Quale presente della famiglia?

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Abstract: L’Autrice propone una fotografia delle attuali dinamiche familiari filtrata attraverso una sintetica rilettura delle normative internazionali e nazionali di riferimento.

 

  1. Introduzione

Nel 1971 lo psichiatra David Cooper, esponente della cosiddetta “antipsichiatria”, presagiva la morte della famiglia, teoria che, come altre ispirate dal movimento sessantottino, s’è rivelata fallace.

“Ora che abbiamo definitivamente alle spalle la stagione ideologica che ha predicato e preconizzato la «morte della famiglia»”1, ci si interroga su quale sia il presente della famiglia. C’è chi parla di declino, chi di trasformazione, chi preferisce parlare di transizione. “E la transizione, ogni transizione (da quelle collettive a quelle più strettamente individuali e personali) va guidata affinché muti ciò che deve mutare, ma permanga quel che deve permanere2. Allora, sarebbe più opportuno parlare di crisi della famiglia, ma non con l’accezione negativa che si è soliti attribuire alla parola crisi ma nel senso etimologico. “Crisi” come giudizio, scelta, separazione, ovvero come contingenza quotidiana cui ogni famiglia si trova di fronte e deve reagire. “Le forme e le funzioni delle famiglie variano da un paese all’altro come pure all’interno di una stessa società. Questa diversità riflette le differenti scelte individuali e le condizioni di vita all’interno di una società”3.

  1. Evoluzione della famiglia

In realtà, quello che è tramontato è il modello tradizionale di famiglia o la famiglia tipo, anche in Africa in cui la famiglia primigenia ha generato il primo uomo. A causa delle carestie, delle continue guerre, dei flussi migratori, della massiccia urbanizzazione e della globalizzazione “eppure oggi in Africa la famiglia sta conoscendo una rivoluzione copernicana. Epocale. Un po’ ovunque. È più evidente nei grandi contesti urbani, dove è stata sottoposta a un processo di deflagrazione drammatico e devastante”4. Dalla famiglia allargata del villaggio e della tradizione (di cui si parla espressamente nell’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989), dove età, esperienze e ruoli diversi si armonizzavano all’interno di un insieme complesso e inclusivo, alla famiglia mononucleare composta da mamme single, che tende a escludere tutti e tutto, perché non c’è spazio né tempo per attenzioni e cure. Questo processo in corso in Africa ha, già da tempo, prodotto i suoi effetti nella società occidentale, mediterranea ed in particolare in quella italiana. “Ora, se il modello «tradizionale» della famiglia è, come effettivamente è, criticabile, e tale da farcelo sentire irrimediabilmente lontano, ciò non dipende dal suo non essere «moderno», ma dal suo privilegiare la dimensione istituzionale del rapporto familiare a quella personale”5. Infatti, col passare dalla famiglia estesa o polinucleare alla famiglia ristretta o nucleare, si è passati da una famiglia incentrata sulla sfera pubblica (si pensi, per esempio, alla legislazione sociale fascista a tutela della famiglia e della maternità) alla famiglia incentrata sulla sfera privata. La famiglia autoritaria e adultocentrica è diventata paritaria e puerocentrica; si è passati dalla tirannia del padre-padrone all’allevare “piccoli apprendisti tiranni”. “È un fatto che mai come oggi i bambini hanno avuto tanto potere: costringono famiglie e società ad adattarsi a loro!”6. La famiglia non è più incentrata sulla procreazione come funzione essenziale ma è orientata a scelte procreative viste soprattutto come gratificazione di coppia o addirittura del singolo. La famiglia patriarcale è divenuta matrizzata. La famiglia con una funzione sociale (procreazione, lavoro, religione) ha lasciato il posto alla famiglia con una funzione personale, ovvero non più legata alle esigenze del gruppo sociale, ma alle aspirazioni, ai desideri e alle attese della coppia e degli altri membri. La famiglia etica o normativa è diventata affettiva. La famiglia non è cambiata solo al suo interno ma anche nei rapporti con l’esterno, dalla società al diritto, dalla politica all’economia. In altre parole, non è più tanto condizionata nelle scelte quanto condizionante le scelte; si pensi per esempio, a livello legislativo, alla riduzione degli anni di separazione da 5 a 3 per ottenere il divorzio perché queste sono state le istanze dei singoli.

