Regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze di fatto: breve sintesi della normativa e della giurisprudenza nell’Unione Europea e in Italia

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Diritto Comunitario

Nel diritto europeo, già con la Res. No. A3-0028/94 dell’8 febbraio 1994 la Comunità Europea aveva emanato una disciplina per la parità dei diritti delle coppie omosessuali. Successivamente, nella Raccomandazione del 16 marzo 2000 sul rispetto dei diritti umani nell’Unione Europea, si chiese agli Stati membri dell’UE di “garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali“. In seguito, la Risoluzione del 4 settembre 2003 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea, il Parlamento europeo, oltre a richiedere di favorire il riconoscimento delle coppie di fatto (punto 81), ha sollecitato gli Stati membri dell’UE ad attuare il diritto al matrimonio e all’adozione di minori da parte di persone omosessuali (punto 77). Poi, con la Risoluzione del Parlamento Europeo del 13 marzo 2012 sulla parità tra donne e uomini nell’Unione Europea, è stato votato a maggioranza che gli Stati membri dell’UE non devono dare al concetto di famiglia “definizioni restrittive” allo scopo di negare protezione alle coppie omosessuali e ai loro figli. Inoltre, la Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 12 dicembre 2013, in base al principio della parità di trattamento, ha dichiarato che il lavoratore dipendente unito in un PACS con una persona del medesimo sesso, qualora la normativa nazionale dello Stato membro dell’UE non consenta alle persone del medesimo sesso di sposarsi, deve godere dei giorni di congedo parentale e del premio stipendiale, concessi ai dipendenti in occasione del loro matrimonio, “allorché, alla luce della finalità e dei presupposti di concessione di tali benefici, detto lavoratore si trova in una situazione analoga a quella di un lavoratore che contragga matrimonio.”

Ordinamento giuridico italiano

Per quanto riguarda la legislazione italiana in materia di unioni civili, si ritiene necessario esaminare in primis il dettato costituzionale. L’art. 29 Cost. afferma che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, senza però menzionare esplicitamente la diversità di sesso dei nubendi. Da un lato, la tradizione giuridica cattolica ha dato per scontata la diversità di sesso dei coniugi; dall’altro, secondo un orientamento giuridico più liberale, la “famiglia di fatto” (omosessuale, ma anche eterosessuale) sembrerebbe potersi identificare (se non nell’art. 29 Cost.) con una “formazione sociale” ai sensi dell’art. 2 Cost., secondo cui “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”, essendo pertanto giuridicamente meritevole di riconoscimento e di tutela.

Nel corso degli anni, con il progressivo evolversi della società e della c.d. “cultura popolare”, l’interpretazione tradizionale è stata messa in discussione più volte, anche alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria. Senza voler fare un excursus storico-giuridico, si intende analizzare l’evoluzione giuridica più recente della materia.

Con sentenza n. 138/2010, la Corte Costituzionale, interpellata sull’argomento in merito alla legittimità costituzionale di alcuni articoli del Codice Civile, ha affermato che “L’art. 2 Cost. dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Orbene, per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.

Successivamente, con sentenza n. 1328/2011, la Corte di Cassazione, Sez. I Penale, in materia di riconoscimento della qualità di familiare di cittadino dell’Unione Europea, ha sostenuto che “Il D.Lgs. 06 febbraio 2007, n. 30, attuativo nel diritto interno della direttiva europea 2004/3 8/CE, disciplina (art. 1) le modalità di esercizio del diritto di libera circolazione, ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato da parte dei cittadini dell’Unione Europea e dei familiari di cui all’. 2″. Detto art. 2 precisa che “ai fini del presente decreto legislativo si intende per : a) cittadino dell’Unione: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro; b) familiare : il coniuge, il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno stato membro, ecc.”. Orbene, la Spagna è Stato membro dell’Unione Europea. L’impugnata sentenza ha disconosciuto il diritto di libera circolazione e soggiorno dell’ U. nel territorio dello stato italiano in sostanza qualificando lo stesso come partner di una situazione non riconoscibile in Italia, mancando però di verificare se, sulla base della legislazione interna dello Stato membro, l’unione in parola sia qualificabile – o equiparabile – a rapporto di coniugio, quale è stato prospettato, con relativa documentazione, dall’imputato. In tal senso è parimenti evidente che lo status di coniuge esime dalla documentazione sulla cittadinanza, trattandosi di due condizioni equiparate ex lege.

