Rapporto tra azione di rivendica ed azione di restituzione rispetto alla detenzione “sine titulo”

Redazione 25/02/19
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La Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite una questione attinente il contratto di conto corrente: la vicenda riguarda l’eccezione di prescrizione estintiva sollevata dalla banca e i termini entro cui paralizzare la domanda del correntista che chiede la restituzione di somme indebitamente versate.

Sul punto occorre stabilire, se l’eccezione di prescrizione della banca, per essere validamente proposta, debba contenere o meno l’allegazione, non solo dell’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, ma anche delle singole rimesse aventi natura solutoria, ovvero se tale onere gravi sul correntista.

La questione era già stata trattata dalle Sezioni Unite nel 2010 (cfr. Cass., Sez. Un., n. 24418/2010). Le Sezioni Unite hanno rilevato che a fronte della azione di nullità della clausola anatocistica di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, la conseguente ripetizione di indebito sarebbe soggetta al termine di prescrizione ordinario di dieci anni, ex art. 2946 c.c.. Con la precisazione che tale termine decorre non dalla data di addebito degli interessi sul conto corrente, ma dalla diversa data in cui è avvenuto il “pagamento” degli interessi.

Il concetto di pagamento ai fini della intervenuta prescrizione

La sentenza in oggetto è quindi intervenuta chiarendo il concetto di pagamento, stabilendo che ai fini della ripetizione di somme versate a titolo di interessi anatocistici, la nozione di pagamento deve essere definita in una prospettiva ius-economica: pagamento è l’atto giuridico che ex art. 1173 c.c. consiste nel trasferimento da una persona a un’altra della proprietà di una somma di denaro o di un altro bene, al fine di estinguere un’obbligazione idonea a soddisfare il creditore; mentre un’addebito sul conto è un atto meramente esecutivo, di movimentazione contabile, che non assolve alcuna funzione satisfattiva.

Il dies a quo da cui far decorrere la prescrizione, sarebbe quindi il pagamento per la ripetizione dell’indebito.

Sul punto:Esigibilità delle somme illegittimamente addebitate prima della chiusura del conto

Chi deve fornire la prova solutoria?

La Corte di Cassazione con ordinanza n. 24948 depositata il 23 ottobre 2017 ha stabilito:”In tema di contratto corrente bancario, il correntista che agisca per la ripetizione dell’indebito, tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi, è onerato di documentare l’andamento del rapporto con a produzione degli estratti conto, i quali evidenziano le singole rimesse che, per riferirsi ad importi non dovuti, sono suscettibili di ripetizione”

Sul punto si sono creati due orientamenti contrapposti.

Secondo un orientamento sarebbe inammissibile una eccezione di prescrizione formulata in modo del tutto generico, senza distinguere tra le rimesse sul conto aventi natura solutoria e quelle aventi natura meramente ripristinatoria. Dal momento che l’ordinamento presume la natura ripristinatoria delle rimesse, graverebbe sulla banca l’onere di allegare e provare quali sono, invece, quelle solutorie. Tale intensità dell’onere di allegazione sarebbe funzionale, infatti, a consentire al correntista un adeguato esercizio del diritto di difesa sul punto (cfr. Cass., n. 4518/2014; Cass., n. 20933/2017; Cass., n. 12977/2018).
D’altra parte un’ulteriore corrente di pensiero esclude, invece, che sia la banca a dover fornire specifica indicazione delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione. Spetterebbe, piuttosto, al giudice verificare quali rimesse siano irrilevanti ai fini della prescrizione, in quanto non qualificabili come “pagamenti” nel senso sopra chiarito (cfr. Cass., 14576/2007; Cass., n. 28282/2011; Cass., n. 1064/2014; Cass., n. 15799/2016; Cass., n. 4372/2018).

Rimaniamo in attesa della pronuncia a Sezioni Unite per la definizione dell’onere della prova.

La scrivente Redazione sottolinea che il contratto di conto corrente, genera una responsabilità di tipo contrattuale e pertanto, come già evidenziato dalla sentenza a Sezioni Unite del 2010, il diritto si prescrive in 10 anni. A ciò, ne consegue che l’onere di allegazione risulterebbe in capo al cliente, anche solo in ragione del generale principio di cui all’art. 2697 c.c. per cui: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.”

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Sentenza collegata

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