“Questo complesso sistema di cambiamenti può essere ricondotto ad un essenziale mutamento di prospettiva, quello cioè del primato dei sentimenti. Periferici, se non del tutto assenti, nella famiglia del passato – troppo influenzata da condizionamenti esterni – essi sono diventati centrali nella famiglia della modernità. Quello che ieri appariva una sorta di «lusso» che solo poche e fortunate coppie potevano permettersi, è diventato oggi, almeno potenzialmente, appannaggio di tutti. Pressoché nessuno, oggi – a differenza di quanto avveniva in passato – pone il dato economico, o quello religioso, alla base delle proprie scelte. Ci si sposa indipendentemente dai beni di fortuna, dalle convinzioni politiche, dalle appartenenze religiose: uomini e donne di diversa condizione sociale, «guelfi» e «ghibellini», cattolici e protestanti, si incontrano e formano famiglie impensabili nelle società relativamente chiuse del passato. Se non tutte le barriere sono cadute – perché condizionamenti sociali, religiosi, etnici persistono ancora – esse non sono più muri impenetrabili, ma solo steccati facilmente valicati dalla forza del sentimento. Lo stesso mutamento di prospettiva sta avvenendo nella relazione fra genitori e figli. Nella famiglia patriarcale del passato, grande era spesso la distanza che intercorreva fra genitori (soprattutto i padri) e i figli, ed una vera intimità era spesso preclusa dalle dure condizioni materiali e dalla stessa vasta estensione del gruppo familiare; nella famiglia nucleare di oggi le relazioni fra genitori e figli si fanno più intime, intense, quotidiane, sino a diventare spesso amicali e cameratesche”7. Dando priorità ai sentimenti si rischia, però, di assoggettare la famiglia alla liquidità dei sentimenti e di ridurla a famiglia anaffettiva, non più gruppo di persone ma luogo d’incontri.

  1. Le strutture familiari

Non potendo fare più riferimento ad un univoco modello familiare, secondo alcuni sarebbe più adeguato parlare di famiglie al plurale e non di famiglia al singolare o sarebbe meglio parlare di “strutture familiari”, come già da tempo si fa nelle scienze umane. Lo storico che per primo avviò e promosse una ricerca sistematica e, pertanto, scientifica sulla famiglia europea fu Peter Laslett, che fondò il celebre Gruppo di Cambridge ed elaborò, tra gli anni ’60 e gli anni ’70, una classificazione di strutture familiari (a grandi linee erano cinque), teoria dapprima seguita dai sociologi ma poi criticata perché semplicistica e basata prevalentemente su un’analisi storica ed etnografica senza tener conto anche delle complesse e variabili dinamiche interne alla famiglia e del corso di vita della famiglia. La struttura familiare è il complesso dei legami, delle interazioni, delle regole e dei confini all’interno di una famiglia. Interessante è anche la definizione di struttura familiare data nell’ambito della terapia sistemico-familiare: “l’invisibile insieme di richieste funzionali che determina i modi in cui i componenti della famiglia interagiscono”. In effetti, ogni famiglia è una rete di richieste materiali e immateriali espresse e soddisfatte da ogni membro e questo circolo, vizioso o virtuale, contraddistingue una famiglia dall’altra. Anche il diritto, come scienza umana, si è occupato di disciplinare le varie strutture familiari. Dall’art. 2048 cod. civ. “Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte” e dagli artt. 556 e ss. cod. pen. “Dei delitti contro la famiglia” emerge che la famiglia è un gruppo in cui si è investiti di autorità e si è caricati di responsabilità. Dando una lettura etimologica delle parole “autorità” e “responsabilità”, si può dire che nella famiglia si sostiene, si fa crescere, si promuove (dal verbo latino “augere”) e, al tempo stesso, si risponde di quello che si fa o non si fa e di come lo si fa, si corrisponde (dal verbo latino “rispondere”). In questo caso la famiglia è vista come luogo di diritti e di doveri.

Paradigmatico l’art. 1023 cod. civ. “Ambito della famiglia”, relativo ai diritti di uso e di abitazione, nel quale risulta che, oltre alla discendenza, i legami su cui si basa una famiglia sono la convivenza e il prestarsi servizi. La compagine familiare assimilabile a quella disciplinata nell’art. 1023 cod. civ. è la cosiddetta “famiglia anagrafica”.

