Quando l’impresa partecipante ad una gara pubblica ottiene il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione, ovvero per la semplice perdita della possibilità di aggiudicazione, non sussistono i presupposti per il risarcimento dei costi di partecipazio

Lazzini Sonia 24/03/11
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La appellante non puo’ che essere risarcita per equivalente, come peraltro richiesto, mantenendo ferma, pertanto, la efficacia del contratto già stipulato dalla amministrazione

nel caso in esame ricorrono gli elementi costitutivi del danno e, in particolare, la colpa della p.a. che ha violato chiari principi e norme in materia di interpretazione dei bandi di gara

Va premesso che l’accertamento della spettanza dell’appalto alla appellante si rileva impossibile in quanto la selezione del contraente è avvenuta sulla base della offerta economicamente più vantaggiosa e dunque con un metodo di selezione consistente in un apprezzamento tecnico discrezionale della offerta riservato alla amministrazione, che non tollera alcun sovrapposizione in sede giustiziale.

Con l’effetto che la appellante non puo’ che essere risarcita per equivalente, come peraltro richiesto, mantenendo ferma, pertanto, la efficacia del contratto già stipulato dalla amministrazione.

Quanto ai costi ed agli oneri sostenuti per la partecipazione alla gara richiesti dalla appellante, deve sottolinearsi che tali costi ed oneri non sono suscettibili di risarcimento in quanto costituiscono voce di spesa ordinariamente a carico dei partecipanti.

L’orientamento giurisprudenziale preferibile è infatti nel senso che quando l’impresa partecipante ad una gara pubblica ottiene il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione, ovvero per la semplice perdita della possibilità di aggiudicazione, non sussistono i presupposti per il risarcimento dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione (Cons. Stato , sez. IV, 07 settembre 2010, n. 6485).

Quanto alla lamentata perdita di chance la Sezione ritiene di aderire all’indirizzo giurisprudenziale che limita il criterio presuntivo del 10%, invocato dalla appellante, facendo applicazione del principio dell’aliunde perceptum, quale strumento per evitare indebite locupletazioni da parte del danneggiato, secondo il quale il mancato guadagno può essere risarcito per intero, se e in quanto l’impresa sarebbe stata aggiudicataria della gara e possa nel contempo documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi. Laddove tale dimostrazione non sia stata offerta, è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 1666/08).

L’onere di provare l’assenza dell’aliunde perceptum grava sull’impresa dovendosi ritenere che l’imprenditore, in quanto soggetto che esercita professionalmente un’attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte per tutto il tempo della gara e sino alla mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili.

Poiché l’appellata non ha fornito prova al riguardo, né presentando la offerta economica, né documentando un’inutile immobilizzazione di risorse umane e mezzi tecnici, deve concludersi che essa abbia ragionevolmente riadoperato le proprie risorse per lo svolgimento di attività analoghe, con la necessità della riduzione dell’importo a base d’asta al 50%, secondo un criterio di riduzione in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c.. Questa cifra va a sua volta divisa per il numero dei partecipanti alla gara (Sez. VI, 9 marzo 2007 , n. 1114; sez. VI, 9 novembre 2006 n. 6607 ; Sezione VI, 25 luglio 2006, n. 4634 ; sez. V 24 ottobre 2002 n. 5860 ).

In definitiva, ai sensi dell’art. 35, co. 2, d.lgs. 80/98, il Comune di Napoli dovrà proporre alla appellante il pagamento, a titolo di risarcimento, di una somma pari al 50% dell’importo a base d’asta diviso il numero dei partecipanti, entro il termine di giorni 60 (sessanta) dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, o dalla notifica di essa a cura di parte.

Sulle somme da liquidare saranno conteggiati interessi e rivalutazione monetaria dalla data della pubblicazione della sentenza sino al definitivo pagamento.

