Pubblico impiego e giurisdizione: quando le controversie non sono decise dal giudice ordinario?

Redazione 09/01/19
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La disciplina della giurisdizione in materia di pubblico impiego, prevista dall’art. 63 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (Testo Unico sul Pubblico Impiego, anche “TUPI”), riflette il processo di progressiva privatizzazione che ha coinvolto tale settore, giacché devolve la quasi totalità delle controversie inerenti al lavoro alle dipendenze della PA alla giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro. D’altra parte, sussistono tutt’ora talune controversie che il legislatore attribuisce espressamente alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Generale attribuzione al G.O. delle controversie in materia di pubblico impiego

In base art. 63 TUPI sono attribuite alla giurisdizione del G.O. “tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”, incluse le assunzioni al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali, la responsabilità dirigenziale e le indennità di fine rapporto.

La stessa norma precisa che le materie appena elencate sono sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario “ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti”. Ciò significa che il G.O. può decidere controversie nelle quali assumono rilevanza anche i c.d. atti di macro-organizzazione. Si tratta degli atti elencati all’art. 2, comma 1, TUPI, la cui adozione è rimessa agli organi di indirizzo politico-amministrativo ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 2, TUPI.  Gli atti di macro-organizzazione conservano, dunque, natura pubblicistica e si differenziano rispetto ai c.d. atti di micro-organizzazione, questi ultimi avendo natura privatistica ex art. 5 TUPI. Gli atti di micro-organizzazione, infatti, si pongono in rapporto di attuazione o comunque entro i confini tracciati a monte dagli atti di macro-organizzazione. Essi sono adottati dai dirigenti con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

Occorre però rilevare che, secondo l’opinione prevalente, quella del G.O. in funzione di giudice del lavoro non è una giurisdizione di tipo esclusivo. L’art. 63 TUPI, infatti, afferma chiaramente che il G.O. ha solo il potere di disapplicare gli atti amministrativi presupposti. Di conseguenza, fermo come punto di partenza l’ambito della giurisdizione del G.O. disegnato dall’art. 63 TUPI, occorrerà anche verificare di volta in volta la l’effettiva consistenza della posizione giuridica dedotta in giudizio (diritto soggettivo o interesse legittimo).

In particolare, la tutela giurisdizionale dovrà avvenire davanti al G.O. qualora si contesti l’atto di micro-organizzazione applicativo o consequenziale rispetto a quello macro-organizzativo, venendo quest’ultimo in rilievo solo come atto presupposto non direttamente lesivo della posizione giuridica fatta valere. Così è, ad esempio, qualora venga impugnato l’atto di trasferimento del dipendente (atto di micro-organizzazione) in attuazione della nuova pianta organica (atto di macro-organizzazione). In tali casi, il G.O. può (solo) disapplicare l’atto amministrativo “presupposto”, senza che l’impugnazione dello stesso davanti al G.A. sia causa di sospensione del processo.

La giurisdizione è invece attribuita al G.A. quando viene direttamente impugnato l’atto di macro-organizzazione (ad esempio, l’atto di ridefinizione della pianta organica), che sia autonomamente lesivo della posizione giuridica fatta valere. Ad esempio, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ord. del 31 maggio 2016, n. 11387) hanno affermato che la controversia avente ad oggetto l’impugnazione da parte di un dirigente di atti di macro-organizzazione correlati all’esercizio di poteri autoritativi (nella specie, rivolti a ridefinire le strutture amministrative e a stabilire i criteri e le modalità di attribuzione degli incarichi dirigenziali) al fine di ottenerne l’annullamento, spetta alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo. Tale controversia, si è detto, ha ad oggetto una posizione di interesse legittimo, rispetto alla quale il rapporto di lavoro non costituisce l’effettivo oggetto del giudizio, perché gli effetti pregiudizievoli derivano direttamente dall’atto presupposto (espressione del potere autoritativo della PA) di cui si contesta la legittimità (e non da atti di micro-organizzazione a valle).

Eccezioni alla giurisdizione del G.O. previste dall’art. 63 TUPI

L’art. 63, comma 4, TUPI prevede espressamente due sole eccezioni alla generale devoluzione delle controversie al G.O., con conseguente giurisdizione del G.A.

La prima eccezione attiene alle controversie relative ai rapporti di lavoro che restano in regime di diritto pubblico ex art. 3 TUPI (ad esempio, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato): tale giurisdizione è espressamente definita dal legislatore come esclusiva all’art. 133, comma 1 c.p.a.. Rispetto a tali controversie, dunque, il G.A. avrà piena cognizione sia con riferimento a posizioni di diritto soggettivo, che a posizioni di interesse legittimo.

La seconda eccezione riguarda le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle P.A.. Secondo l’opinione prevalente, in tal caso non si tratta di giurisdizione esclusiva, bensì di giurisdizione generale di legittimità (concernente, quindi, solo posizioni di interesse legittimo).

Al fine di individuare l’ambito delle controversie in materia di procedure concorsuali riservate alla giurisdizione del G.A. ex art. 63, comma 4, TUPI, secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ord. del 23 marzo 2017 n. 7483) è necessario adottare una nozione ristretta di “procedure concorsuali”. In particolare, rientrerebbero nella giurisdizione del G.A. solo le controversie attinenti ad atti che vanno dalla pubblicazione del bando sino all’approvazione della graduatoria finale. Le controversie riguardanti atti a valle dell’approvazione della graduatoria sarebbero sottoposte, invece, alla giurisdizione del G.O.. Tali controversie, infatti, avrebbero ad oggetto determinazioni assunte con la capacità del datore di lavoro privato, a fronte delle quali sarebbero configurabili perlopiù diritti soggettivi all’assunzione.

Con l’approvazione della graduatoria, infatti, può considerarsi esaurito l’ambito riservato al procedimento amministrativo (e quindi all’attività autoritativa della P.A.). All’approvazione della graduatoria segue, dunque, una fase in cui i comportamenti della P.A. sono espressione del potere negoziale che la stessa esercita nella veste di datrice di lavoro. Tali atti, quindi, devono essere valutati alla stregua dei principi civilistici in tema di adempimento delle obbligazioni, tra cui quelli di correttezza e della buona fede. Ne deriva, ad esempio, che se la P.A., a valle dell’approvazione della graduatoria di un concorso, modifica o ritira l’atto di conferimento di un incarico dirigenziale, essa esercita un potere privatistico e non un potere amministrativo di autotutela (inconcepibile nei confronti di atti di tutela privati).

In conclusione, si può affermare che generalmente il superamento di un concorso pubblico consolida nel patrimonio dell’interessato una situazione giuridica individuale di diritto soggettivo (all’assunzione), con conseguente giurisdizione del G.O. per gli atti che la P.A. assume in veste di datrice di lavoro a seguito dell’approvazione della graduatoria. Lo stesso, però non può dirsi allorché la procedura concorsuale attenga all’assunzione di personale facente parte del pubblico impiego non privatizzato ex art 3 TUPI. In tal caso, anche con riferimento a controversie che abbiano ad oggetto atti che si pongono a valle dell’approvazione della graduatoria, la giurisdizione è attribuita al GA.

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