In seguito, con sentenza n. 4184/2012, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato espressamente che: “i componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se – secondo la legislazione italiana – non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia – a prescindere dall’intervento del legislatore in materia – quali titolari del diritto alla “vita familiare” e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di “specifiche situazioni”, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede, eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di illegittimità costituzionale delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili nelle singole fattispecie, in quanto ovvero nella parte in cui non assicurino detto trattamento, per assunta violazione delle pertinenti norme costituzionali e/o del principio di ragionevolezza“. Con questa sentenza, pertanto, i Giudici di legittimità hanno chiarito che la differenza di sesso non deve essere considerato quale elemento naturalistico del matrimonio e che i componenti della coppia omosessuale sono titolari del diritto alla vita familiare, del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, tra cui ricorrere perché il matrimonio contratto all’estero (pur non trascrivibile nei Registri dello Stato Civile dei Comuni italiani) possa produrre effetti anche in Italia.

Seguendo l’orientamento della giurisprudenza citata, la sentenza del 13 febbraio 2012 del Tribunale di Reggio Emilia, Sez. I Civile, giudicando il caso di un cittadino italiano sposato con cittadino extra-UE in Spagna ha affermato che “il termine coniuge non può essere interpretato secondo la normativa italiana“, ma secondo il diritto comunitario, riconoscendo, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, il matrimonio contratto in Spagna da due uomini, l’uno italiano, l’altro extracomunitario.

Più recentemente, con sentenza dell’11 giugno 2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato che “La Corte Costituzionale […] dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore (…) Sarà, quindi, compito del legislatore introdurre una forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione, su tal piano, di assoluta indeterminatezza. E tal compito il legislatore è chiamato ad assolvere con la massima sollecitudine per superare la rilevata condizione di illegittimità della disciplina in esame per il profilo dell’attuale deficit di tutela dei diritti dei soggetti in essa coinvolti.. Dunque, secondo la Consulta, l’ordinamento giuridico italiano deve permettere ai coniugi di mantenere un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, anche nel caso in cui uno dei due coniugi abbia cambiato sesso, senza alcuna presunzione di scioglimento del matrimonio.

Infine, la Circolare n. 0010863 del 7 ottobre 2014 del Ministero dell’Interno ha formalmente invitato i Sindaci che prescrivono agli ufficiali di stato civile di provvedere alla trascrizione di matrimoni celebrati all’estero tra persone dello stesso sesso di cancellare tali trascrizioni, in quanto la disciplina dell’eventuale equiparazione di matrimoni omosessuali a quelli celebrati tra persone di sesso diverso e la conseguente trascrizione di tali unioni nei registri dello stato civile rientrano nella competenza esclusiva del Legislatore”.

In attesa, appunto, che il Legislatore italiano esamini il c.d. disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso e sulle convivenze di fatto sia tra coppie omosessuali sia tra coppie eterosessuali e che approvi una regolamentazione in materia, anche alla luce del recente intervento della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) che, con sentenza del 21 luglio 2015, ha condannato l’Italia per avere violato, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, il diritto al rispetto della vita privata e familiare di tre coppie omosessuali, ritenendo che nel nostro Paese “la tutela legale attualmente disponibile  per le coppie omosessuali non solo fallisce nel provvedere ai bisogni chiave di due persone impegnate in una relazione stabile, ma non è nemmeno sufficientemente affidabile.

Genova – Savona, lì 25 febbraio 2016

Dott. Assenza Carmelo

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