SOMMARIO: Introduzione; 1. Il fatto; 2. La giurisprudenza italiana e della Corte EDU; 3. Le valutazioni della Corte; 4. La conclusione della Corte.
Riferimento normativo: articolo 6 §1 e §3 lett. d della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sul diritto a un equo processo.
Introduzione
Con la pronuncia del 25 marzo 2021, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo torna ad occuparsi del tema della configurabilità della violazione dell’articolo 6 §1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sul diritto al giusto processo nei casi di reformatio in peius della sentenza assolutoria resa nel giudizio di primo grado.
In particolare, il caso ha ad oggetto il ricorso alla Corte EDU, consentito ai sensi dell’art. 34 CEDU, da parte di due cittadini italiani che lamentavano la violazione dell’art. 6 §1 della Convenzione alla luce dell’overturning della sentenza di assoluzione resa all’esito del giudizio abbreviato primo grado, in assenza di nuova audizione dei testimoni dell’accusa sentiti in prima istanza ai sensi dell’articolo 441 comma 5 c.p.p.
Il fatto
I due ricorrenti venivano accusati di reati di stampo mafioso e di traffico di stupefacenti. Dinanzi al GUP di Napoli, richiedevano l’adozione del rito abbreviato, procedimento speciale previsto dal Codice di Procedura Penale tramite il quale l’imputato, con richiesta espressa e consapevole, opta per la definizione anticipata del procedimento sulla base degli atti di indagine, con conseguente rinuncia al dibattimento e al contraddittorio nella formazione della prova. In caso di condanna con rito abbreviato, l’imputato gode dell’importante beneficio della riduzione della pena.
Il GUP accoglieva la richiesta e procedeva alla decisione sulla base degli atti di indagine preliminare e della testimonianza del collaboratore di giustizia BS necessaria per confermare le dichiarazioni rese da altro teste coimputato dei ricorrenti. La testimonianza veniva eccezionalmente assunta d’ufficio dal giudice ex articolo 441 comma 5 c.p.p., non essendo egli in grado di decidere allo stato degli atti.
Con sentenza del 27 marzo 2012, il GUP assolveva gli imputati per taluni capi di imputazione sulla base degli atti presenti nel fascicolo delle indagini preliminari.
A seguito di ricorso in appello, con sentenza del 14 giugno 2013, la Corte d’Appello di Napoli riformava in peius la sentenza di assoluzione di primo grado, condannando i ricorrenti per tutti i capi di imputazione. La Corte si basava sui medesimi elementi cartolari utilizzati dal GUP nel rendere la sua decisione.
Gli imputati ricorrevano in Cassazione lamentando la reformatio in peius della decisione di prima istanza, senza previa e nuova audizione dei testimoni dell’accusa. Con sentenza del 29 settembre 2014, la Suprema Corte respingeva il ricorso affermando che il processo si fosse celebrato con rito abbreviato sin dal primo grado di giudizio a seguito di espressa rinuncia degli imputati dei principi di oralità e immediatezza del processo penale e a favore della definizione dello stesso sulla base della documentazione del fascicolo delle indagini preliminari. In particolare, la testimonianza era stata resa in primo grado in virtù dell’eccezione ex articolo 441 comma 5 c.p.p. e una seconda audizione del teste non era necessaria alla luce della mancanza di quei requisiti previsti dalla sentenza della Corte EDU resa nel caso Dan c. Moldavia[1]: la decisività della testimonianza ai fini della determinazione della colpevolezza degli imputati e la sua necessaria discussione in termini di credibilità del teste.
Gli imputati ricorrevano alla Corte EDU, lamentando una violazione dell’articolo 6 §1 della Convenzione alla luce dell’overturning della decisione del giudice di prime cure senza previa audizione del teste sentito in primo grado. I ricorrenti affermavano che l’audizione di BS consentita eccezionalmente in primo grado era la riprova del carattere decisivo e determinante della sua dichiarazione e che dunque il giudice d’appello avrebbe dovuto disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex articolo 603 c.p.p. e di conseguenza, l’audizione del teste.
Non avendo la Corte proceduto in tal senso, i ricorrenti contestavano una violazione dei loro diritti e delle loro garanzie processuali incompatibile con la scelta del rito abbreviato.
La giurisprudenza italiana e della Corte EDU
Il tema della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in grado di appello è stato già oggetto di pronunce da parte sia della Corte EDU, sia della Corte di Cassazione italiana.