La vera innovazione di prospettiva si è avuta con la legge di riforma del diritto di famiglia, l. 19 maggio 1975 n. 151, che, per la prima volta, ha introdotto il concetto di “vita familiare” (art. 144 cod. civ.). L’elemento portante della struttura familiare è proprio la “ vita familiare”, fatta di convivialità, commensalità, domesticità. Oltre alla grande portata innovativa dell’art. 144 cod. civ., già nella sua rubrica “Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia”, anche altre locuzioni inserite dalla riforma del diritto di famiglia illustrano quali siano i collanti della struttura familiare: “interesse della famiglia” (art. 143 cod. civ.), “bisogni della famiglia” (artt. 143 e 326 cod. civ.), “esigenze preminenti della famiglia” (art. 144 cod. civ.), “esigenze dell’unità e della vita della famiglia” (art. 145 cod. civ.), “mantenimento della famiglia” (art. 324 cod. civ.). Altra nuova struttura familiare proposta dal legislatore del 1975 è quella dell’impresa familiare di cui all’art. 230 bis cod. civ., rubricato “Impresa familiare”. La grande novità rispetto al passato è che la famiglia non è più considerata “unità di lavoro”, com’è nella previsione della famiglia colonica degli artt. 2141-2142 cod. civ. (da ritenersi tacitamente abrogati da leggi speciali successive), ma “comunità di lavoro”, basata su compartecipazione, condivisione di decisioni, collaborazione. In quest’articolo colpisce anche la continua ripetizione dell’espressione “familiare” e non “componente della famiglia”, proprio per sottolineare il senso di appartenenza e non di semplice composizione. Elementi che dovrebbero riferirsi a qualsiasi struttura familiare.

Nella legislazione degli ultimi anni emerge una famiglia sempre più strutturata su accoglienza e relazioni. Fra le tante leggi, una delle più significative è la legge 28 marzo 2001 n. 149 che ha modificato la rubrica e il contenuto della legge 4 maggio 1983 n. 184 “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori” in “Diritto del minore ad una famiglia”. Nel testo novellato dell’art. 2 si legge “ambiente familiare idoneo” e “relazioni affettive di cui egli ha bisogno”. Ormai alla famiglia si richiede sempre di più, che sia quel complesso di condizioni esterne che circonda la persona e che risponda ai suoi bisogni più intimi. Mentre in passato si parlava di rapporti (per esempio nella nostra Costituzione), nella legislazione recente si parla di relazioni. Rapporti e relazioni, anche se sono considerati sinonimi, hanno una portata semantica diversa. Rapporto secondo alcuni deriva da “porta”, per cui indica un movimento che può essere unilaterale, un’esperienza attraverso cui si passa. Relazione deriva, per certo, dal verbo latino “referre”, portare di nuovo, portare indietro, quindi indica un’andata e un ritorno, un feed-back. Quel feed-back che, oggi, si chiede sempre più alla famiglia, cui si richiede che non vi sia solo dialogo ma comunicazione (dal latino “cum”, insieme, con, e “munus”, carico). Fra le tante, la legge 28 agosto 1997 n. 285 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” nel cui art. 4 si parla di “servizi di sostegno alla relazione genitore-figlio […]” “al fine del superamento delle difficoltà relazionali”. Non è sufficiente, quindi, che la famiglia sia gruppo (persone che stanno insieme) ma è necessario che diventi “comunione di persone” (persone che entrano in relazione), che sia quella formazione sociale, di cui all’art. 2 della Costituzione, ove si svolge la personalità dell’essere umano e devono essere riconosciuti e garantiti i suoi diritti inviolabili.

