Quando in corso di giudizio l’annullamento del provvedimento impugnato non è più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità del provvedimento se sussiste l’interesse ai fini risarcitori

Lazzini Sonia 24/02/11
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E’noto che, di regola, l’intervenuta integrale esecuzione dell’appalto non rende inammissibile o improcedibile il ricorso tendente all’annullamento degli atti di gara, dovendosi ritenere persistente l’interesse all’accertamento dell’illegittimità degli stessi, in funzione del rilievo che la relativa statuizione giurisdizionale può assumere nel successivo giudizio risarcitorio diretto a ristorare il ricorrente del pregiudizio patito per effetto dell’illegittimità provvedimentale.

Il principio ha trovato evidenza positiva nell’art. 34 comma 3 del nuovo codice del processo amministrativo, a mente del quale quando in corso di giudizio l’annullamento del provvedimento impugnato non è più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità del provvedimento se sussiste l’interesse ai fini risarcitori.

Nel caso in esame, la ******à ricorrente ha prospettato l’illegittimità del provvedimento di esclusione per evidenziare di essere stata ingiustamente privata dell’affidamento del servizio e per sottolineare come il comportamento illecito dell’amministrazione comunale le abbia provocato danni meritevoli di risarcimento per equivalente; essa, quindi, non ha evidenziato nel ricorso alcun interesse diverso da quello risarcitorio ad ottenere una pronuncia di annullamento che, stante l’intervenuta scadenza del contratto, non potrebbe avere alcun riflesso sul successivo riesercizio del potere amministrativo.

Ne consegue che, proseguendo la causa solo al fine di dichiarare fondata o infondata la domanda risarcitoria, il Collegio, per economia di giudizio può prendere in esame direttamente quest’ultima al fine di verificare se dall’eventuale declaratoria della illegittimità del provvedimento impugnato possa sortire un risultato utile per la società ricorrente. Per le stesse ragioni si può prescindere anche dall’esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione della aggiudicazione definitiva formulata dalla Amministrazione resistente.

La domanda risarcitoria, è, infatti, infondata.

Ai fini della prova del danno subito RICORRENTE richiede che venga espletata apposita CTU al fine di determinare la differenza fra il prezzo dell’appalto da essa offerto ed il costo complessivo del servizio che essa avrebbe dovuto approntare.

Tuttavia, secondo la costante giurisprudenza della Corte Suprema nei casi in cui sia incerto l’ammontare del danno derivante da un fatto illecito, l’attore e’ tenuto a fornire al giudice elementi ai fini della quantificazione, e la consulenza tecnica non può assolvere a finalità probatorie, ma solo offrire un ausilio tecnico al giudice nell’esame delle risultanze processuali, salvo i casi in cui l’accertamento da compiersi abbia ad oggetto situazioni e fatti rilevabili soltanto con l’ausilio di particolari cognizioni tecniche (v. Cass. n. 6166/96, 15399/02, 16256/04, 1020/06, 3990/06).

Gli elementi necessari alla prova del danno asseritamente subito dalla ricorrente erano tuttavia nella sua disponibilità ed avrebbero potuto e dovuto da essa essere dedotti e prodotti in giudizio, trattandosi della documentazione atta ad evidenziare i costi che da essa avrebbero dovuto essere sostenuti per dare esecuzione al contratto di appalto qualora le fosse stato affidato, la cui “percezione” da parte del Collegio non richiedeva, quindi necessariamente l’ausilio di un consulente tecnico.

Il rispetto del principio basilare sancito dall’art. 2697 c.c. impone, infatti, al ricorrente che agisce ai fini di vedersi riconoscere i danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo di fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi da ciò esimere invocando il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 30 luglio 2007, n. 10; sez. VI, 2 marzo 2004, n. 973).

Né alla mancanza di prova in punto di danno potrebbe sopperire la determinazione forfettaria dell’utile nella misura del 10% dell’importo a base d’asta decurtato del ribasso contenuto nell’offerta.

Tale criterio, infatti, è stato ripudiato dalla più consapevole giurisprudenza del giudice amministrativo la quale ha osservato che esso, pur evocato come criterio residuale in una logica equitativa, nella situazione economica attuale, caratterizzata da elevati ribassi che comprimono l’utile di impresa, e da rendimenti finanziari ben inferiori alla percentuale del 10%, finisce per attribuire all’imprenditore escluso un risarcimento sovradimensionato rispetto ai normali rendimenti, facendo così venir meno il suo interesse a dedurre in giudizio i necessari elementi di prova della obbligazione risarcitoria (Cons. Stato, V, 17 ottobre 2008 n. 5098; 13 giugno 2008, n. 2967, 16 febbraio 2009 n. 842; 6 aprile 2009 n. 2143, sez. VI, 21 maggio 2009 n. 3144).