In particolare, la Corte di Strasburgo si è pronunciata su tale argomento nelle sentenze Dan c. Moldavia del 2011[2], Lorefice c. Italia del 2017[3] e, da ultimo, Dan c. Moldavia n. 2 del novembre 2020[4].
In queste decisioni, viene affermato che, ai fini della riforma in peius della sentenza assolutoria di primo grado, la corte di seconda istanza deve procedere al nuovo e diretto esame delle prove dichiarative ritenute decisive ai fini della determinazione della colpevolezza dell’imputato. Solamente tramite esame diretto del teste la corte può valutare la credibilità dello stesso, valutazione assai complessa che difficilmente può concludersi sulla base della mera lettura delle dichiarazioni da lui rese. In caso di mancata audizione diretta del testimone, il giudice incorre in violazione dell’articolo 6 CEDU, in particolare del paragrafo 3 lett. d, relativa alla violazione del diritto dell’imputato ad “esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico”[5].
Tale questione è stata anche trattata a più riprese dalla Corte di Cassazione.
Nella sentenza Dasgupta[6], la Corte fornisce l’interpretazione dell’articolo 603 c.p.p. alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, affermando l’obbligo per il giudice di appello, ai fini della riforma in peius, di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603 co. 3 c.p.p. e dunque all’esame dei testimoni che hanno reso dichiarazioni decisive ai fini dell’assoluzione in primo grado. In caso contrario, la pronuncia di condanna in appello è affetta da vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 606 comma 1 lett. e) c.p.p. per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio” ex articolo 533 comma 1, comportando dunque una violazione dell’articolo 6 §3 lett. d) CEDU.
Nel caso Patalano[7], la Cassazione riconferma quanto dichiarato nella precedente decisione, anche nel caso in cui il giudizio di primo grado si sia svolto secondo il rito abbreviato non condizionato (nel quale manca in toto l’attività istruttoria).
Da ultimo, la sentenza nel caso Troise[8] richiama il caso contrario di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna. In tal caso, il giudice di appello ha il solo obbligo di fornire una motivazione “puntuale e adeguata” della sentenza assolutoria, dunque fornendo una spiegazione della sua conclusione assolutamente difforme rispetto a quella del giudice di prime cure.
È fondamentale inoltre precisare che i principi così delineati dalla Cassazione erano stati recepiti medio tempore dal legislatore con la legge 103/2017 (cd. Riforma Orlando)[9], che aggiunge il comma 3-bis all’articolo 603 c.p.p. Tale comma introduce un caso di rinnovazione obbligatoria dell’istruttoria dibattimentale, “nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa”.
Le valutazioni della Corte
La Corte di Strasburgo richiama quanto affermato in precedenza nei casi Dan c. Moldavia e Lorefice c. Italia sulla necessità, in secondo grado e laddove si proceda all’overturning della sentenza assolutoria, del riesame delle prove dichiarative decisive per determinare la colpevolezza dell’imputato, al fine di valutare la credibilità del teste[10].
Tuttavia, se è necessaria, per il giudice che condanna per la prima volta, la valutazione diretta delle prove, allo stesso tempo non è obbligatoria, né la sua mancanza renderebbe iniquo il processo. Infatti, a detta della Corte, è necessario guardare al valore probatorio e alla decisività delle prove dichiarative[11], dovendo procedere al riesame di quelle sole prove ritenute determinanti e per le quali è necessario rivalutare la credibilità di chi le ha rese.
Relativamente alla scelta del rito abbreviato, la Corte ricorda che tale procedimento comporta sicuramente una compressione delle garanzie procedurali riconosciute all’imputato, tra cui soprattutto l’impossibilità della formazione della prova in dibattimento. Ciò è però controbilanciato da significativi vantaggi quali la riduzione della pena e dei tempi processuali e l’impossibilità per il pubblico ministero di impugnare la sentenza di condanna ad eccezione del caso del mutamento del titolo del reato.
Tale rito, ritiene la Corte, è assolutamente compatibile con lo spirito della Convenzione e in particolare con l’articolo 6, non comportando una rinuncia volontaria dell’imputato alle garanzie procedurali[12]. A riprova della compatibilità della procedura abbreviata con la Convenzione, la Corte richiama la Raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati membri n. R(87)18 relativa alla semplificazione della giustizia penale, nella quale si esortano gli stati all’istituzione di procedure semplificate, nel rispetto dei principi costituzionali.