Un’altra tendenza che si sta verificando è che il welfare pubblico delega alle famiglie la responsabilità dell’assistenza, generando una dimensione di “welfare fai da te”, di crescente welfare familiare8. Per far fronte a problemi di salute o altre esigenze, si realizzano varie forme di associazionismo familiare, di auto mutuo aiuto tra famiglie, di conciliazione famiglia-lavoro, di presenza nelle famiglie di colf e badanti, o di “caregiving” familiare (familiari che, talvolta ritirandosi dal lavoro, accudiscono congiunti disabili gravissimi). La famiglia diventa così tessuto di assistenza e di cure, quasi un ritorno al passato, quando bambini, anziani o malati erano tenuti in casa (perché così si faceva e si doveva fare) e si poteva contare anche sui vicini di casa. Rispetto al passato si ha consapevolezza, formazione ed informazione (si pensi alle campagne organizzate per rivendicare diritti o servizi) ed è cambiata la concezione, perché la famiglia non fornisce benessere (stare bene) ma ben-essere (sentirsi bene), non cure ma cura (cui corrisponde il concetto inglese “care”). Nella sua forma arcaica cura in latino si scriveva “coera” ed era usata in un contesto di relazioni di amore e di amicizia. Esprimeva l’atteggiamento di premura, vigilanza, preoccupazione e inquietudine nei confronti di una persona amata o di un oggetto di valore (da Cicerone a Sesto Properzio). Cura comprende, allora, premura, sollecitudine, diligenza, zelo, attenzione, delicatezza (quanto richiesto nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, nei confronti dei bambini, che sono il frutto tangibile della famiglia). La famiglia, in tal caso, riacquista la dimensione di focolare domestico, si fa veramente nucleo (etimologicamente “nocciolo”) perché al centro viene messa la persona, la vita; non a caso la famiglia è disciplinata nella Costituzione sotto il titolo rubricato “Rapporti etico-sociali”. In tal modo la famiglia adempie ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Costituzione). In meccanica si dice solidale “elemento di un dispositivo o di una struttura collegato rigidamente a un altro”; ebbene la famiglia è proprio così, per cui quando viene meno un elemento (che sia la mancanza di un membro o l’inottemperanza ad un obbligo familiare) la famiglia si disgrega con riverberi sui singoli e costi sociali, economici e politici.

La varietà delle strutture familiari e, quindi, delle possibili configurazioni che ogni famiglia può assumere conferma la complessità della famiglia, ma non la sua caducità. Nel 1994, Anno Internazionale della Famiglia (IYF, sigla in inglese), all’interrogativo «Cosa è la famiglia» si rispose attraverso l’immagine e la simbologia espressa dal logo dell’IYF: rappresentava due cuori uniti sotto uno stesso tetto a simboleggiare la vita e l’amore in un ambiente/casa in cui regnano il calore umano, l’attenzione reciproca, la sicurezza, la convivialità e la tolleranza. Il tetto non si chiude sul cuore per mostrare la continuità della vita individuale dei membri della famiglia, l’apertura all’esterno, la vulnerabilità della vita familiare. La pennellata sfumata vuole essere un tocco di «astrattezza» per mostrare la complessità della famiglia9.

La famiglia è “società naturale” (art. 29 comma 1 Costituzione italiana), “nucleo naturale” (art. 16 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani), “luogo naturale” (dal programma ONU dell’IYF). Oltre alla complessità, dunque, la famiglia è caratterizzata dalla naturalità. “Naturalità”, come “natura”, deriva da “nascere, generare” e la famiglia ha in sé la forza che genera. La famiglia è un sistema autopoietico, ovvero una rete di processi di creazione, trasformazione e distruzione di elementi che, interagendo fra loro, sostengono e rigenerano in continuazione lo stesso sistema. Facendo dei giochi di parole col termine famiglia si ricava: “figli” (generatività e genitorialità, che non è solo quella biologica), “ama” (amore), “fa” (operosità), “faglia” (che rappresenta la frattura), “fama” (che deriva da “manifestare, rendere palese” e, quindi, indica apertura), “mia” (che simboleggia l’appartenenza), “miglia” (che indica l’andare avanti e lontano). La famiglia, ogni famiglia è questo e anche di più!

 

 

1

21 e D’Agostino F., La famiglia, base della società, in AA.VV., Diritti dell’uomo: famiglia e politica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999, p.70.

3 Si tratta di uno dei Principi contenuti nella Risoluzione 44/82 dell’8 dicembre 1989 con la quale l’Assemblea Generale dell’ONU ha proclamato il 1994 Anno Internazionale della Famiglia (IYF).

4 Pozzi A., Nelle case del mondo. Africa, in Noi. Genitori & Figli, n. 153 del 26 giugno 2011, p. 27.

5 D’Agostino F., La famiglia, base della società, in AA.VV., Diritti dell’uomo: famiglia e politica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999, p.71.

6 Pellegrino P., La vita non è una scatola di cioccolatini. L’educazione della volontà, Astegiano Editore, Marene 2011, p. 40.

7 Campanini G., Dal cortile al mondo. La famiglia e la società, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, pp. 13-14.

8 Cfr. Occhetta F., Lavoro domestico e famiglie, in La Civiltà Cattolica, n. 3912 del 15 giugno 2013, Roma, pp. 552-560.

9 Cfr. il documento Nations Unies, Année Internationale de la Famille. L’emblème officiel et son utilisation, New York 1991, p.1.

Dott.ssa Marzario Margherita

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