Quali rimedi per l’usura sopravvenuta?

Redazione 23/01/19
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Mentre l’ordinamento appresta una serie di rimedi per l’usura originaria, nessun rimedio è espressamente previsto con riferimento all’usura sopravvenuta. Vediamo quali rimedi sono astrattamente ipotizzabili per l’usura sopravvenuta, tenendo conto di una recente sentenza della Sezioni Unite sul punto.

Rimedi per l’usura originaria

La disciplina dell’usura rappresenta un limite all’autonomia delle parti, giacché le vincola a pattuire gli interessi al di sotto di una determinata soglia prevista per legge, pena l’incriminazione ex art. 644 c.p., la nullità della clausola feneratizia ex art.  1815 c.c., nonché la possibilità di esperire l’azione di rescissione per lesione ex art. 1448 c.c.

Sul piano penale, l’art. 644 c.p. prevede che “Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643 si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000. Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro o altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario. La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”.

In attuazione del rinvio effettuato dall’art. 644 c.p., l’art. 2 della legge 7 marzo 1996, n.108 ha fissato le modalità di calcolo del tasso-soglia superato il quale l’interesse si considera usurario.

Sul piano civilistico, in base all’art. 1815 c.c. “salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell’articolo 1284. Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.

La norma appena citata prevede una nullità parziale che si riverbera, però, sull’intera clausola feneratizia, con conseguente trasformazione del mutuo a titolo oneroso in mutuo a titolo gratuito (senza interessi).

L’art. 1815 c.c., va precisato, si applica però solo alla usura pecuniaria a interessi, vale a dire l’usura che si verifica a fronte di un finanziamento remunerato con interessi (a differenza dell’art. 644 c.p., che incrimina l’usura praticata in qualsiasi forma).

L’art. 1815 c.c. non è dunque applicabile alla c.d. usura reale (cioè all’usura che deriva dalla dazione di un bene o dall’effettuazione di un’altra prestazione) o all’usura pecuniaria non ad interessi (cioè all’usura che deriva da un finanziamento che non sia remunerato con interessi, ma con beni di diversa natura).

In questi casi, la sproporzione non è sanzionata con la nullità parziale, bensì attraverso l’istituto della rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. Come noto, ai fini dell’operatività di quest’ultimo rimedio, è però necessaria una sproporzione ultra dimidium.

Sulla scorta del dato normativo espresso sin qui illustrato, parrebbero dunque prive di tutela le ipotesi di usura reale o di usura pecuniaria non ad interessi che non siano ulltra dimidium, sulla scorta dell’art. 1448 c.c.. In realtà, per questo tipo di ipotesi, si potrebbe ipotizzare comunque una responsabilità precontrattuale da contatto sociale.

I rimedi sin qui illustrati sono applicabili unicamente all’usura originaria, vale a dire alla clausola usuraria che risulta tale al momento della sua pattuizione. Ciò si ricava dall’art. 1815 c.c. (che fa riferimento agli interessi usurari “convenuti”), nonché dalla norma di interpretazione autentica prevista dall’art. comma 1, d.l. n. 394 del 2000 (conv. con l. 28 febbraio 2001, n. 24) in base alla quale si intendono usurari gli interessi che superano il tasso-soglia “nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti”.

Vediamo quali diversi rimedi sono ipotizzabili in relazione all’usura sopravvenuta.

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Rimedi per l’usura sopravvenuta

L’usura sopravvenuta si verifica in presenza di interessi che non risultavano usurari al momento della pattuizione, ma che lo sono divenuti successivamente (nella fase di esecuzione del contratto).

L’usura sopravvenuta può verificarsi in due occasioni.

Innanzitutto, in relazione ai contratti stipulati prima dell’introduzione della legge 7 marzo 1996, n.108, quando le parti non avevano ancora cognizione del futuro tasso soglia che sarebbe stato imposto dal legislatore e hanno contrattualmente stabilito la corresponsione di interessi oltre il predetto tasso. Allorché tali contratti risultino ancora in corso di esecuzione in seguito all’introduzione della legge 7 marzo 1996, n.108, essi integrano un’ipotesi di usura sopravvenuta. In tal caso l’usura sopravvenuta è la conseguenza di una sopravvenienza normativa.

In relazione ai contratti stipulati dopo l’introduzione della legge 7 marzo 1996, n.108, l’usura sopravvenuta può configurarsi a causa della flessibilità nel tempo del tasso-soglia stabilita dalla predetta legge. Il tasso soglia, infatti, viene ricalcolato periodicamente sulla base delle rilevazioni trimestrali dei Tassi di Interesse Effettivi Globali Medi (TEGM).

Gli interessi afflitti da usura sopravvenuta sono leciti nel nostro ordinamento?

Sono plurime le tesi orientate a escludere l’ammissibilità degli interessi connotati da usura sopravvenuta.

Vi è chi ha sostenuto che ricorra un’ipotesi di nullità sopravvenuta, sulla scorta della natura imperativa della norma che fissa la soglia dell’usura (art. 2 l.108/1996). Si tratterebbe nullità virtuale parziale, con conseguente sostituzione ex artt. 1339 e 1419 c.c. della clausola usuraria con la soglia usuraria massima prevista dalla legge.

In base ad una seconda impostazione, la clausola usuraria sarebbe inefficace, anche in tal caso con meccanismo di sostituzione con la soglia massima usuraria.

In base ad una terza impostazione, la pretesa di interessi superiori al tasso soglia sarebbe inesigibile da parte del creditore, in quanto contrastante con il principio di esecuzione del contratto secondo buona fede imposto dall’art. 1375 c.c.

Di contro, le Sezioni Unite con sentenza del 19 ottobre 2017 n. 24675 hanno affermato la sostanziale irrilevanza dell’usura sopravvenuta.

Le Sezioni Unite, infatti, hanno innanzitutto rilevato che la nullità è una patologia essenzialmente di tipo genetico, mentre non è configurabile la categoria della nullità sopravvenuta. Inoltre, non sarebbe dato ravvisare nell’ordinamento un divieto espresso di usura sopravvenuta (giacchè l’art. 644 c.p. – unica norma contenente un divieto secondo le Sezioni Unite – sarebbe riferibile unicamente all’usura originaria).

In secondo luogo, le Sezioni Unite hanno ritenuto non condivisibile l’orientamento che afferma l’inefficacia della clausola divenuta usuraria. Come noto, l’inefficacia segue una patologia o un altro fatto che la legge prevede dia luogo a inefficacia (come la condizione sospensiva). In relazione all’usura sopravvenuta, l’inefficacia risulterebbe priva di fondamento (come a dire una conseguenza senza causa).

Infine, le Sezioni Unite hanno rilevato come il principio di esecuzione del contratto seconda buona fede attenga alle modalità di attuazione del rapporto e non sia invece idoneo a impedire in sé l’esercizio di un diritto contrattualmente stabilito.

Conclusivamente, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: “allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.

Resterebbe, d’altra parte, la possibilità di ipotizzare il ricorso all’exceptio doli allorché si riesca a dimostrare che la pretesa degli interessi usurari, che trova fondamento in una legittima clausola contrattuale, sia però attuata con modalità abusive (con conseguente impossibilità di pretendere quanto meno la parte degli interessi sopra soglia).

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