Tuttavia, per evitare in via assoluta un conflitto con la CEDU, una tale rinuncia deve essere accompagnata da ulteriori tutele processuali e non deve essere in conflitto con alcun interesse pubblico significativo. Infatti, il rito semplificato non può privare in maniera arbitraria l’imputato delle garanzie riconosciutegli in virtù del principio del giusto processo[13]. Compito degli Stati è quello di prevedere riti abbreviati compatibili con il dettato della Convenzione e che possono garantire un livello di tutela più forte anche rispetto a quello offerto dalla stessa. Ed è proprio nell’ordinamento italiano che vengono apprestate tutele più omnicomprensive grazie alla Riforma Orlando, che aveva proceduto a modificare l’articolo 603, recependo dunque la giurisprudenza della Corte Suprema e allineandosi con quella sovranazionale.
Nel caso di specie, la Corte ritiene che i ricorrenti abbiano dichiarato, in maniera consapevole ed informata, la loro volontà a richiedere il rito abbreviato, conseguentemente accettando i vantaggi e le limitazioni dello stesso, tra cui l’impossibilità dell’audizione dei testimoni.
Inoltre, il fatto in questione si differenzia profondamente dagli altri casi precedentemente esaminati dalla Corte di Strasburgo, che riguardavano la condanna in secondo grado sulla base di dichiarazioni decisive nel senso dell’assoluzione rese nel giudizio di prima istanza, senza procedere ad una nuova audizione del teste che le aveva rese.
La conclusione della Corte
Alla luce di quanto detto, la Corte conclude dunque che:
- La mancata audizione del testimone in secondo grado non comporta una violazione dell’articolo 6 CEDU, in quanto il suo esame è stato disposto in primo grado alla luce dell’eccezione del rito abbreviato prevista all’articolo 441 comma 5 c.p.p.[14], e dunque a fronte dell’impossibilità del giudice di decidere allo stato degli atti;
- La condanna in secondo grado si è basata su altri elementi di prova che hanno avuto importanza decisiva nell’overturning della sentenza assolutoria di primo grado. La testimonianza resa in prima istanza, dunque, non era risultata determinante ai fini della valutazione della colpevolezza degli imputati, essendo servita unicamente a confermare le dichiarazioni di altri testimoni e a corroborare il quadro probatorio a carico degli imputati[15], ed inoltre il riesame del teste risultava superfluo in quanto non ne sarebbe stata messa in discussione la credibilità. Mancavano, dunque, i requisiti richiesti dalla sentenza nel caso Dan c. Moldavia.
Di conseguenza, la Corte dichiara l’assenza di violazione dell’articolo 6 § 1 CEDU sul diritto al giusto processo riconosciuto agli imputati, alla luce del carattere non determinante della dichiarazione resa dal teste non ascoltato nuovamente in sede di giudizio di secondo grado. La mancanza di tale testimonianza, dunque, non ha inficiato il diritto degli imputati all’equità del processo.
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Note
[1] Corte EDU, Sez. III, 5 luglio 2011 – Ricorso n. 8999/07, Causa Dan c. Moldavia.
[2] Corte EDU, Sez. III, 5 luglio 2011 – Ricorso n. 8999/07, Causa Dan c. Moldavia.
[3] Corte EDU Sez. I, 29 giugno 2017 – Ricorso n. 63446/13, Causa Lorefice c. Italia.
[4] Corte EDU, Sez. II, 10 novembre 2020 – Ricorso n. 57575/2014, Causa Dan c. Moldavia (n. 2).
[5] Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), articolo 6 §3 lett. d.
[6] Cass. Pen. SS.UU., Sent. 6 luglio 2016, n. 27620.
[7] Cass. Pen. SS.UU., Sent. 14 aprile 2017, n. 18260.
[8] Cass. Pen. SS.UU., Sent. 3 aprile 2018, n. 14800.
[9] Legge 23 giugno 2017, n. 103.
[10] Corte EDU, Sez. I, 25 marzo 2021 – Ricorsi nn. 15931/15 e 16459/19, Di Martino e Molinari c. Italia, para. 28.
[11] Ibid., para. 29.
[12] Ibid., para. 33.
[13] Ibid., para. 38.
[14] Ibid., paragrafi 41-42.
[15] Ibid., paragrafi 43-44.
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