Le spese ed agli onorari dei due gradi di giudizio seguono la soccombenza e vengono posti a carico del Comune di Napoli nella misura di euro 8.000,00 (ottomila).

riportiamo qui di seguito la decisione numero 329 del 18 gennaio 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

 

N. 00329/2011REG.SEN.

N. 04796/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 4796 del 2010, proposto da:***

contro***

nei confronti di***

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI SEZIONE I n. 01340/2010, resa tra le parti, concernente AFFIDAMENTO SERVIZIO MANUTENZIONE ORDINARIA E STRAORDINARIA IMPIANTI TERMICI PER GLI EDIFICI SCOLASTICI – RISARCIMENTO DANNI

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 novembre 2010 il Cons. *************** e uditi per le parti gli avvocati **** e Pulcini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con bando pubblicato sulla G.U.R.I. n. 2 del 5 gennaio 2009 il Comune di Napoli indiceva una procedura aperta per l’affidamento del servizio di gestione quinquennale degli impianti termici degli edifici scolastici e varie dipendenze comunali ricadenti nella zona centro-nord della città, nonché per l’aggiornamento tecnologico, gara da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

In particolare, il capitolato speciale d’appalto, all’art. 10.1.2, rubricato “documenti tecnici Busta B” stabiliva che la documentazione tecnica da predisporre per ogni singolo lotto dovesse comprendere “un progetto di gestione” degli impianti termici, la cui consistenza non poteva superare le 200 facciate formato A4 ed “un progetto di lavori” relativo agli impianti termici, che non poteva andare oltre le 300 facciate sempre formato A4. La medesima disposizione prevedeva al secondo comma che la difformità degli elaborati da quanto prescritto avrebbe comportato l’esclusione dalla gara.

Alla gara partecipava la S.E.C.A.M. s.p.a., odierna appellante, che, nella seduta del 16 luglio 2009, veniva esclusa dalla procedura, avendo la commissione rilevato che non vi era stata ottemperanza alle prescrizioni di cui al sopradetto punto 10.1.2. del capitolato quanto alle dimensioni dei progetti tecnici, nonché per non avere detta società indicato, né il direttore di commessa e la relativa dichiarazione di accettazione della funzione, né la qualifica del responsabile dell’esercizio e della manutenzione.

L’esclusione veniva comunicata con nota n. 4122 del 17 luglio 2009 e induceva la S.E.C.A.M. s.p.a. a presentare un’istanza di riesame in autotutela negativamente riscontrata dalla stazione appaltante.

Avverso la propria esclusione e contro gli atti e le operazioni di gara proponeva ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania la ripetuta ********** s.p.a. chiedendone l’annullamento, previa concessione di idonee misure cautelari, oltre al risarcimento dei danni.

Con il primo motivo di impugnazione deduceva la ricorrente che l’espressione “per ogni singolo lotto” contenuta nella disposizione di cui all’art. 10.1.2. del capitolato non poteva che fare riferimento a ciascuno dei 197 edifici interessati dal servizio oggetto di gara soprattutto riguardo alla progettazione dei lavori in considerazione dell’esigenza di rappresentare specificamente le caratteristiche tecniche dei singoli interventi; di conseguenza, mentre per il progetto di gestione era stato redatto un unico elaborato di 57 pagine, ampiamente rientrante entro il limite di 200 pagine formato A4, per il progetto dei lavori era stato necessario predisporre tanti progetti quanti erano gli edifici, ciascuno inferiore a 300 facciate formato A4.

Con la seconda censura si rilevava la mancanza di un’espressa clausola di esclusione per il superamento dei limiti dimensionali dei progetti riguardando la prescrizione di cui al secondo comma dell’art. 10.1.2. del capitolato, le sole difformità di tipo sostanziale e non formale, per cui mai si sarebbe potuto procedere all’estromissione di un concorrente in assenza di un interesse apprezzabile della stazione appaltante.

Si evidenziava che la lex specialis sul punto era equivoca, apparendo meramente descrittive le prescrizioni capitolari relative al formato dei progetti, non essendone state previste ulteriori caratteristiche, come il carattere, l’interlinea ed il numero delle righe, in tal modo determinandosi una sperequazione tra concorrenti che, avendo diversamente dimensionato i propri elaborati, finivano per disporre di un maggiore spazio per il proprio progetto.

Infine, venivano contestate anche le altre due ragioni di esclusione, innanzitutto perché la mancata indicazione della qualifica del responsabile dell’esercizio e della manutenzione, nonchè del nome e della qualifica del direttore di commessa non erano state poste a pena di esclusione ed. inoltre. perché si trattava di prescrizioni destinate ad operare nella sola fase di esecuzione dell’appalto e non anche in quella di partecipazione alla gara.

