle imprese/professionisti creditori la liquidità necessaria per sopravvivere. Quel Fondo di rotazione che, a ben vedere, è oggetto di attenzione continua da parte del legislatore tant’è che, con il recente decreto d.l. n. 133 del 12 settembre scorso (pubblicato sulla G.U., serie generale, di pari data n. 212 ), il c.d. Sbocca-Italia, ne ha determinato anche un possibile utilizzo alternativo a quello primitivamente sancito dal d.l. 174/2012. All’art. 43, recante leMisure in materia di utilizzo del Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti territoriali, il legislatore d’urgenza ha offerto l’opportunità ai comuni, aderenti al c.d. “predissesto”, l’utilizzo della quota goduta dell’anzidetto Fondo di rotazione per coprire il disavanzo di amministrazione determinatosi e il finanziamento dei debiti fuori bilancio da riconoscersi a mente dell’art. 194 del t.u.e.l. Non solo. Qualora l’ammontare delle dette risorse dovesse risultare inferiore a quello necessario per la copertura del disavanzo determinatosi a seguito del riaccertamento dei residui e dei debiti fuori bilancio, i comuni dovranno indicare le misure finanziarie alternative sino al totale soddisfo dell’esigenza relativa dandone comunicazione entro e non oltre 60 giorni dalla ricezione della comunicazione di approvazione del Piano di riequilibrio finanziario pluriennale da parte della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti competente.

 Lo stesso art. 43 sancisce i termini di appostazione contabile delle risorse ottenute a siffatto titolo precisando, al riguardo, che quelle ottenute in entrata vanno iscritte nel titolo secondo, categoria 01, voce economica 00, codice SIOPE 2102, nel mentre quelle previste in uscita vanno annotate al titolo primo della spesa, intervento 05, voce economica 15, codice SIOPE 1570.

Tratto da www.lagazzettadeglientilocali.it

 

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