Non provate, nemmeno attraverso mezzi presunti, risultano anche le altre domande risarcitorie con cui si chiede il ristoro delle spese sostenute per la partecipazione alla gara e della perdita di chance derivante dall’impossibilità di far valere in altre gare il requisito economico corrispondente alla mancata fatturazione dei lavori.

La ricorrente chiede che il Collegio provveda ad una liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. di tali asseriti danni. Ma ciò non è ammissibile perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare il danno subito che, di regola, ricorre solo nel caso di danni non patrimoniali.

La domanda risarcitoria deve, quindi essere respinta per mancanza di prova. Per l’effetto non si rende necessario l’accertamento della illegittimità dell’atto impugnato.

Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 7487 del 9 dicembre 2010 pronunciata dal Tar Lombardia, Milano

 

N. 07487/2010   07487/2010   REG.SEN.

N. 03223/2002   03223/2002    REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3223 del 2002, proposto da: ***

contro***

nei confronti di***

per l’annullamento

del provvedimento prot. n. 13403 in data 15/07/2002 con il quale il Responsabile del settore gestione del territorio del Comune di Opera ha comunicato alla ricorrente l’esclusione dalla gara d’appalto per i servizi di manutenzione ed integrazione del verde pubblico avvenuta con verbale del 12/07/2002 della Commissione di gara.

Nonché per la condanna del Comune di Opera al risarcimento del danno.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Opera;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2010 il dott. ***************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con il provvedimento impugnato il Comune di Opera ha comunicato alla RICORRENTE S.r.l. la sua esclusione dalla gara per l’aggiudicazione dell’appalto dei servizi di integrazione e manutenzione del verde pubblico a cagione della anomalia dell’offerta da essa presentata.

Avverso il suddetto atto, nonché del verbale della Commissione di gara contenente l’aggiudicazione provvisoria alla s.p.a. Controinteressata, ha proposto ricorso l’interessata deducendo i vizi di violazione degli artt. 23 e 25 del D.Lgs n. 157/95 e dell’art. 13 del bando, violazione dell’art. 1 del capitolato speciale di gara, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travricorrenteento dei fatti, difetto dei presupposti, erronea ed insufficiente motivazione; violazione del bando del capitolato speciale nella parte in cui non prevedono la possibilità da parte della commissione di nomina di un consulente esterno per la valutazione delle offerte anomale.

Si è costituito in giudizio il Comune di Opera che ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per mancata impugnazione dell’aggiudicazione definitiva.

All’udienza del 21 ottobre 2010, sentiti gli avvocati delle parti come da separato verbale, relatore *********************, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il contratto di appalto a cui si riferisce l’impugnata aggiudicazione, pur considerando la proroga del relativo termine triennale di durata, intervenuta a seguito della determinazione del Capo Settore Pianificazione e Gestione del Territorio del Comune di Opera del 30 settembre 2005, è scaduto in data 31 dicembre 2005.

E’noto che, di regola, l’intervenuta integrale esecuzione dell’appalto non rende inammissibile o improcedibile il ricorso tendente all’annullamento degli atti di gara, dovendosi ritenere persistente l’interesse all’accertamento dell’illegittimità degli stessi, in funzione del rilievo che la relativa statuizione giurisdizionale può assumere nel successivo giudizio risarcitorio diretto a ristorare il ricorrente del pregiudizio patito per effetto dell’illegittimità provvedimentale.

Il principio ha trovato evidenza positiva nell’art. 34 comma 3 del nuovo codice del processo amministrativo, a mente del quale quando in corso di giudizio l’annullamento del provvedimento impugnato non è più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità del provvedimento se sussiste l’interesse ai fini risarcitori.

Nel caso in esame, la ******à ricorrente ha prospettato l’illegittimità del provvedimento di esclusione per evidenziare di essere stata ingiustamente privata dell’affidamento del servizio e per sottolineare come il comportamento illecito dell’amministrazione comunale le abbia provocato danni meritevoli di risarcimento per equivalente; essa, quindi, non ha evidenziato nel ricorso alcun interesse diverso da quello risarcitorio ad ottenere una pronuncia di annullamento che, stante l’intervenuta scadenza del contratto, non potrebbe avere alcun riflesso sul successivo riesercizio del potere amministrativo.