Si costituiva in giudizio il Comune di Napoli che chiedeva il rigetto del ricorso e della domanda cautelare.

Essendo intervenuta nella seduta del 23 novembre 2009 l’aggiudicazione provvisoria in favore della S.I.R.A.M. s.p.a., la ricorrente, con motivi aggiunti notificati il 25 novembre 2009 e depositati il giorno successivo, impugnava anche tale atto, deducendo profili di illegittimità derivata e di omessa rilevazione ed anomalia dell’offerta della controinteressata.

Con un secondo atto di motivi aggiunti, notificato il 5 febbraio 2010 e depositato il giorno 8 febbraio 2010, la ricorrente impugnava, sempre dinanzi al Tar Campania, deducendo profili di illegittimità derivata conseguenti ai motivi del ricorso introduttivo, la determinazione dirigenziale n. 50 del 28 dicembre 2009 di aggiudicazione definitiva della gara in favore della S.I.R.A.M. s.p.a..

All’udienza di discussione del 24 febbraio 2010 la causa veniva trattenuta per la decisione.

Con la sentenza appellata il Tar riteneva il ricorso infondato per infondatezza dei motivi attinenti alla prima causa di esclusione, dichiarando inammissibili gli altri motivi.

Assume la appellante la erroneità della sentenza appellata nella parte in cui non ha riconosciuto la illegittimità del provvedimento di esclusione del Comune di Napoli istando per il risarcimento del danno per equivalente.

Si è costituito il Comune di Napoli chiedendo il rigetto dell’appello

Sono state depositate ulteriori memorie difensive.

 

DIRITTO

1. L’appello merita accoglimento.

Assume il Tar nella sentenza appellata che: “L’art. 10.1.2. del capitolato speciale d’appalto, senza alcuna possibilità di dubbi o incertezze interpretative prescrive la presentazione di due progetti distinti in ragione della sola composizione dell’offerta tecnica, il primo come elaborato inerente la gestione degli impianti termici, il secondo relativo ai lavori “. “ E la presentazione della documentazione tecnica in difformità dalle disposizioni capitolari in questione costituiva espressamente causa di esclusione secondo la chiara formulazione letterale dell’art. 10.1.2., secondo comma del capitolato speciale d’appalto.”

2. Nell’atto di appello la società Ricorrente sostiene la erroneità delle argomentazioni sviluppate dal Tar campano sotto molteplici profili.

In particolare la’ appellante sostiene la ambiguità del punto 10.1.2. del capitolato speciale di appalto messo in relazione con l’articolo 2.1. e l’art. 5.1 del medesimo capitolato.

Evidenzia l’a appellante, infatti, che in vista della mole, della diversità della tipologia di lavori relativi agli impianti termici che si sarebbero dovuti eseguire presso i 197 siti in cui si indirizzava la prestazione, il limite delle trecento pagine indicato nel punto 10.1.2. del capitolato andava riferito ad ogni singolo progetto relativo a ciascun lotto o sito od edificio sul quale la prestazione doveva articolarsi.

3. Tali argomentazioni dell’appellante vengono condivise dalla Sezione che ritiene che la formulazione della clausola del capitolato presenta aspetti di equivocità nella parte in cui descrive le modalità redazionali del progetto dei lavori.

In effetti l’obbligo di cui al punto 5.1. del capitolato richiamato dall’art. 10.1.2., di presentare “…il progetto dei lavori per ogni singolo impianto che (le ditte) intendono riqualificare”.. “il cui grado di completezza e dettaglio costituirà oggetto di valutazione..”, implicava la necessità di verificare lo stato dei luoghi in relazione a ciascun immobile cui inerivano i lavori non avendo senso logico richiedere un progetto dei lavori relativo agli impianti termici riferito a tutti gli immobili indistintamente e nel loro complesso sul quale eseguire le prestazioni, identificando il secondo lotto come un unicum e cioè l’insieme della zona centro nord di Napoli, al di fuori dal concreto riferimento a singoli edifici sul quale intervenire.

Proprio il fatto che il bando si riferisce all’intera zona centro nord II lotto e poi l’articolo 10.1.2. del capitolato specifichi “per ogni singolo lotto” sta a significare la necessaria correlazione tra i progetti e gli edifici in quanto detta specificazione individua proprio l’oggetto della prestazione da effettuarsi nell’ambito del secondo lotto.

