Quando l’abuso di ufficio non è configurabile

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(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 323)

Indice:

Il fatto

La Corte di Appello di Firenze confermava una sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Prato che, a sua volta, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato per il reato di cui agli artt. 56, 110 e 323 cod. pen..

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che deduceva violazione di legge in relazione alla configurabilità del reato di abuso di ufficio per la mancanza dell’elemento dello “svolgimento della funzioneposto che, ad avviso del ricorrente, non era riconducibile la condotta abusiva contestata all’imputato alla sfera delle sue funzioni pubbliche.

Leggi anche Abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) e Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione (art. 328 c.p.)

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era ritenuto fondato per i seguenti motivi.

Gli Ermellini osservavano prima di tutto che la condotta di abuso di ufficio deve realizzarsi necessariamente “nello svolgimento delle funzioni o del servizio”, non essendo sufficiente la sola violazione di una norma che veda come destinatari i consiliari comunali e, dunque, con siffatta locuzione contenuta nell’art. 323 cod. pen., sempre per la Corte di legittimità, si è reso chiaro che per la configurabilità del reato non rileva l’abuso della qualità pubblica ma è necessario che l’abuso si realizzi attraverso l’esercizio del potere pubblico, essendo stato affermato a tal riguardo che, ai fini della integrazione dell’elemento oggettivo del reato, è richiesto che l’abuso si realizzi attraverso l’esercizio da parte del pubblico ufficiale del potere pubblico allo stesso attribuito, con la conseguenza che il reato in questione non è configurabile quando il pubblico ufficiale agisca del tutto al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni (Sez. 6, n. 5118 del 25/02/1998; Sez. 2, n. 7600 del 09/02/2006; Sez. 3, n. 52053 del 03/10/2017, nel caso di atti compiuti con difetto assoluto di attribuzione) ovvero senza servirsi in alcun modo dell’attività funzionale svolta (Sez. 6, n. 6489 del 04/11/2008) ovvero quando la condotta sia soltanto occasionata dallo svolgimento delle sue funzioni (Sez. 6, n. 42836 del 02/10/2013).

Tal che se ne faceva discendere che, in tali casi, i comportamenti non correlati all’attività funzionale dell’agente possono integrare una mera violazione del dovere di correttezza, non rilevante tuttavia per integrare il reato di cui all’art. 323 cod. pen. (così Sez. 6, n. 6489 del 04/11/2008), anche se realizzati in contrasto di interessi con l’attività istituzionale (Sez. 6, n. 1269 del 05/12/2012, dep. 2013, Rv. 254228).

Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, i giudici di piazza Cavour ritenevano in particolare come la condotta di abuso dell’intraneus fosse stata contestata e accertata in sede di merito con riferimento alla sola violazione da parte del pubblico ufficiale di una norma comportamentale, posta a tutela del principio di imparzialità e di buona amministrazione, per prevenire conflitti di interessi tra l’attività istituzionale dei consiglieri comunali e quella privata che questi potrebbero svolgere con incarichi e consulenze affidati da enti o istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo ed alla vigilanza del relativo comune, trattandosi quindi di una condotta (l’assunzione di un incarico professionale presso un’azienda municipalizzata) che non coinvolgeva da parte dell’intraneus lo svolgimento della sua attività funzionale pubblica.

Difettando quindi il presupposto della condotta di abuso, la sentenza impugnata era pertanto annullata senza rinvio per insussistenza del fatto.

Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando non è configurabile, per carenza di uno degli elementi costitutivi, il delitto preveduto dall’art. 323 cod. pen.,

Difatti, in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, è asserito che, ai fini della integrazione dell’elemento oggettivo del reato, è richiesto che l’abuso si realizzi attraverso l’esercizio da parte del pubblico ufficiale del potere pubblico allo stesso attribuito con la conseguenza che il reato in questione non è configurabile quando il pubblico ufficiale agisca del tutto al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni, come nel caso di atti compiuti con difetto assoluto di attribuzione ovvero quando l’autore del fatto non si avvalga in alcun modo dell’attività funzionale svolta o, ancora, quando la condotta sia soltanto occasionata dallo svolgimento delle sue funzioni.

Di conseguenza, fermo restando che tale orientamento ermeneutico, confermato in tale provvedimento, seppur antecedente alla riforma apportata all’art. 323 cod. pen. per effetto dell’art. 23, co. 1, d.l., 16 luglio 2020, n. 76 (convertito nella legge, 11 settembre 2020, n. 120), rileva anche dopo tale modifica legislativa posto che tale riforma non ha interessato quella parte dell’art. 323 cod. pen. in cui si fa riferimento allo “svolgimento delle funzioni o del servizio”, la sentenza qui in commento deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di verificare l’applicabilità di cotale norma incriminatrice.

Difatti, quando l’abuso non si configura durante l’esercizio da parte del pubblico ufficiale del potere pubblico allo stesso attribuito, come fatto presente sempre in codesta sentenza, i comportamenti non correlati all’attività funzionale dell’agente possono tutt’al più integrare solo una mera violazione del dovere di correttezza, anche se realizzati in contrasto di interessi con l’attività istituzionale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta decisione, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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