Ne consegue che, proseguendo la causa solo al fine di dichiarare fondata o infondata la domanda risarcitoria, il Collegio, per economia di giudizio può prendere in esame direttamente quest’ultima al fine di verificare se dall’eventuale declaratoria della illegittimità del provvedimento impugnato possa sortire un risultato utile per la società ricorrente. Per le stesse ragioni si può prescindere anche dall’esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione della aggiudicazione definitiva formulata dalla Amministrazione resistente.

La domanda risarcitoria, è, infatti, infondata.

Ai fini della prova del danno subito RICORRENTE richiede che venga espletata apposita CTU al fine di determinare la differenza fra il prezzo dell’appalto da essa offerto ed il costo complessivo del servizio che essa avrebbe dovuto approntare.

Tuttavia, secondo la costante giurisprudenza della Corte Suprema nei casi in cui sia incerto l’ammontare del danno derivante da un fatto illecito, l’attore e’ tenuto a fornire al giudice elementi ai fini della quantificazione, e la consulenza tecnica non può assolvere a finalità probatorie, ma solo offrire un ausilio tecnico al giudice nell’esame delle risultanze processuali, salvo i casi in cui l’accertamento da compiersi abbia ad oggetto situazioni e fatti rilevabili soltanto con l’ausilio di particolari cognizioni tecniche (v. Cass. n. 6166/96, 15399/02, 16256/04, 1020/06, 3990/06).

Gli elementi necessari alla prova del danno asseritamente subito dalla ricorrente erano tuttavia nella sua disponibilità ed avrebbero potuto e dovuto da essa essere dedotti e prodotti in giudizio, trattandosi della documentazione atta ad evidenziare i costi che da essa avrebbero dovuto essere sostenuti per dare esecuzione al contratto di appalto qualora le fosse stato affidato, la cui “percezione” da parte del Collegio non richiedeva, quindi necessariamente l’ausilio di un consulente tecnico.

Il rispetto del principio basilare sancito dall’art. 2697 c.c. impone, infatti, al ricorrente che agisce ai fini di vedersi riconoscere i danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo di fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi da ciò esimere invocando il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 30 luglio 2007, n. 10; sez. VI, 2 marzo 2004, n. 973).

Né alla mancanza di prova in punto di danno potrebbe sopperire la determinazione forfettaria dell’utile nella misura del 10% dell’importo a base d’asta decurtato del ribasso contenuto nell’offerta.

Tale criterio, infatti, è stato ripudiato dalla più consapevole giurisprudenza del giudice amministrativo la quale ha osservato che esso, pur evocato come criterio residuale in una logica equitativa, nella situazione economica attuale, caratterizzata da elevati ribassi che comprimono l’utile di impresa, e da rendimenti finanziari ben inferiori alla percentuale del 10%, finisce per attribuire all’imprenditore escluso un risarcimento sovradimensionato rispetto ai normali rendimenti, facendo così venir meno il suo interesse a dedurre in giudizio i necessari elementi di prova della obbligazione risarcitoria (Cons. Stato, V, 17 ottobre 2008 n. 5098; 13 giugno 2008, n. 2967, 16 febbraio 2009 n. 842; 6 aprile 2009 n. 2143, sez. VI, 21 maggio 2009 n. 3144).

Non provate, nemmeno attraverso mezzi presunti, risultano anche le altre domande risarcitorie con cui si chiede il ristoro delle spese sostenute per la partecipazione alla gara e della perdita di chance derivante dall’impossibilità di far valere in altre gare il requisito economico corrispondente alla mancata fatturazione dei lavori.

La ricorrente chiede che il Collegio provveda ad una liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. di tali asseriti danni. Ma ciò non è ammissibile perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare il danno subito che, di regola, ricorre solo nel caso di danni non patrimoniali.

La domanda risarcitoria deve, quindi essere respinta per mancanza di prova. Per l’effetto non si rende necessario l’accertamento della illegittimità dell’atto impugnato.

La novità delle questioni giustifica la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, rigetta la domanda risarcitoria. Dichiara la carenza di interesse rispetto alla domanda di annullamento dell’atto impugnato.

Compensa per intero le spese tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2010 con l’intervento dei magistrati:

*****************, Presidente

*************, Referendario

*****************, Referendario, Estensore

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/12/2010

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Lazzini Sonia

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