Ricorda al riguardo il Collegio che nell’incertezza della portata precettiva delle regole di gara, specie quando venga disposta una esclusione, va fatta applicazione del principio ermeneutico che privilegia una interpretazione più favorevole tra quelle leggibili, allo specifico fine di tutelare l’interesse dell’amministrazione al più ampio confronto concorrenziale .

4. Tale ultima considerazione assume particolare rilievo proprio in relazione alla seconda considerazione sviluppata nell’atto di appello (pag. 17) nella quale la appellante sottolinea la mancanza di una espressa ed univoca clausola di esclusione per il superamento dei limiti dimensionali dei progetti, riguardando, la prescrizione di cui al secondo comma dell’art. 10.1.2. del capitolato, le sole difformità di tipo sostanziale, “..difformità degli elaborati…”, escluse dunque difformità formali, riferite agli aspetti redazionali della proposta.

Correttamente la appellante ha richiamato il principio secondo cui l’intento della amministrazione nella lex specialis va ricostituito sulla base delle espressioni utilizzate e di quanto razionalmente da essa possa desumere il destinatario, con una lettura idonea a tutelare l’affidamento ingenerato in buona fede, restando il concorrente, dispensato dal ricostruire, attraverso indagini ermeneutiche ed integrative, ulteriori ed inespressi significati.

Sotto altro profilo assume anche un rilievo non secondario il fatto che nel soprarichiamato articolo del capitolato non veniva precisato, al di la della generica indicazione delle pagine dattiloscritte, quale dovesse essere il margine grafico utilizzabile, quale il numero delle righe, quale il corpo o il tipo dei caratteri da impiegare; con la conseguenza che, in ipotesi, a parità di pagine, ben poteva verificarsi una notevole differenza in merito ai contenuti quantitativi delle singole relazioni; in assenza, quindi, di ogni precisazione in merito a tali determinanti componenti grafiche, è evidente come l’indicazione di un certo numero di pagine rivestisse carattere essenzialmente indicativo e di massima mentre il mancato rispetto della stessa non poteva configurare neppure una lesione della par condicio tra i concorrenti.

Con l’effetto che in presenza di una clausola del bando equivoca e sfornita di apposita previsione di esclusione in relazione agli aspetti redazionali, doveva escludersi, in applicazione del principio di favor partecipationis, che la concorrente potesse essere legittimamente esclusa.

Risulta inoltre erronea anche la affermazione del primo giudice laddove ha ritenuto che se la previsione di gara fosse stata dalla ricorrente ritenuta lesiva la stessa avrebbe dovuto costituire oggetto di specifica e tempestiva impugnazione .

Il primo giudice non ha tenuto conto del noto principio giurisprudenziale, anche di recente ribadito dalla Sezione, secondo cui vi è necessità di immediata impugnazione della clausola del bando lesiva solo ove questa precluda in maniera definitiva ed univoca la partecipazione alla gara, ma non nel caso in cui la stessa clausola sia ambigua (Cons. Stato, V 15 ottobre 2010 n.7515) .

Nel caso in esame la clausola posta dal punto 10.1.2. ha manifestato la propria capacità lesiva solo attraverso la concreta (ed erronea) applicazione fattane dalla stazione appaltante con il provvedimento di esclusione gravato.

Pertanto non vi era onere per la ricorrente di immediata impugnativa.

In conclusione il plurimo motivo di cui al punto 1. dell’atto di appello merita accoglimento.

5. La Ricorrente aveva altresì censurato in primo grado l’altro motivo di esclusione deducendo la illegittimità della condotta del Comune per violazione e falsa applicazione degli artt. 4.5. e 4.6 del Capitolato speciale di appalto. In particolare la Ricorrente aveva dedotto la illegittimità del provvedimento esclusione nella parte in cui afferma che l’esponente avrebbe omesso la “indicazione del direttore di commessa e la relativa accettazione della funzione, nonché la indicazione della qualifica del responsabile dell’esercizio e della manutenzione come previsto dall’articolo 4.6. del CSA”.

Tale disposizione stabiliva che la impresa dovesse procedere alla indicazione “della qualifica del Responsabile dell’esercizio e della manutenzione”; “del nome e della qualifica del Direttore di commessa (direttore di cantiere) che assumerà tutte le responsabilità tecniche connesse ai lavori di cui al Capitolato”; “tale figura deve essere rappresentata da un Ingegnere o da un perito industriale”.

Con riferimento specifico al “direttore di cantiere” la previsione prevedeva che questo ultimo dovesse rilasciare “apposita dichiarazione di accettazione della funzione, da allegare al progetto gestionale”.

La previsione in ogni caso non era assistita da alcuna comminatoria specifica di esclusione.

6. Il Tar ha assorbito il motivo ritenendo sufficiente ad integrare la esclusione la violazione degli art. 10.1.2. del Capitolato. L’accoglimento del primo motivo dedotto induce il Collegio ad esaminare anche tale motivo di esclusione.

La Ricorrente assume nell’atto di appello che la esclusione ha assunto presupposti di fatto inesistenti, illogici ed irrazionali con conseguente violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità nonché per carenza di motivazione.

La doglianza merita accoglimento.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla amministrazione invero la Ricorrente ha adempiuto agli oneri in parola avendo presentato la dichiarazione ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.p.r. n.445 del 2000 nella quale aveva indicato espressamente ai punti 7 ed 8 i nominativi e le qualifiche dei vari responsabili dell’esercizio e della manutenzione nonché dei direttori di commessa, ossia dei direttori di cantiere (tutti dipendenti dell’impresa) i quali avrebbero assunto, nel corso della esecuzione, tutte le responsabilità tecniche connesse ai lavori in oggetto.

Essendo tutti i soggetti indicati dipendenti della impresa era dato ritenere, alla stregua delle disposizioni di cui all’art. 6 del DM 145/2000, che non fosse necessaria alcuna specifica accettazione. Tale disposizione prevede infatti che la direzione del cantiere sia assunta in diretta, e senza necessità di apposito conferimento o accettazione, dal Direttore Tecnico dell’impresa e che la stessa non possa essere assunta da altro soggetto tecnico se non in virtù di un formale incarico da parte della impresa. Pertanto in assenza di tale ultimo incarico la direzione di commessa sarebbe stata assunta dai direttori tecnici dell’impresa indicati nella dichiarazione .

Si aggiunga che le clausole in parola attengono più propriamente ai requisiti di esecuzione del contratto e non di partecipazione alla gara.

Si richiama poi l’orientamento giurisprudenziale secondo cui è illegittima la esclusione dalla partecipazione ad una gara motivata esclusivamente sulla base di un divieto non assistito (come nel caso di specie) dalla relativa sanzione in quanto contrastante con i principi di favor partecipationis e della tassatività delle cause di esclusione, le quali devono risultare chiaramente dal bando (Cons. Stato, V, 11 dicembre 2007 n.6410) .

7. L’accoglimento delle censure avverso i motivi di esclusione determina la necessità di esaminare la istanza risarcitoria avanzata dalla appellante. Sulla domanda risarcitoria la appellante chiede:

a) Danno emergente ex 1223 cc cioè i costi e gli oneri sostenuti dalla impresa in relazione alla gara in oggetto quantificati in euro 30.021,02 coincidenti con le prestazioni professionali effettuate nell’ambito delle risorse aziendali . Nel caso in esame assume la ricorrente che se è vero che ogni impresa deve assumersi il rischio che le spese attinenti alla partecipazione alla gara restino a proprio carico nella ipotesi in cui l’appalto sia attribuito ad un concorrente, l’accettazione di tale rischio riposa tuttavia sulla presunzione che la commissione agisca in maniera imparziale in modo da garantire le pari opportunità tra gli offerenti.

Tali costi sarebbero riconducibili a danno emergente “in quanto rappresentano una diminuzione reale del patrimonio del privato per effetto di esborsi connessi alla inutile partecipazione al procedimento venendo in rilevo il diritto soggettivo del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili ed addirittura illegittime”.

b) Mancato guadagno per perdita di chance avendo la amministrazione colpevolmente inibito alla impresa la possibilità di partecipare alla procedura e quindi di rendersi aggiudicataria della gara . Secondo la appellante il risarcimento per equivalente della chance deve essere quantificato con la determinazione dell’utile che sarebbe stato possibile conseguire in caso di vittoria quantificato in via forfettaria in misura pari al 10% del prezzo base dell’appalto.

8. Va premesso che l’accertamento della spettanza dell’appalto alla appellante si rileva impossibile in quanto la selezione del contraente è avvenuta sulla base della offerta economicamente più vantaggiosa e dunque con un metodo di selezione consistente in un apprezzamento tecnico discrezionale della offerta riservato alla amministrazione, che non tollera alcun sovrapposizione in sede giustiziale.

Con l’effetto che la appellante non puo’ che essere risarcita per equivalente, come peraltro richiesto, mantenendo ferma, pertanto, la efficacia del contratto già stipulato dalla amministrazione.

Sotto altro profilo si tenga conto che nel caso in esame ricorrono gli elementi costitutivi del danno e, in particolare, la colpa della p.a. che, come sopra evidenziato, ha violato chiari principi e norme in materia di interpretazione dei bandi di gara.

9. Quanto ai costi ed agli oneri sostenuti per la partecipazione alla gara richiesti dalla appellante, deve sottolinearsi che tali costi ed oneri non sono suscettibili di risarcimento in quanto costituiscono voce di spesa ordinariamente a carico dei partecipanti.

L’orientamento giurisprudenziale preferibile è infatti nel senso che quando l’impresa partecipante ad una gara pubblica ottiene il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione, ovvero per la semplice perdita della possibilità di aggiudicazione, non sussistono i presupposti per il risarcimento dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione (Cons. Stato , sez. IV, 07 settembre 2010, n. 6485).

10. Quanto alla lamentata perdita di chance la Sezione ritiene di aderire all’indirizzo giurisprudenziale che limita il criterio presuntivo del 10%, invocato dalla appellante, facendo applicazione del principio dell’aliunde perceptum, quale strumento per evitare indebite locupletazioni da parte del danneggiato, secondo il quale il mancato guadagno può essere risarcito per intero, se e in quanto l’impresa sarebbe stata aggiudicataria della gara e possa nel contempo documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi. Laddove tale dimostrazione non sia stata offerta, è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 1666/08).

L’onere di provare l’assenza dell’aliunde perceptum grava sull’impresa dovendosi ritenere che l’imprenditore, in quanto soggetto che esercita professionalmente un’attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte per tutto il tempo della gara e sino alla mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili.

Poiché l’appellata non ha fornito prova al riguardo, né presentando la offerta economica, né documentando un’inutile immobilizzazione di risorse umane e mezzi tecnici, deve concludersi che essa abbia ragionevolmente riadoperato le proprie risorse per lo svolgimento di attività analoghe, con la necessità della riduzione dell’importo a base d’asta al 50%, secondo un criterio di riduzione in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c.. Questa cifra va a sua volta divisa per il numero dei partecipanti alla gara (Sez. VI, 9 marzo 2007 , n. 1114; sez. VI, 9 novembre 2006 n. 6607 ; Sezione VI, 25 luglio 2006, n. 4634 ; sez. V 24 ottobre 2002 n. 5860 ).

11. In definitiva, ai sensi dell’art. 35, co. 2, d.lgs. 80/98, il Comune di Napoli dovrà proporre alla appellante il pagamento, a titolo di risarcimento, di una somma pari al 50% dell’importo a base d’asta diviso il numero dei partecipanti, entro il termine di giorni 60 (sessanta) dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, o dalla notifica di essa a cura di parte.

Sulle somme da liquidare saranno conteggiati interessi e rivalutazione monetaria dalla data della pubblicazione della sentenza sino al definitivo pagamento.

12. Le spese ed agli onorari dei due gradi di giudizio seguono la soccombenza e vengono posti a carico del Comune di Napoli nella misura di euro 8.000,00 (ottomila).

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),

definitivamente pronunciando, in riforma della sentenza appellata, accoglie l’appello in epigrafe indicato, accoglie il ricorso di primo grado.

Liquida a favore della appellante le spese dei due gradi di giudizio nella misura di euro 8.000 (ottomila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

***********************, Presidente FF

************, Consigliere

Aldo Scola, Consigliere

Eugenio Mele, Consigliere

***************, ***********, Estensore

L’ESTENSORE             IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/01/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Lazzini Sonia

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